I 5 fattori della corsa allo sviluppo dell’Est Europa che ci dicono molto di noi

scritto da il 30 Luglio 2018

Secondo le ultime previsioni della Commissione europea, nel 2018 l’UE (a 28) dovrebbe crescere del 2,1%, così come l’area euro. Italia, Germania e Francia si trovano al di sotto della media (e dovrebbero restarvi anche nel 2019), mentre ad alzare la stessa ci pensano due Paesi che dovrebbero crescere oltre il 5% (Irlanda e Malta), nonché tanti altri entrati a far parte dell’UE solo nel 2004, come Slovenia (+4,4%), Slovacchia (+3,9%), Ungheria (+4%), Polonia (+4,6%) o nel 2007 come la Romania (4,1%).

Naturalmente, confrontare le performance di economie avanzate con quelle di altri Paesi emergenti non ha molto senso (anche se Slovenia e Slovacchia, ad esempio, sono considerate economie avanzate). Ma i tempi iniziano ad essere maturi per analizzare in maniera più approfondita i risultati che stanno conseguendo le cosiddette economie dell’est, per capire come sta andando il processo europeo di convergenza e cosa può insegnarci.

Un recente paper a cura di Piotr Żuk e Li Savelin offre molti spunti di riflessione, focalizzandosi sui Paesi dell’Europa centrale, orientale e sud-orientale, suddivisi tra appartenenti all’UE e alla moneta unica, alla sola UE o esterni (Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania, Slovenia, Slovacchia, Albania, Bosnia ed Erzegovina, Macedonia, Serbia, Montenegro e Kosovo, collettivamente “Gruppo CESEE”).

Un gruppo eterogeneo, con forti divari al suo interno, soprattutto tra Stati Membri ed esterni…

cattura

…ma accomunato da una crescita importante nel periodo considerato (2000-2016).

cattura2

Alcuni Paesi del Gruppo, appartenenti all’UE, potrebbero raggiungere il livello medio di Pil pro capite dell’Unione europea nei prossimi anni o decenni. Si tratta di progressi che, nel dibattito politico-mediatico italiano, fanno ancora fatica ad essere percepiti integralmente, perché molti Paesi dell’est vengono considerati come lontanamente inferiori a noi dal punto di vista economico o additati – superficialmente – solo come concorrenti che farebbero dumping sociale e salariale.

cattura3

I risultati appaiono ancora più importanti se si considera che Paesi come la Polonia o la Lettonia avevano, all’ingresso nell’UE, dei Pil pro capite –misurati in percentuale rispetto alla media UE a 28- pari, rispettivamente, al 51,2% e 48,3% (nel 2016 sono arrivati al 71,6% e 65,3%). Preoccupano però, sulle prospettive di convergenza, le tendenze illiberali e gli attacchi alla rule of law che si intravedono -da tanti anni ormai-  soprattutto in Polonia e Ungheria, che potrebbero minare anche la crescita economica (argomento delicatissimo per la tenuta dell’Unione, ma da trattare separatamente).

Ma cos’ha determinato la crescita del Gruppo CESEE? Prima del 2000, ovviamente, molti Paesi del Gruppo hanno vissuto il noto shock (positivo) causato dal crollo dell’Unione Sovietica e dalla conseguente apertura al mercato. Nel periodo oggetto dello studio invece, secondo gli autori, ad incidere principalmente è stata la produttività totale dei fattori (“TFP”).

cattura4

In particolare, i Paesi che hanno accelerato maggiormente in termini di convergenza si sono caratterizzati per:

  • – Miglioramento della qualità delle istituzioni (con effetti positivi determinati dall’ingresso nell’Unione europea);
  • – Riallocazione della forza lavoro dall’agricoltura ad altri settori maggiormente produttivi;
  • – Maggiore competitività e crescita delle esportazioni;
  • – Favorevoli condizioni demografiche;
  • – Crescita del capitale umano e investimenti.

Nessuna pietra filosofale dunque, ma una dimostrazione che la riduzione dei divari è possibile, nonostante le condizioni di partenza possano apparire scoraggianti.

Ma spostiamoci per un momento dalla dimensione nazionale a quella regionale. Ci sono già delle regioni del Gruppo CESEE che fanno meglio di alcune regioni italiane o spagnole, ma anche il Gruppo deve fare i conti con aspri divari interni.

cattura5

Usando il tool di Info Data, si può intravedere -ad esempio- che, tra il Pil per abitante (dati 2015) della più ricca regione polacca e la più povera, vi è una differenza di 18 mila euro. Simile risultato se facciamo lo stesso esercizio con l’Ungheria (17.900 euro), gap ancor più alto se guardiamo ad economie più mature, come la Slovacchia (38.800 euro) e la Repubblica Ceca (32.600 euro).

Come noto, il problema dei divari regionali interessa anche l’Italia ed altre economie avanzate. Ecco perché analizzare le differenze di performance all’interno degli Stati Membri, capire le ragioni specifiche delle stesse e studiare i possibili rimedi, sarà sempre più importante, man mano che proseguirà il processo europeo di convergenza a livello nazionale.

Twitter @frabruno88