I social network, il populismo e l’economia reale. L’Italia deve ripartire dalle soluzioni

scritto da il 31 Luglio 2018

Tre miliardi di persone, circa il 40% della popolazione mondiale, utilizza i social media con una media di circa due ore al giorno per condividere, apprezzare, twittare e aggiornare i loro “stati” sulle piattaforme online. È difficile credere che solo poco più di un decennio fa, il nostro modo di vivere fosse molto diverso da come è ora.  Quando nel 1997 iniziavano a comparire i primi strumenti di creazione di relazione tra persone in rete, si pensava finalmente che la comunicazione stesse segnando la più importante e straordinaria tappa verso la democrazia. La comunicazione online e le relazioni tra le persone, sono il vero oro del millennio. Anzi, aggiungerei, il vero “oro digitale”.  I nati dalla metà degli anni novanta sono considerati “figli della generazione dei social network”, prima ancora dei “millennials”.

Secondo le più autorevoli fonti di ricerca internazionale, il 2017  è l’anno in cui i social media hanno cambiato per sempre il modo in cui funziona la società, che si tratti della condivisione di un’idea, della comunicazione di notizie o della disponibilità di un prodotto o servizio. I social media sono oggi impiegati in quasi ogni parte della nostra vita e hanno rivoluzionato il modo di comunicare introducendo una serie incommensurabile di benefici. Se pensiamo all’impatto aziendale,  le aziende di tutto il mondo possono oggi accrescere il loro brand  ad un pubblico più ampio di quanto abbiano mai pensato di fare in passato.

Circa il 91% dei grandi marchi aziendali gestisce  due o più piattaforme di social media. In termini di impatto sociale, i social network hanno abbattuto totalmente  le barriere della comunicazione. Una ricerca scientifica condotta dal MIT ha dimostrato che circa il 65% delle persone che utilizzano piattaforme social si sente a disagio  quando non è in grado di accedere ai propri profili social. L’Italia è tra i maggiori paesi europei in cui i social network stanno cambiando i paradigmi dell’informazione politica e degli scenari economici di mercato.  Sul legame social network e politica,  Stefano Epifani, Presidente dell’istituto di ricerca Digital Transformation Institute e docente di Internet and social media studies all’Università La Sapienza di Roma, sostiene in un intervista che  i social media a servizio della campagna elettorale impoveriscono e piegano il confronto politico a una logica autoreferenziale, basata sull’emotività e sottratta a qualsiasi controllo.

Uno studio del 2017 pubblicato su Pnas, la rivista della National Academy of Sciences of the United States of America,  che si è occupata di analizzare  le echo-chamber che si formano sui social network, studiando le interazioni di 376 milioni di utenti Facebook con più di 900 giornali e sistemi di produzione di notizie, ha dimostrato che i  movimenti cosiddetti populisti,  “fioriscono nei contesti dove si dedica molta attenzione a forme di informazione di scarsa qualità” e “crescono con l’aiuto dei social media”.

Secondo la rivista londinese  “The Economist”, l’Italia è al momento, il più avanzato paese al mondo nell’utilizzo della rete per la formazione politica ed economica, nonostante sia uno dei Paesi meno avanzati d’Europa in termini di cultura digitale. E’ forse questo gap che permette ad alcuni movimenti politici di alimentare i consensi ? Ma soprattutto, alla luce di questi studi che relazione c’è tra il fenomeno del populismo e  dei social media  in Italia ? Ed infine, come impattano le strategie politiche dei social network sull’ economia reale ?

Negli ultimi anni in Italia, come nel resto di gran parte dei paesi Occidentali, la politica ha cercato  di stabilire una relazione privilegiata con chi afferma di rappresentare  la popolazione globale.

I social network sono considerati il miglior  strumento per diffondere messaggi populisti e permettono in maniera quasi del tutto gratuita e immediata,  di ottenere l’accesso agli utenti senza passare attraverso il filtro dei media.  Il caso più emblematico  è quello del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che ha registrato nel periodo che va dal 1 gennaio al 31 dicembre 2017, citazioni sul microblogging Twitter per oltre 350 milioni di volte. Un numero che supera di quasi 10 volte il numero di citazioni di Hillary Clinton, considerata  tra i personaggi americani più citati su twitter di sempre.

Con 4,5 milioni di tweet, il discorso di Donald Trump sullo stato dell’Unione dello scorso gennaio 2018  è stato il più discusso dalla nascita del popolare social network. Il precedente record, scrive la stessa Twitter in un suo post,  era di “soli” 2,6 milioni. Risultato che conferma il presidente degli Stati Uniti come un formidabile catalizzatore mediatico.

I dati analizzati da Statista nel grafico in basso, una tra le più accreditate piattaforme statistiche in tempo reale, documentano che  Donald Trump ha riunito davanti alla televisione meno cittadini di tutti i suoi predecessori. Questo dimostra che i canali tradizionali, sui temi della politica e dell’economia risultano essere meno impattanti rispetto ai social media.

Anche la Francia durante le ultime elezioni all’Eliseo,  che ha  visto  salire al podio Emmanuel Macron a colpi di tweet e dirette video di Facebook, ha registrato  oltre 15 milioni di condivisioni sui canali mediatici del presidente francese.  L’Italia non è affatto da meno. Il ministro degli interni e  leader della Lega Matteo Salvini è il politico più seguito in tutta la comunità europea con quasi 3 milioni di fan su facebook, contro i 2 milioni e mezzo di Angela Merkel e i 2 milioni e trecento mila di Emmanuel Macron.

Un esempio non occidentale  sull’impatto dei social  e del loro ruolo nel contesto economico-sociale è il  caso delle elezioni del 2016 nelle Filippine. Durante le elezioni del 2010, i filippini che utilizzavano Internet erano 23 milioni, secondo le stime fornite dalla piattaforma www.InternetLiveStats.com. Oggi, ci sono 49 milioni di utenti mensili attivi su Facebook. Un numero che rappresenta circa la metà dell’intera popolazione del paese.

L’effetto boomerang dei social network è quello di aumentare la popolarità istituzionali in rete ma rispettivamente di ridurne la fiducia attesa delle stesse.

La diciottesima edizione dell’Edelman Trust Barometer, la più importante indagine globale sul tema della fiducia realizzata dall’agenzia di comunicazione Edelman in 28 Paesi su di un campione di 33.000 persone, fotografa una situazione in cui l’indice di fiducia su scala mondiale guadagna un solo punto rispetto al passato.  Dopo gli USA, l’Italia è il paese che fa registrare il calo di fiducia più marcato rispetto allo scorso anno.  Il quadro europeo non è comunque confortante. L’Italia è  sette punti sotto la soglia della fiducia, dietro Olanda e Spagna e davanti a Germania, Francia, Regno Unito e Svezia.

Il 61% del campione italiano crede che il Governo sia l’istituzione meno credibile in assoluto  (su scala globale è il 42%) mentre è singolare esaminare che solo per l’8% del campione intervistato,  i  media sono l’istituzione più screditata mentre su base globale si arriva al 20%.

La vera preoccupazione che ne scaturisce dall’indagine è la forte preoccupazione verso le fake news ( il 70% degli intervistati italiani ) osservate come la vera minaccia per la stabilità economica e sociale del nostro paese.

Un recente studio condotto da alcuni ricercatori del Jacques Delors Institut  di Berlino ha dimostrato come quasi il 50 percento della popolazione adulta in ogni paese europeo ora ha un profilo su Facebook, il social network di maggior successo. Due terzi degli italiani sotto i 35 anni ( come dimostra il grafico in basso ) usano Facebook come fonte settimanale di notizie.

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( Fonte : Social networks and populism in the UE four things you should know –  Jacques Delors Institut Berlin)

Il successo dei social media ha consolidato l’impatto delle notizie che rimbalzano sulle nostre “bacheche”, rafforzandone il livello di percezione del pubblico. L’Italia si trova sempre più costantemente ad essere in balia di una minoranza rumorosa, (spesso potenziata da social bots ), riducendo il confronto con una importante presenza “silenziosa”, spesso contraria alle decisioni prese in ambito economico, sociale e politico.

I social network stanno compromettendo le forme istituzionalizzate di dibattito democratico, i processi decisionali e sono diventati uno strumento incontrollabile e molto potente per guidare l’economia nazionale. È di qualche giorno fa la notizia che il presidente dell’Uganda Yoweri Museveni ha introdotto una nuova tassa, già rinominata “social media tax“, pensata per consentire l’accesso ai social della popolazione. Ad un costo di 5 centesimi di dollari al  giorno è possibile  utilizzare Facebook, WhatsApp, YouTube, Twitter e gli altri social network. La tassa è operativa dal 1 luglio,  e gran parte della popolazione è contraria in quanto tale imposizione è in grado di minacciare la libertà degli utenti e perché il suo costo corrisponde a circa il 20 percento di quanto gli utenti pagano per avere il traffico dati sul telefono.

Sarebbe poco etico imporre restrizioni nell’utilizzo della comunicazione digitale ma è anche vero che siamo sempre più lontani da quella “cyberdemocracy”  avversa ad ogni tipo di  establishment.  È diventato troppo semplice trionfare sul web, trasformandosi in un professionista della provocazione. La soluzione ? Sfruttare la rete globale per trovare “le soluzioni” e non per nasconderle.

Twitter @lospaziodimauri