Se la social mania logora proviamo a capire chi ci circonda. Analisi semiseria

scritto da il 25 Agosto 2018

L’autore di questo post è Silvano Joly, country manager di Centric Software Italia, che dal 1995 lavora in aziende high tech seguendo il mercato italiano e del Mediterraneo –

“Tra una settimana vado in vacanza, spengo tutto e ciao. Ne parliamo a settembre.” Una volta era facile. Un bel messaggio “I’m out of office…” ed il cordone ombelicale era staccato. Al massimo a metà vacanza ti cercavi un internet center e controllavi la webmail. Di solito giusto dopo ferragosto. Non vedevi né sentivi un cliente, un collega, un fornitore, a meno di essere così sfigato da trovarlo sul traghetto o nell’albergo in capo al mondo.

Ma non più, da almeno 10 anni, non più.

schermata-2018-08-24-alle-19-25-52Il nostro fido smartphone ci segue e ci collega al mondo professionale e del lavoro, senza davvero permettere di “togliersi la cravatta”, neanche in agosto. Ma allo stesso modo questo espone il nostro essere pubblico al privato e viceversa. Il nostro essere professionale dal lunedì al venerdì, si unisce ad essere uno spericolato mattacchione al sabato. Con evidenti sorprese. E incidenti divertenti e qualche volta spiacevoli.

Eh sì, perché le varie identità on line mica sempre coincidono.

Torniamo indietro di vent’anni: nel tempo libero come sul lavoro per darsi un tono si fumava o ci si metteva un paio di occhiali. Per essere più fighi o più credibili. Oppure si imitava chi era “di successo”. Mi ricordo molti casi: arrivava un capo nuovo fumatore di pipa e l’ufficio si riempiva di Maigret (verdi in viso per il Royal Yacht). Direttore ciclista, al via con la mitica Coppa Cobram. Principale corridore, tutti maratoneti.

schermata-2018-08-24-alle-19-26-29E via così con tanti e tanti episodi ed aneddoti. Memorabile il periodo successivo al film Wall Street, che generò gli yuppies, sdoganò bretelle rosse, gessati e brillantine. O il caso più recente, oggi velato di tristezza: maglioni blu in auge e milioni di cravatte nell’oblio degli armadi. La stessa cosa accade oggi anche on line come nella vita reale: quelli che hanno una personalità, quelli che seguono, scimmiottano, imitano, cercano semplicemente di farsi notare.

schermata-2018-08-24-alle-19-26-38A riguardo, consiglio l’infografica di Lifehack, che vedete per intero qui , ma con voi vorrei fare una riflessione su come questo anche accada nella vita reale ed anche on line…

In principio per noi white collar era solo Linkedin. Fondato a fine 2002, io mi sono iscritto ad inizio 2004 quando in Italia non era chiarissimo a cosa servisse. Di fatto solo perché ci lavoravano degli ex colleghi americani che mi avevano invitato.

Oggi se non ci sei non esisti. Secondo le statistiche del 2018 il 42% delle aziende hanno esaminato i profili dei candidati su Linkedin e non solo. È il social-network professionale più diffuso, 100 milioni le persone iscritte. Biglietto da visita e curriculum vitae on line, la vetrina personale per pubblicare posizione professionale attuale e passate, formazione, interessi. Sede di gruppi, fucina di nuovi contatti, forum di idee e informazioni.

schermata-2018-08-24-alle-19-26-48Ma ci trovi anche una tale quantità, skilled, talented, proven ed experienced che fa dimenticare che la qualità di un profilo (di una persona, di una professionalità) non sono le cose che scrive lui ma i commenti che riceve e – nello specifico di Linkedin – i commenti, i like che riceve le discussioni che sa stimolare. Ed anche gli endorsement, da un po’ di tempo passati di moda. Ma sempre validi. Vabbè sul tema degli endorsement sono un po’ di parte… Infatti su Linkedin c’è “chirurgia plastica”: tanti si “truccano” al meglio e usano lo strumento Linkedin per creare un contatto con un obbiettivo commerciale, si propongono – magari come consulenti – e poi subito sono a cercare di vendere.

schermata-2018-08-24-alle-19-27-03

Ma lo fanno malamente e succedono scandali come quello accaduto a Luca Isidori, che ha anche interessato direttamente Linkedin ed i suoi più brillanti manager come Matteo Papaluca.

schermata-2018-08-24-alle-19-27-23

Ecco, sono andato fuori tema come al solito. Ma episodi come questo, e sono molti, aiutano a fare un ragionamento sul tema ed titolo della mia riflessione: uso e abuso del “Social” e del “Professional”. Linkedin, Instagram, Facebook, Twitter, Whatsapp ed il logorio della vita moderna.

schermata-2018-08-24-alle-19-27-51Siamo dei professionisti, usiamo Linkedin che è un po’ il Facebook dei white collar, ma ci sono anche Facebook, Twitter, Instagram. E qui possiamo avere conferme, scoprire il lato umano e personale di un collega ma anche tanti Dottor Jekyll e Mr Hide.

Ad esempio, io sono stato felice nel vedere un imperturbabile regional director, su Linkedin dotato di 14 anni di esperienza in ambito HR e selezione, che su Whatsapp diventa “più umano” e dichiara di “bruciare sempre spegnersi mai”. Su Linkedin ha una foto professionale e su Instagram una in Africa. Questa dicotomia ti fa scoprire il lato umano di un professionista, che non conoscevi e ti fa apprezzare ancora di più la persona. Si è più sorpresi, però, di trovare anche comportamenti e personalità quasi bipolari: professionisti/e ineccepibili su Linkedin che postano foto al limite dell’hard su Instagram, o scrivono dichiarazioni estreme su Twitter che siano politiche o sportive.

schermata-2018-08-24-alle-19-28-06

Più seriamente, io consiglio di badare alle tante facce social, alle varie identità digitali di chi stiamo per assumere o scegliere come fornitore, anche come cliente. Questo tipo di analisi, non è voyeurismo ma “qualificazione” e può risultare molto utile a capire con chi si ha a che fare prima che sia troppo tardi.

schermata-2018-08-24-alle-19-28-23Paolo Crepet di recente ha spiegato la presenza on line può anche essere patologica: “bisogno abnorme di affermazione, apprezzamento, attenzioni, accudimento ha trovato habitat ideale sui social network”. Ormai tutti sanno che su Linkedin una signora/ina non deve mettere la foto con le labbre gonfiate e che un Dott./Ing. deve evitare quella in costume da bagno. Ma può essere un’interessante ricerca analizzare il comportamento on line e social dei nostri interlocutori. Non assumerei un venditore che cambia una volta al giorno la foto del profilo di Whatsapp. Se sei un direttore del personale e posti solo foto in stile top model, specie non essendo (più) una top model, o un top model, c’è qualcosa che non va.

schermata-2018-08-24-alle-19-28-37Dice ancora Crepet, che lo ricordo è psicoterapeuta, psichiatra e studioso degli effetti collaterali della tecnologia digitale: «Le foto dei vari profili è particolarmente significativa: una donna che usa l’immagine di un tacco a spillo sta comunicando un’immagine di sé narcisistica, perché vuole farsi notare, vuole far parlare di sé. Le foto del profilo sono il nuovo biglietto da visita. Sono sintomatiche tutte le foto in cui ci addobba in modo diverso da come si è: foto che sono un’esteriorizzazione del sé, in mancanza del sé”.

In vacanza, quindi, stiamo hugry, foolish e se possibile disconnected. Ma se, come penso, lo smartphone lo avremo acceso e saldamente in mano anche in vacanza, prendiamoci almeno il tempo di fare un’analisi sulle persone intorno a noi, non solo i vicini di ombrellone… ma anche il nostro network. Per vedere quante e quali personalità abbiano i nostri contatti, i seri clienti, gli irreprensibili colleghi. Troveremo tanta coerenza, quanta follia, forse non abbastanza sincerità… ma ne scopriremo delle belle!

Twitter @sjoly_ita