1968, nascono grillismi e populismi. Meritocrazia? No, grazie

scritto da il 28 Dicembre 2018

A 50 anni dal 1968 non si contano i volumi celebrativi su quell’anno, per molti memorabile – vedi il volume del leader studentesco Mario Capanna “Formidabili quegli anni” -, per altri controverso. Sono portato a pensare che il 1968 sia celebrato in modo eccessivo, quando è stato prodromico al blocco dell’ascensore sociale e della meritocrazia.

Il critico e romanziere Roberto Cotroneo scrisse nel febbraio 2017 su “Sette” un articolo memorabile in cui mise in discussione il “dogma” del 1968: “L’anno più citato del nostro dopoguerra non ha cambiato il paese e le nostre coscienze. La fantasia non è arrivata al potere, ma il potere, in modo davvero fantasioso, si è inventato un nuovo modo per resistere e non lasciare spazio al nuovo. La fantasia fu un alibi. Un alibi per impedire l’ascesa e il consolidamento di una nuova classe dirigente, figlia dei nuovi tempi”.

Sono in molti a ricordare come Pier Paolo Pasolini si schierò con la polizia a Valle Giulia (1° marzo 1968, 100 feriti), quando chi contestava erano i figli della borghesia e chi prendeva legnate erano i poveri figli degli operai meridionali arruolatisi nelle forze dell’ordine. Così PPP: “Io simpatizzavo coi poliziotti! Perché i poliziotti sono figli dei poveri. Vengono da periferie, contadine o urbane che siano… A Valle Giulia, ieri, si è così avuto un frammento di lotta di classe: e voi, amici, eravate i ricchi, mentre i poliziotti erano i poveri. Bella vittoria, dunque, la vostra! In questi casi, ai poliziotti si danno i fiori, amici”.

Un'immagine delle manifestazioni studentesche nel 1968

Un’immagine delle manifestazioni studentesche nel 1968

L’attuale capo della ricerca storica della Banca d’Italia Alfredo Gigliobianco nella sua tesi di laurea con Michele Salvati si domandò come mai l’autunno caldo italiano durò anni mentre il maggio francese durò giusto un mese (vedasi “Il maggio francese e l’autunno caldo italiano: la risposta di due borghesie”, Il Mulino, Bologna 1980, volume per aficionados).

È celebre la battuta di Eugène Ionesco, che predisse guardando sfilare gli studenti parigini del Maggio ’68: «Tra vent’anni sarete tutti notai». Non aveva tutti i torti. I sessantottini sono usciti a sinistra e sono rientrati a destra. Sempre Cotroneo scrive: “Il ’68 italiano non fu affatto un movimento progressista, un movimento liberatorio, un movimento di modernizzazione del paese, ma fu l’opposto. Fu fenomeno reazionario, che bloccò in Italia, una volta per tutte, una modernizzazione culturale e tecnologica che era già in atto nel decennio precedente, tra il 1958 e il 1968”.

Siete in metrò, state correndo con lo smartphone in mano? Sedetevi, prendete fiato. Respirate profondamente perché Cotroneo bastona una generazione: “Il ’68 fu un’autentica catastrofe culturale per il nostro paese, da cui ci stiamo cercando di risollevare ancora oggi, con grande fatica, mezzo secolo dopo… Quegli anni hanno cambiato il paese in peggio”. Le conseguenze arrivano fino ad oggi, nel dilagare del populismo ideologico, giacobino, nella radicalizzazione di un clima di contrapposizione che continua a generare danni”.

Che cos’è il grillismo se non la continuazione del ’68 con altri mezzi? Da dove viene fuori il motto “uno vale uno”? Non è che la rievocazione del 18 politico, del voto uguale per tutti: uno studia e gli altri prendono lo stesso voto. Il pauperismo e il populismo vengono da lì.

A 50 anni dal ’68 viviamo tempi in cui domina l’incompetenza crassa. Nel dopoguerra chi non sapeva stava zitto ad ascoltare. Oggi meno sa, più pontifica e insulta. Tom Nichols, professore alla Harvard Extension School, nel mirabile “La conoscenza e i suoi nemici. L’età dell’incompetenza e i rischi per la democrazia” (Luiss, 2017) scrive: “A tutti piace pensare di essere in grado di prendere qualsiasi decisione e ci irritiamo se qualcuno ci corregge, ci dice che sbagliamo o ci spiega argomenti che non riusciamo a capire. Questa reazione umana è perfettamente comprensibile in ogni individuo. Ma che succede quando un’intera società ragiona così?”.

Da dove viene altrimenti la diffidenza verso l’impresa e la cultura del fare tipica dell’imprenditore? Quando l’industriale viene considerato “prenditore” non si deve che tornare al 1968 e alle manifestazioni in cui si urlava “Pirelli e Agnelli, ladri gemelli”.

Ancora Cotroneo, che chiude così la sua analisi: “Il ’68 fu il modo di conservare il potere culturale e politico dei figli della borghesia e delle élite italiane, pressate da nuovi ceti sociali più umili ma potenzialmente più preparati e motivati. Il nozionismo, il 18 politico, la destrutturazione del sapere, hanno abolito ogni forma di meritocrazia proprio perché si potesse evitare che i meriti vincessero contro le rendite di posizione”.

Chi non ce la fa, gli esclusi, i perdenti della globalizzazione sono la base sociale, la constituency del Movimento 5 Stelle. Mentre negli anni successivi al ’68 furono escluse le classi intellettuali emergenti, figlie del boom industriale, oggi chi pretende e ottiene inspiegabilmente ruoli importanti di governo è colui che a scuola era all’ultimo banco a far casino e non toccava libro neanche a pagarlo.

C’è una parte del Paese che non riconosce i meriti dei più bravi, di coloro che hanno studiato e ne sanno più di noi. Il Censis anni fa parlava di “rancore e nostalgia”, pochi giorni fa ha evocato la “cattiveria”. Speriamo di non vedere nei prossimi anni il terrorismo, sviluppatosi negli anni post ’68. Vale la pena ricordare che dal 1968 al 1980 per causa di terrorismo e scontri di piazza in Italia sono morte 454 persone, 171 sono stati i feriti, 4774 gli attentati e 1876 gli atti di violenza. Una spirale che non ha avuto eguali in Europa.

Nelle discussioni, anche accese, calmiamo gli animi e torniamo a ragionare. Sulla rete e sui social c’è una rabbia, una cattiveria senza fine. La mitezza e la calma sono valori universali. Usiamoli.

Twitter @beniapiccone