Il calo del prezzo del petrolio favorisce la democrazia

scritto da il 29 Luglio 2015

L’accordo raggiunto a Losanna dal gruppo 5+1 (Stati Uniti, Russia, Francia, Germania, Gran Bretagna e Unione Europea) sul nucleare iraniano ha subito avuto un effetto significativo sul prezzo del petrolio che ha toccato i minimi degli ultimi quattro mesi. Il mercato sta scontando l’ingresso sul mercato dei milioni di barili al giorno dell’Iran che è uscita dall’embargo sanzionatorio. All’aumento dell’offerta si sono sommate le preoccupazioni per la crescita cinese.

Il Brent è sceso fino a 53,33 dollari al barile (meno 10% dall’accordo del 14 luglio), e il West Intermediate – il benchmark americano – ha toccato i minimi a 47,20 dollari. Il calo verticale del prezzo del petrolio è una buonissima notizia, sia sul fronte economico che su quello dei diritti civili. Infatti esiste una legge sperimentata empiricamente che vede la democrazia rafforzarsi ogni qualvolta il prezzo del petrolio scende.

Come ha scritto e illustrato Thomas Friedman in “The world is flat, hot and crowded” diritti civili e prezzo del petrolio sono inversamente correlati. Più alto il prezzo del petrolio e più vediamo dittatori arabi arroganti dichiarare la volontà di distruggere Israele. Più è basso il prezzo del petrolio, e più i leader dei paese detentori di petrolio diventano improvvisamente buoni e mansueti. Friedman ha chiamato questa regola FLOP: “First Law of Petropolitics”. Secondo Friedman,

As oil prices went down in the early 1990s, competition, transparency, political participation, and accountability of those in office all tended to go up in these countries—as measured by free elections held, newspapers opened, reformers elected, economic reform projects started, and companies privatized. But as oil prices started to soar after 2000, free speech, free press, fair elections and freedom to form political parties and NGOs tended to erode in these countries.

È un lontano ricordo l’ex presidente (dal 2005 al 2013) dell’Iran Mahmud Ahmadinejad che osava minacciare il mondo quando il petrolio toccava i 150 dollari al barile. Durante la conferenza internazionale Il mondo senza sionismo, tenutasi nell’ottobre 2005, Mahmud Ahmadinejad, citando Khomeini, affermò con riferimento allo Stato di Israele: «… questo regime occupante Gerusalemme è destinato a scomparire dalla pagina del tempo… ».

Ulteriori affermazioni in tal senso sono state fatte in occasione del congresso della FAO svoltosi a Roma in data 3 giugno 2008, quando Ahmadinejad disse: «…per quanto concerne le atrocità israeliane nei territori occupati, il regime criminale che sta sfruttando la ricchezza dell’oppressa nazione palestinese e sta uccidendo innocenti da 60 anni, ha raggiunto la sua fine e sparirà dalla scena politica…» («…as to the Israeli atrocity in the occupied lands, the criminal regime which has been plundering the wealth of the oppressed Palestinian nation and has been murdering innocent people in the past 60 years, has reached its end and will disappear from the political scene…»).

Anche Putin nel corso del 2014 ha dimostrato più volte di voler alzare il livello dello scontro diplomatico con l’Unione Europea. Le sue mosse per la conquista della Crimea sono state il prologo per il tentativo di annessione dell’Ucraina. La UE ha reagito duramente imponendo delle sanzioni economiche che stanno pesantemente incidendo sulla congiuntura economica russa.

L’economia russa dipende fortemente dall’esportazione di energia, sia petrolio che gas. Il prezzo del petrolio è determinante. La speranza è che il prezzo dell’oro nero scenda ancora così da indurre Vladimir Putin a miti consigli sulla questione ucraina.

Speriamo non abbia ragione Leonardo Maugeri – uno dei massimi esperti di petrolio e autore di “L’era del petrolio” (Feltrinelli) – che sul Sole 24Ore ha scritto tempo fa: “La crescita del malcontento tra i russi potrebbe spingere Putin a un atteggiamento ancor più aggressivo, sia in patria che all’estero, nel tentativo di sedare sul nascere il malessere dei suoi concittadini e attribuire a nemici esterni i guai della Russia, così da tener vivo il consenso”.

Non solo per la Russia, ma anche per altri produttori, i tempi si fanno difficili. Secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale sono una ventina i paesi al mondo che derivano oltre metà delle entrate statali dal petrolio e altre dieci che ne derivano tra il 25% e il 50%. Maggior ragione per confidare in più giudiziosi comportamenti di questi paesi sul fronte dei diritti umani e della democrazia in generale. Quando il petrolio scende, la democrazia ha da festeggiare.

Twitter @beniapiccone