Spin-off della ricerca, l’urgenza di contaminarsi per crescere (e come farlo)

scritto da il 26 Aprile 2016

Pubblichiamo un post di Mariacarmela Passarelli e Michele Petrone. I due autori si occupano di trasferimento tecnologico e sviluppo dell’innovazione da circa 10 anni. Hanno lavorato per Atenei, organizzazioni regionali, start-up venture backed e pubblicato di questi temi su riviste scientifiche a diffusione nazionale ed internazionale –

Nel nostro Paese c’è un enorme potenziale per l’industria e l’innovazione, ed è il risultato dello sviluppo scientifico e tecnologico realizzato nei laboratori universitari. E lo si osserva esaminando gli spin-off accademici che ricercatori e docenti universitari creano per portare al mercato i risultati del loro lavoro di sviluppo. L’ultima survey di Netval, associazione che raggruppa le Università e gli Enti Pubblici di Ricerca italiana, conta oltre 1.100 spin-off, con un potenziale ancora da sviluppare se si considerano gli oltre 3.100 brevetti che gli Atenei italiani hanno in portafoglio.

Certo, se si verifica quanti di questi spin-off riescono effettivamente a crescere, ed a chiudere ad esempio round di fundraising in fase seed o venture, i numeri si riducono drasticamente. Il rapporto Venture Capital Monitor ha contato che nel 2014 solo il 10% delle operazioni totali ha riguardato spin-off: 7 su circa 70. Se poi andiamo a spulciare nei portafogli dei venture capitalist nostrani, le start-up legate ai laboratori universitari sono una piccolissima parte. Quindi un enorme potenziale che – per citare un’espressione cara agli studiosi di management del trasferimento tecnologico – resta ancora nelle ‘torri d’avorio’.

Qualcosa evidentemente non funziona. Gli spin-off potrebbero essere le start-up per antonomasia: tecnici senior, network internazionale per attività di testing e sviluppo, proprietà intellettuale, tecnologia validata nelle fasi iniziali grazie alle attività ed ai fondi della ricerca di base. Insomma, tutto il potenziale per divenire rapidamente grow-up e global scale-up. Proprio quello che ricerca un venture capitalist. Ma questo non accade. Perché?

Già negli anni ‘90, quando oltre oceano si iniziava a registrare il fenomeno della nuova imprenditorialità high tech, lo studioso Edward Roberts nel volume “Entrepreneurs in high technology. Lessons from MIT and beyond” aveva ben identificato il rischio in cui incorre questo tipo di imprenditori, e cioè quello di credere che: if you build a better mousetrap, the world will beat a path to your door. La tecnologia è sicuramente il vantaggio competitivo delle aziende spin-off, ma non bisogna perdere di vista il mercato (che nel marketing non è il topo, ma il cliente), il team imprenditoriale e quel delicato nesso di competenze e motivazioni che è un’azienda. In sostanza, un conto è sviluppare una tecnologia, un altro conto è sviluppare un prodotto, un altro conto ancora è sviluppare un’azienda.

La chiave di volta potrebbe essere allora individuata in una maggiore contaminazione tra questi spin-off, ovvero start-up science based ancora in nuce anche se ad elevato potenziale, ed il mondo aziendale ed industriale. La contaminazione può essere ricercata nella finalità “imprenditoriale” degli spin-off, che potrebbero puntare anzitutto alla valorizzazione mediante ‘plug-in’, ossia integrazione con aziende grandi, medie già attive e competitive. Ma può essere ricercata anche nelle scelte di governance. Ben vengano, ad esempio, gli spin-off con team eterogenei composti da profili di matrice tecnico-scientifica e profili manageriali, meglio se esperti e con capacità di business development. Ove possibile anche mediante contaminazione tra dipartimenti universitari. Dovrebbe essere poi una sorta di regola aurea ‘portare a bordo’ manager con esperienza industriale in posizioni di Chief Executive Officer (CEO) o di Chief Operation Officer (COO), anche se impegnati solo part-time o con ruoli da ‘executive in residence’. Non sempre queste figure sono facili da attrarre, ma le tecnologie innovative, la leva della partecipazione all’equity ed il potenziale di global scale-up potrebbero rendere il ‘sogno’ attraente.

Si tratta insomma di innescare meccanismi di contaminazione tra mondi ancora lontani. La presenza di efficaci strutture di trasferimento tecnologico potrebbe però aiutare sia nell’attività di matching tra elementi del sistema accademico ed elementi del sistema imprenditoriale che nella composizione di team imprenditoriali eterogenei. E forse dovrebbe essere proprio questa la missione fondamentale da assegnare alle strutture di technology transfer: abilitare l’accesso di ogni singolo spin-off a un ecosistema senza il quale il potenziale rimarrà tale.

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