Il grande rimescolamento globale del reddito

scritto da il 23 Luglio 2016

Pubblichiamo un post di Branko Milanovic apparso su VoxEU.org.

Gli effetti della globalizzazione sulle distribuzioni del reddito nei Paesi ricchi sono stati oggetto di numerosi studi. Questo articolo adotta un approccio differente, prendendo in esame l’evoluzione dei redditi a livello mondiale dal 1988 al 2008. Le persone collocate intorno alla mediana della distribuzione mondiale del reddito e quelle collocate nel percentile più alto hanno realizzato guadagni significativi in termini di reddito reale, mentre non è cresciuto per le persone collocate fra l’80° e l’85° percentile della distribuzione mondiale, un gruppo composto dai cittadini dei «vecchi» Paesi ricchi dell’Ocse che nella distribuzione del reddito nazionale si collocano nella metà inferiore.

di Branko Milanovic

Gli effetti degli scambi commerciali, o più in generale della globalizzazione, sui redditi e sulla loro distribuzione nei Paesi ricchi sono stati oggetto di numerosi studi, a cominciare da una serie di lavori degli anni 90 sulla distribuzione dei salari per arrivare a studi più recenti sugli effetti della globalizzazione sulla quota del lavoro (Karabarbounis e Neiman 2013, Elsby et al. 2013), la disuguaglianza salariale (Ebenstein et al. 2015) e i lavori più ripetitivi della classe media (Autor e Dorn 2010).

In uno studio condotto insieme a Christoph Lakner (Lakner e Milanović 2015) e in un libro di recente pubblicazione, “Global Inequality: A New Approach for the Age of Globalization” (Milanović 2016), adotto un approccio differente all’analisi dei redditi reali sull’insieme della popolazione mondiale. È stato possibile grazie ai dati di quasi 600 indagini sulle famiglie condotte in circa 120 Paesi diversi, che rappresentano oltre il 90 per cento della popolazione mondiale e il 95 per cento del Pil mondiale. Dal momento che le indagini non sono disponibili per tutti i Paesi ogni anno, i dati sono «centrati» su anni di riferimento, a intervalli di cinque, partendo dal 1988 e finendo con il 2008. In Milanović (2016) riporto i risultati fino al 2011, mentre Lakner ha un aggiornamento non pubblicato per il 2013: gli aggiornamenti confermano o rafforzano i risultati di fondo relativi al periodo 1988-2008, di cui tratta questo articolo.

Il vantaggio di un approccio globale risiede nella sua esaustività e nella capacità di osservare e analizzare gli effetti della globalizzazione in molte parti del mondo e in molti punti della distribuzione mondiale del reddito. Mentre gli effetti, veri o presunti, della globalizzazione sui redditi dei lavoratori nei Paesi ricchi sono diventati oggetto di virulente battaglie politiche – specialmente in seguito al referendum sull’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea e all’ascesa politica di Donald Trump negli Stati Uniti – gli effetti complessivi della globalizzazione sul resto del mondo hanno ricevuto meno attenzione, e quando l’hanno ricevuta sono stati studiati separatamente, come se fossero fenomeni indipendenti, dagli effetti osservati nei Paesi ricchi.

Il grafico 1 – soprannominato da qualcuno il «grafico a elefante» per via della sua forma – mostra i guadagni di reddito reale realizzati dai diversi percentili della distribuzione mondiale del reddito tra il 1988 e il 2008. Il reddito è misurato in dollari internazionali 2005 e gli individui sono classificati in base al reddito familiare reale pro capite. I risultati mostrano notevoli guadagni di reddito in termini reali da parte delle persone collocate intorno alla mediana mondiale (punto A) e da quelle che fanno parte del percentile più ricco (punto C). Inoltre, evidenziano un’assenza di crescita del reddito in termini reali per le persone tra l’80° e l’85° percentile della distribuzione mondiale (punto B).

Grafico 1. Crescita cumulativa del reddito reale tra il 1988 e il 2008 per i vari percentili della distribuzione mondiale del reddito

Schermata 2016-07-22 alle 19.08.58

Area del grafico: crescita media
Asse delle ascisse: percentile della distribuzione mondiale del reddito

Chi sono le persone che si collocano in questi tre punti chiave? Il 90 per cento di quelli situati intorno alla mediana mondiale sono asiatici, in particolare cinesi e indiani. I loro progressi non sono una sorpresa, se si considera che nel periodo preso in esame il Pil pro capite in Cina e in India è cresciuto rispettivamente di 5,6 e 2,3 volte. Per esempio, la persona situata nella mediana della distribuzione urbana cinese nel 1988 occupava la stessa posizione nella distribuzione mondiale, ma nel 2008 era salita al 63° percentile e nel 2011 aveva superato il 70°. In altre parole, in termini di reddito quella persona ha scavalcato circa un miliardo e mezzo di individui. Cambiamenti così eclatanti delle posizioni di reddito relative nell’arco di un periodo piuttosto breve non avvenivano dai tempi della Rivoluzione Industriale, due secoli fa.

Le persone collocate intorno alla mediana mondiale, tuttavia, sono ancora relativamente povere secondo i parametri occidentali. Questa «classe media mondiale» emergente è composta di individui con redditi familiari pro capite compresi fra i 5 e i 15 dollari internazionali al giorno. Per mettere queste cifre nella giusta prospettiva, occorre ricordare che la soglia di povertà nazionale nei Paesi ricchi spesso è superiore a 15 dollari al giorno per persona.

L’1 per cento più ricco a livello mondiale è composto nella stragrande maggioranza da cittadini di economie avanzate: la metà sono americani, o, se vogliamo metterla in altri termini, il 12 per cento degli americani si colloca nel percentile più alto della distribuzione mondiale. La Cina e l’India hanno molti miliardari (secondo l’elenco stilato dalla rivista Forbes nel 2015 ne vantano più di 300, contro gli oltre 500 degli Stati Uniti), ma rispetto ai «vecchi» Paesi ricchi, i Paesi asiatici non hanno ancora quantità sufficienti di «benestanti ricchi» o famiglie benestanti. Nel 2008, la soglia per far parte del percentile più ricco a livello mondiale era 45mila dollari internazionali all’anno per persona, che tradotto in una struttura familiare tradizionale di due coniugi e due bambini implica un reddito dopo le tasse di 180mila dollari (o, usando le aliquote approssimate dei Paesi ricchi, un reddito prima delle tasse di oltre 300mila dollari).

Il punto che attira maggiore attenzione è il B. Il 70 per cento delle persone che rientrano in quella fascia è composto da cittadini dei «vecchi» Paesi ricchi dell’Ocse. Nella distribuzione nazionale sono situati nella metà inferiore, il che significa che in pratica le distribuzioni del reddito dei Paesi ricchi cominciano dal 70° percentile della distribuzione mondiale. (Per alcune economie avanzate particolarmente ricche ed egualitarie, il punto di partenza si colloca ancora più su: in Danimarca, la distribuzione parte intorno all’80° percentile mondiale.)

Il contrasto tra il successo indiscutibile delle persone nel punto A e l’insuccesso relativo di quelle nel punto B ci permette di guardare agli effetti della globalizzazione in un’ottica più generale. Sovrapporli in questo modo ci permette non solo di vedere i suddetti effetti più chiaramente, ma anche di domandarci se i due punti siano in un certo modo collegati: l’assenza di crescita fra le classi medio-basse del mondo ricco è il «prezzo» che è stato pagato per gli elevati guadagni di reddito delle classi medie nazionali in Asia? È improbabile che si possa dare una risposta definitiva a questa domanda, perché stabilire rapporti di causa-effetto tra fenomeni tanto complessi, che sono influenzati anche da una moltitudine di altre variabili, è molto difficile se non addirittura impossibile. Tuttavia, la coincidenza temporale di questi due andamenti e la plausibilità delle narrazioni che li mettono in collegamento, proposte sia da economisti sia da politici, fa sì che la correlazione, nella mente di molte persone, appaia reale.

Oltre a guardare il rimescolamento globale del reddito attraverso le lenti dello Stato-nazione (le perdite dei lavoratori britannici sono collegate ai guadagni dei cinesi?), possiamo guardarlo attraverso una lente puramente cosmopolita, in cui tutti gli individui sono su un piano di parità e i guadagni dei più poveri, a parità di percentuale, sono giudicati più preziosi dei guadagni dei ricchi. Adottando questa prospettiva, sarebbe difficile liquidare il periodo dal 1988 al 2008 (e fino al presente, come confermano i nostri risultati fino al 2013) come un fallimento. Si potrebbe anzi, nonostante l’aumento della quota dell’1 per cento più ricco a livello mondiale, sostenere il contrario, visto che circa un quinto della popolazione mondiale (quella che si colloca tra il 45° e il 65° percentile) ha quasi raddoppiato il proprio reddito reale. È questa crescita del reddito reale che è all’origine del primo calo della disuguaglianza mondiale dai tempi della Rivoluzione Industriale (Milanović 2016, capitolo 1).

Il problema, tuttavia, è che un’ottica tanto cosmopolita è un modo molto astratto per analizzare le questioni legate alla distribuzione. Per la maggior parte delle persone quello che conta è il confronto tra il proprio reddito e quello dei loro concittadini. Milanović e Roemer (2016) mostrano che quello che sembra uno sviluppo molto positivo (cioè una minore disuguaglianza a livello mondiale) se si presuppone che gli individui si preoccupino unicamente del proprio reddito assoluto lo diventa molto meno se si include nelle loro funzioni del benessere la preoccupazione per le posizioni di reddito relative nelle distribuzioni nazionali: in questo caso il sentimento dominante a livello mondiale, per effetto dell’aumento delle disuguaglianze di reddito nazionali, diventa una percezione di perdita relativa.

Le implicazioni politiche di un «grafico a elefante» si fanno sentire negli spazi politici nazionali. E in questi spazi, l’aumento della disuguaglianza a livello nazionale, anche se accompagnato da una riduzione della povertà e della disuguaglianza a livello mondiale, può rivelarsi difficile da gestire politicamente.

Twitter @BrankoMilan

(Traduzione di Fabio Galimberti)

Autor, David e David Dorn (2010), «The growth of low-skill service jobs and the polarization of US labor market», American Economic Review, 103 (5), pp. 1553-1597.

Ebenstein, Avraham, Ann Harrison, Margaret McMillan e Shannon Phillips (2014), «Estimating the Impact of Trade and Offshoring on American Workers Using the Current Population Surveys», Review of Economics and Statistics, 96 (4), pp. 581-595.

Elsby, Michael W. L., Bart Hobijn e Ayşegül Şahin (2013), « HYPERLINK “http://www.newyorkfed.org/research/economists/sahin/LaborShare.pdf” \t “_blank” The Decline of US Labor Share», studio preparato per il Brookings Panel on Economic Activity, settembre 2013.

Karabarbounis, Loukas e Brent Neiman (2013), «The Global Decline of the Labor Share», Quarterly Journal of Economics, 129 (1), pp. 61-103.

Lakner, Christoph e Branko Milanović (2015), «Global income distribution: from the fall of the Berlin Wall to the Great Recession», World Bank Economic Review, 30 (2), pp. 203-232.

Milanović, Branko (2016), Global Inequality: A New Approach for the Age of Globalization, Harvard University Press, Cambridge (Massachusetts).

Milanović, Branko e John Roemer (2016), «Interaction of global and national income inequalities», Journal of Globalization and Development, di prossima pubblicazione.