Volumi, prezzi, sweet spot. Perché i nuovi barbari vincono e l’Italia è indietro

scritto da il 01 Agosto 2016

Facciamo qualche nome: la svedese Ikea, l’irlandese Ryanair, il francese Decathlon, lo spagnolo Zara. Cos’hanno in Comune? La capacità che hanno avuto, in tempi brevissimi, di conquistare quote di mercato rilevanti, nel mondo. E anche in Italia.

Quel che li accomuna sono sicuramente le politiche dei prezzi. Questo perché oggi è più importante che mai il tema del pricing per le aziende B2C (business to consumer). La ragione è che mai come negli ultimi anni il mercato, soprattutto quello del retail, la vendita al dettaglio, ha visto crescere la trasparenza su quali siano i prezzi. Di conseguenza i consumatori sono facilitati nella comparazione delle varie offerte e nella scelta. Chi si rifiuta di essere trasparente non piace e ha minori quote di mercato.

Esiste per ogni servizio, dato il livello di qualità e forza del brand, uno sweet spot in cui posizionarsi. Si tratta di quel punto che crea un equilibrio tra:

– Quanto il cliente è disposto a spendere per quel servizio;

– Quanto l’erogatore del servizio vuole guadagnare;

– Quanto il gestore della piattaforma necessita per essere sostenibile e avere margini sufficienti.

Un semplice modello permette di rappresentare questo sistema di 3 attori. Ipotizzando che il rapporto tra i volumi di vendita e il prezzo sia regolato da una legge esponenziale negativa, il margine totale, dato dal prodotto tra il margine unitario e il volumi di vendita, è rappresentato dal grafico seguente:

Schermata 2016-08-01 alle 12.11.39
(I parametri inclusi sono stati fissati ai valori di: costo unitario dell’erogatore = 20 euro, parametro di inelasticità della domanda = 1/30, ampiezza totale del mercato = 1 milione, come ad esempio la popolazione milanese).

Appare dunque evidente che il punto che permette di massimizzare il margine totale è unico, e corrisponde appunto allo sweet spot. Esso dipende dai volumi di vendita, che a loro volta dipendono dal prezzo. Questo rapporto tra volumi di vendita e prezzo permette di spiegare il diffuso fenomeno della winner-take-all economy: appunto i prezzi vengono contenuti per poter far crescere i volumi, finendo per innalzare così una barriera all’entrata contro i concorrenti.

Tale modello descrive bene le tendenze in corso in molti settori di commercio e servizi,  sanità, e-commerce. Alcuni degli esempi li ho citati all’inizio di questo articolo. Ryanair è riuscito ad entrare trionfante nel red ocean dei trasporti aerei grazie all’offerta dei voli low cost.

In generale il punto di partenza di tutti questi player, di questi nuovi “barbari” che entrano nel mercato senza tanti complimenti, è il contenimento dei costi unitari grazie a economie di scala in termini di volumi di produzione. Nel caso sia un business capital-intensive, il pricing è sin da subito definito come se fossero al massimo della saturazione. Questo può creare perdite in fase di start-up ma crea enormi distanze competitive nei confronti di chi usa concetti usuali di pricing, che quindi rimane spiazzato e perde immediatamente quote di mercato.

I consumatori ne escono vincenti perché hanno servizi a pari qualità a prezzi radicalmente inferiori. Questo approccio è molto diverso da chi fa prezzi bassi perché il servizio erogato ha minore qualità. Certo, spesso c’è da superare un’altra barriera, quella psicologica: nel sentire comune il prezzo è sovente direttamente collegato alla qualità e chi fa prezzi molto inferiori a quelli precedentemente esistenti nel mercato all’inizio viene accolto con scetticismo.

Per aumentare la platea di soggetti di questo genere, vale a dire soggetti che siano in grado fin dall’inizio di “conquistare uno sweet spot” (il che si traduce in prezzi vantaggiosi per gli utenti e/o consumatori), con prezzi competitivi che permettono loro di raggiungere in fretta grandi volumi, servono finanziamenti. Che si traducono inevitabilmente in perdite nella fase di lancio, certo, ma che consentono agli investitori allettanti prospettive di guadagni futuri, proprio per la capacità di questi soggetti di conquistare fette di mercato importanti in tempi brevi. Per questo, un mercato dei capitali che permetta alle start-up di scalare, di crescere in fretta, diventa un ingranaggio importante per lo sviluppo economico di un Paese.

Ho l’impressione che su questo tema in Italia siamo indietro.

Twitter @lforesti