Bayer-Monsanto può cambiare la storia degli Ogm in Europa (in Italia chissà)

scritto da il 15 Settembre 2016
Pubblichiamo un post di Giordano Masini. Amministratore e caporedattore di Strade, collabora con Il Foglio. Imprenditore agricolo dal 1994, è titolare di un’azienda agricola ed agrituristica a Proceno, in provincia di Viterbo
Parlare della fusione tra Bayer e Monsanto non è facile. Si parla di Monsanto, e come sempre avviene quando c’è di mezzo l’azienda di St. Louis, è difficile distinguere i fatti dalle suggestioni. Monsanto non è una azienda come le altre, è il colosso degli Ogm, l’evoluzione in chiave biotech del miglioramento genetico delle varietà vegetali. Ma se Monsanto è una azienda speciale, nell’immaginario collettivo, lo è molto meno il processo che ha condotto Bayer all’offerta di 66 miliardi di dollari sul suo “cartellino”.
In realtà, che qualcosa dovesse succedere era chiaro da tempo. E non perché, come molti oggi scrivono, si vuole creare una evoluzione ancor più cattiva del grande Satana – Mon-Satan, è il nomignolo che i detrattori hanno appiccicato alla multinazionale americana – in grado di controllare la produzione di cibo globale, affamare i popoli e chissà cos’altro. Più semplicemente, non era possibile che Bayer e Monsanto (e BASF) restassero a guardare mentre Dow e Dupont si fondevano, e soprattutto mentre il colosso cinese ChemChina assorbiva Syngenta, la stessa Syngenta che Monsanto aveva provato invano appena un anno fa.
Insomma, quello che è in corso è un rapido processo di concentrazione nel settore dell’agrochimica e affini, di cui Monsanto è solo una dei protagonisti, e non nella cabina di regia. Un processo che oggi ci consegna tre “grandi sorelle”, dal nome ancora doppio, almeno per il momento: Dow – Dupont, ChemChina – Syngenta e Bayer – Monsanto. Più BASF che per ora è rimasta alla finestra, in posizione defilata. Tutto bene, quindi? Non troppo.
Non troppo perché la diminuzione dei concorrenti è sempre una cattiva notizia, soprattutto per chi di quelle aziende è il principale cliente, ovvero gli agricoltori di tutto il pianeta. Nell’affare Bayer – Monsanto ci sarà senz’altro lavoro per l’antitrust, e bisognerà vedere quali rami verranno potati, e a beneficio di chi. Qualcuno ventilava la sparizione dal catalogo dell’erbicida glifosate, il cui brevetto di Monsanto è scaduto da tempo, e la sostituzione con l’omologo glufosinate, creato da Bayer e ancora monopolio dell’azienda. Presto per dirlo, anche se sembra improbabile che dall’oggi al domani il nuovo colosso di tecnologie e agrochimica si liberi a cuor leggero del comparto Round-Up Ready di Monsanto – semi resistenti appunto al glifosate – e del suo enorme carico di know how e clienti mondiali, per rimpiazzarlo con l’omologo tedesco Liberty Link – semi resistenti al glufosinate.
Insomma, le cose sono complesse: negli ultimi anni il prezzo dei semi è crollato – anche se l’anomalia erano i prezzi altissimi delle annate 2008 e 2011, più che quelli di oggi – mentre il prezzo dei prodotti per l’agricoltura è continuato a crescere, anche a causa di questo eccesso di concentrazione e di posizioni dominanti sul mercato. È difficile sapere se e quanto di questo “costo aggiuntivo” sia stato restituito agli agricoltori in termini di maggiori rese, in ogni caso le preoccupazioni di chi vede convergere un’intero comparto industriale globale sotto pochissime “ragioni sociali” paiono fondate.
C’è da dire anche, a onor del vero, che soprattutto nel campo delle biotecnologie applicate all’agricoltura questo eccesso di concentrazione è stato ampiamente favorito dai regolatori pubblici, attraverso procedure di autorizzazione per la messa in commercio di nuove varietà alla portata dei soli incumbent, e senz’altro lontanissime dalle possibilità economiche dei centri di ricerca pubblici. La prima ragione dell’assenza – tra le colture geneticamente modificate presenti sul mercato – di varietà diverse dalle grandi commodities, che non interessano quindi per volume d’affari le multinazionali ma potrebbero interessare gli agricoltori, è da ricercarsi qui, nell’eccesso di regolamentazione applicato per venire incontro alle paure irrazionali dell’opinione pubblica verso le biotecnologie.
Infine ci potrebbero essere delle novità proprio per quanto riguarda l’Europa. Se le restrizioni europee verso gli Ogm (una sola varietà approvata, l’ormai obsoleto Mon-810) derivavano dalla presenza sul mercato di (quasi) un solo grande player d’oltreoceano, oggi le cose potrebbero cambiare: finora le grandi aziende della chimica europee (Bayer in primis) non avevano interesse alla diffusione di colture che avrebbero provocato un calo del consumi di pesticidi, oggi potremmo finalmente assistere all’autorizzazione di molte varietà presenti sul nuovo catalogo Bayer-Monsanto.
Per gli agricoltori europei sarebbe un bel passo in avanti, almeno nei paesi in cui le normative nazionali non asseconderanno i pregiudizi antiscientifici più diffusi. Non in Italia, quindi: proprio in questi giorni è calendarizzato alla Camera e al Senato il dlgs sugli Ogm, che permette di vietare la coltivazione di prodotti sicuri e coltivati in sicurezza in tutto il mondo anche per (non è uno scherzo) ragioni “di ordine pubblico”.