L’inflazione su, i salari reali giù e come potrebbe andare a finire la Brexit

scritto da il 20 Ottobre 2016

Ho sempre considerato la questione relativa alla cosiddetta Brexit soprattutto di natura politica, piuttosto che basata su fondate giustificazioni economiche. In fin dei conti lo status della Gran Bretagna nell’Unione europea è certamente privilegiato. La partecipazione al mercato unico è accompagnata da numerose clausole di opt-out, superiori a quelle degli altri Paesi aderenti, che le consentono una serie di deroghe all’applicazione delle normative comunitarie. L’adozione, poi, di un cambio flessibile tra sterlina ed euro ha consentito vari margini di operatività sui conti esteri e sulla posizione patrimoniale sull’estero che, nel caso di un cambio fisso, non si sarebbero potuti attivare.

Una posizione privilegiata quindi, che non è bastata ad evitare il voto pro Brexit al referendum. Pare di capire, dalle analisi che si son fatte fin dai giorni immediatamente successivi, che una spinta decisiva all’uscita dalla UE sia stata data dal tema dell’immigrazione, dal fatto che ormai la Gran Bretagna sia diventata una delle destinazioni preferite per chi, cittadino comunitario o extra-comunitario, cerca lavoro all’estero. Tutto questo con il solito corollario degli stranieri che rubano il lavoro agli inglesi e spingono al ribasso i salari.

Quanto c’è di vero in tutto ciò?

Non v’è dubbio che la Gran Bretagna sia stata meta di immigrazione a fini lavorativi negli ultimi anni. A giugno 2016 5,4 milioni di persone nate fuori dai confini britannici lavoravano nel Regno Unito. Di questi 2,3 milioni sono nati in altri Paesi della UE, mentre 3,1 milioni sono nati fuori dalla UE.

Il tasso di occupazione ha raggiunto però il 74,5% della popolazione tra i 16 e 64 anni, il valore più alto da quando è iniziata la rilevazione. Il tasso di disoccupazione è al 4,9%, il valore più basso degli ultimi 10 anni. Difficile pensare che sia l’arrivo di persone dall’estero a togliere lavoro ai residenti in un Paese che è ormai prossimo al pieno impiego.

Se guardiamo invece alla dinamica dei salari ci accorgiamo, però, che qualcosa di anomalo, di differente tra la Gran Bretagna e gli altri Paesi del G7, è avvenuto. Dai dati diffusi con l’ultimo rapporto OECD Employment Outlook 2016 descritti nel grafico qui sotto si può notare come, a differenza degli altri Paesi, in Gran Bretagna i salari reali siano scesi di oltre il 10% dal 2007.

1 - salari reali e nominali

Grafico 1. Variazione cumulata dei salari nominali e reali dal 2007 al 2015

Giusto per fare un paragone, il calo dei salari reali nel Regno Unito è stato tale a quello avvenuto nello stesso periodo in Grecia. A dispetto di quanti ripetono che o si svaluta la moneta o si svaluta il salario, è evidente che si possano svalutare entrambi. La discriminante di tutto ciò viene data da quanto un sistema riesce a essere produttivo, a migliorare il modo, l’efficienza, con cui le risorse di capitale e di lavoro vengono impiegate.

Se i posti di lavoro creati sono posti di lavoro marginali, in settori a bassa produttività, l’aumento nominale dei salari può comunque sfociare in una diminuzione in termini reali, a causa dell’aumento più che proporzionale dell’inflazione. Nel Regno Unito, con una produttività che è rimasta pressoché la stessa dal 2007, pari a quella dell’Italia in termini di prodotto per ora lavorata, 22 punti di inflazione cumulata dal 2007 al 2015 hanno più che compensato l’aumento dei salari nominali avvenuto nello stesso periodo.

Per questa ragione può essere comprensibile come, con il dato sull’inflazione diffuso il 18 ottobre, il deprezzamento della sterlina degli ultimi tempi stia per provocare gli stessi effetti che si volevano contrastare con il referendum.

Ma c’è di più.

L’istituto nazionale di statistica del Regno Unito ha pubblicato recentemente un supplemento alla consueta analisi sull’andamento dei prezzi al consumo dal quale è possibile ricavare (si veda il grafico 2) l’andamento dell’inflazione, distinguendone il contributo tra le varie componenti per intensità all’import. Quelle con intensità tra 0 e 10% sono quelle meno sensibili alle variazioni di prezzo delle importazioni, quelle oltre il 40% sono le più sensibili.

2 _ contributi alla inflazione

Grafico 2. Contributo alla variazione dell’inflazione in funzione del contenuto di import. Fonte: ONS

Da questo grafico si nota come la variazione dell’ultimo anno, con l’inflazione che è passata da -0,1% all’ 1%, è principalmente dovuta alla componente “energy” che, con i rialzi degli ultimi periodi, ha esaurito la propria spinta deflattiva. Un ulteriore contributo, ma comunque moderato, è fornito dai beni a bassa intensità di import. Il contributo degli altri beni, che hanno contenuti di import più elevati, e quindi più soggetti a variazioni in funzione del cambio, è ancora sostanzialmente nullo. Probabile che solo nei prossimi mesi si possano iniziare a manifestare completamente gli effetti sui prezzi al consumo del deprezzamento della sterlina.

Per quanto riguarda, invece, i prezzi degli input alla produzione, l’effetto del cambio ha già fornito segnali evidenti. Il dato di settembre registra un aumento del 7,2%, in leggera diminuzione dal 7,8% di agosto, ma in decisa controtendenza rispetto al -13,4% registrato a settembre dello scorso anno.

Se gli effetti sui prezzi al consumo devono ancora manifestarsi può essere interessante andare ad analizzare come si stiano evolvendo i prezzi all’esportazione. La tesi di coloro che valutano favorevolmente il recente deprezzamento del cambio fa leva sulla possibile maggiore competitività estera dei prodotti realizzati in Gran Bretagna. Questa maggiore competitività, combinata ad una maggiore costo degli input importati, dovrebbe servire a riequilibrare, o comunque migliorare, i conti con l’estero, altro elemento di debolezza del sistema economico britannico.

Anche in questo caso, per capire cosa sta succedendo, e cosa è ipotizzabile aspettarci, ci viene in aiuto l’istituto nazionale di statistica che fornisce alcuni dati interessanti (si veda la figura 3) riguardo i prezzi all’import e all’export registrati negli ultimi anni.

3 - prezzi import export

Grafico 3. Prezzi all’importazione e all’esportazione del Regno Unito. Fonte: ONS

Ipotizzando che le aziende facciano importazioni pagando tutto in valuta estera ed esportino riscuotendo sterline, sarebbe logico aspettarsi che il deprezzamento del cambio faccia aumentare i prezzi all’import e mantenga costanti o in leggero aumento i prezzi all’esportazione.

L’esperienza degli ultimi anni ha dimostrato invece che i prezzi all’importazione all’esportazione si muovono in sincronia. Le imprese britanniche tendono a mantenere i listini in valuta estera costanti, adeguando i prezzi in valuta nazionale. In considerazione di ciò il supposto miglioramento della competitività di prezzo dei beni esportati, stando all’esperienza degli ultimi anni, pare non essere ipotizzabile.

Il dato sull’evoluzione del saldo commerciale di questi ultimi mesi supporta questa ipotesi: con il valore delle importazioni in aumento e il valore delle esportazioni stazionario. Questo aggrava ulteriormente il deficit delle partite correnti della Gran Bretagna e rende ancora più essenziale il ruolo che ha rivestito negli ultimi anni di centro finanziario internazionale. Grazie a tale ruolo, ha potuto fruire di consistenti flussi finanziari che le hanno evitato la necessità di mettere in atto misure di correzione dei saldi esteri. In virtù di tale rilevanza, è probabile che le negoziazioni di uscita dall’UE abbiano comunque l’obiettivo di conservare l’adesione al mercato comune, e pertanto portino a non poter rifiutare il rispetto di anche una soltanto delle quattro libertà (libertà di circolazione dei capitali, libertà di circolazione delle merci, libertà di circolazione dei servizi e libertà di circolazione delle persone).

In questo modo la Gran Bretagna rischia di trovarsi, al termine dell’iter per la Brexit, a dover garantire la stessa libertà di circolazione delle persone e delle merci, un analogo contributo al bilancio UE, senza però poter incidere sulle decisioni politiche, così come ha fatto finora. Alla fine della storia, se il sistema non riuscirà ad aumentare la produttività le pressioni al ribasso si scaricheranno sui salari, sia che il Regno Unito resti nella EU sia che ne esca.

Twitter @francelenzi