Chi vuole diventare ricco con il panettone?

scritto da il 14 Dicembre 2016

Il panettone a Natale è una tradizione. A mio avviso è anche un’opportunità per far soldi, non solo nel periodo delle renne, ma durante tutto l’anno. Facciamo il punto. “Cresce il business del panettone fino a 60 milioni di euro, 2,5 milioni in più rispetto allo scorso anno, +5%. Il giro del business che vale circa un quarto delle vendite in pasticceria di questo periodo.” Emerge da un’indagine della Camera di Commercio di Milano su oltre trenta pasticcerie artigianali milanesi contattate in questi giorni.

Ora, in totale le pasticcerie artigianali (per lo più associate a Unione Artigiani di Milano) che hanno aderito all’iniziativa panettone artigianale sono 150. Avranno una vetrofania esposta per farsi riconoscere. Il 15 dicembre in 80 pasticcerie del gruppo saranno disponibili assaggi gratis di panettone. Mi auguro che, dopo averlo assaggiato, le persone ne comprino un paio per la festa.

Sono tutte cose belle ma diciamocelo, molto caserecce. Anzi oserei dire molto milanesi.
Se anche solo Milano facesse un salto in più, e le sue pasticcerie artigianali (quindi parliamo di un prodotto di qualità superiore) vendessero all’estero? Proviamo a mettere insieme una tradizione di valore aggiunto rappresentato dal prodotto e una sferzata di tecnologia?
Facciamo un passo per volta e partiamo dal valore aggiunto e la tradizione pasticciera.

Tanto per andare tranquillo ne ho parlato con uno dei maestri indiscussi della pasticceria europea: Iginio Massari. L’ho incontrato all’evento del Panettone Day, un altro lodevole progetto per “deistituzionalizzare” il panettone e promuoverlo, specialmente all’estero, come dolce da consumare tutto l’anno (quello che già succede se andate da Harrods anche “fuori stagione”). Per chiarirci, se tu che stai leggendo non sai di chi parlo, ti prego, vai a leggere qualcun altro. È come dire essere cattolici e non sapere quando cade il Natale.

“I governi hanno il dovere di promuovere la propria nazione e le sue doti all’estero. Quelli del passato han fatto flop.” Esordisce Iginio, e già qui partiamo bene. “In Italia se 1000 partecipano a un corso per maestri pasticcieri in 1000 vogliono essere promossi. Il discorso di base che tutti devono aver la laurea o il diploma. Non è giusto. A me hanno regalato il titolo di maestro a 36 anni. Io non sono un maestro, mai fatto nessun esame. Ho anche una laurea ad honorem. Lo Stato non è mai intervenuto a creare una maestria vera e propria.” Questo tanto per fare il punto sul concetto di qualità della pasticceria e necessaria abilità dei pasticceri.

Ora passiamo al concetto di cibo e dolce.

“L’alimentazione è la prima medicina che l’uomo ingoia. Non ci sono cibi sani o orrendi. Le diete tutti pensano che debbano essere dimagranti. Te la crei su misura. I dolci sono il cibo della trasgressione ma anche cibo premio. È il cibo che ha una simmetria con i percorsi dell’amore. Lo zucchero è un anti depressivo naturale, se mangiato nella giusta misura è positivo. C’è la questione dello zucchero legato al diabete. Il diabete viene perché fai poco movimento.” Con la puntualizzazione che Iginio non è un medico arriviamo a parlare di panettone.

“Il panettone ha un messaggio forte. Questo è un prodotto che non è una materia prima ma materia di vita: il popolo nel tempo ha realizzato che in questa materia di vita c’era energia. Questo dolce ha un valore simbolico. Il panettone e il valore simbolico che possiede è la chimera che l’uomo ha sempre sognato.” E qui lo ammetto si scivola nel mondo che adoro quando parlo con Iginio, quella realtà metafisica che diviene ponte tra un cibo e il suo valore aggiunto (brutalmente detto storytelling dai markettari).

“L’uva passa in antichità era la moneta. I cubetti di cedro erano l’eternità. Esiste quindi questa voglia di vivere che è incarnata nel panettone. L’uomo vive la vita come le vacanze. Via in spiaggia e zac va a fare sport. Si deve far capire il valore. Io, con il panettone, ti offro l’augurio di avere tanti soldi, avere tanto amore ed essere eterno. Quindi un messaggio.” Se qualcuno avesse dubbi sul valore aggiunto, lo storytelling per promuovere il panettone all’estero, direi che dopo aver letto le parole di Iginio, non dovrebbe più avere dubbi. Un esempio simile lo possiamo trovare su Incibo, progetto di sviluppo di contenuti per l’eccellenza culinaria italiana.

Ora veniamo alla proposta tecnologica. Come li vediamo i panettoni all’estero?

Certo il sogno di ogni pasticceria italiana è un fiume di turisti che ogni giorno si presenta nel negozio. Compra il suo panettone (magari 2 o 3) e torna a casa. Niente investimento da parte del pasticciere (che pensa “beh, tanto sono italiano è ovvio che debbano venire qui”) e tutti siamo contenti. Qualunque pasticcere tradizionale che la pensa così non crescerà mai in modo significativo all’estero. Basta rivedere la ricerca della Camera di commercio.

Il 61% dei pasticcieri artigianali intervistati dichiara che il panettone dovrebbe essere un prodotto conosciuto all’estero. Tuttavia circa il 70% dichiara che l’acquisto dello straniero, in ambito panettone, pesa sì e no intorno al 4%. Perché tutto questo? Milano ha un flusso di turisti a chiusura del 2016 di circa 7,7 milioni (previsioni del sindaco Sala). Se escludiamo il 2015 (Expo c’è una volta sola) e usiamo il 2014 per fare paragone abbiamo una crescita approssimativa del 13%.

Facciamo un calcolo molto alla buona: 7,7 milioni diviso 12 mesi sono circa 640mila turisti al mese. Ovvio questo è un calcolo veramente brutale, una di quelle analisi che nemmeno i geni che fanno sondaggi politici (quelli che hanno indovinato Trump… ricordate?) farebbero. Stiamo bassi, diciamo che nei due mesi natalizi abbiamo una media di 500 mila visitatori. Sono 1 milione di panettoni.

Il prezzo al chilo di panettone artigianale è intorno ai 30 euro. Se ogni turista comprasse 1 panettone abbiamo 30 euro per 1 milione, credo che faccia 30 milioni. Quanti di questi turisti comprano un panettone? Beh stando ai dati della ricerca basata sulle interviste ai pasticcieri il 4% (approssimativo) sono 1,2 milioni di euro. (sempre un calcolo approssimativo e direi persino un poco ottimista)

Ovvio questi sono conti della serva, fatti veramente con penna e matita. Ma mi domando se tutti questi turisti natalizi si comprasse un panettone, insomma tra 1,2 milioni di euro a 30 milioni (ma facciamo anche 15 milioni dai, siamo buoni) io non ci sputerei sopra.

E all’estero come va? Vediamo, Harrods piazza un panettone (che credo non sia proprio artigianalissimo) a 20 sterline (circa 23 euro). Prima di tutto se guardate le foto di questi poveri panettoni sembra che abbiano avuto una depressione. Ora non mi aspetto che il panettone abbia la crescente rotondità della cupola della chiesa San Carlo al corso (per chi non lo sapesse è quella rientranza su corso Vittorio Emanuele a Milano). Harvey Nichols un panettone da mezzo chilo lo piazza a 9 sterline (quindi siamo lì con Harrods). Anche in questo caso ho dei dubbi sia proprio artigianale.

Appurato che anche all’estero c’è domanda di panettone resta il problema proiezione. In pratica come facciamo a mandare il panettone lassù? La prima soluzione è prendersi un commerciale estero e mandarlo a spacciare panettoni. Un esempio interessante lo troviamo con Corsini che ha cominciato a batter cassa all’estero.

Una soluzione alternativa, che sta partendo da Milano la troviamo con la pasticceria Taveggia. Bottega storica e pasticceria famosa in tutta Milano, è stata salvata (stava andando maluccio), da Alessandro Rosso (lo stesso che ha rinnovato circa il 40% della galleria di Milano, per intenderci) e ha deciso di spingere l’acceleratore sui panettoni. Oltre al panettone classico, quattro chef stellati sono scesi in campo per ideare ricette alternative. In aggiunta un occhio ai millennials e, tanto per farsi trovare (ammettiamolo, non tutti i turisti conoscono Taveggia) due temporary store in posizioni strategiche (Duomo e Cordusio) per intercettare i flussi turistici. Aggiungiamo una strategia digitale di tutto rispetto e i numeri delle vendite possono solo crescere.

Ovviamente anche in questo caso parliamo di una eccezione lodevole (con la sua proiezione estera il gruppo Rosso ha già esportato il Made in Italy alimentare in Turchia, Cina, Kazakistan, Dubai, tutte realtà che adorano il cibo italiano).

Se parliamo di una pasticceria artigianale difficile immaginare una soluzione del genere.
Avrebbe più senso un sito e-commerce, possibilmente di proprietà, che possa gestire ordini e soprattutto prevendite. Il concetto di prevendita è semplice e soprattutto aiuta a pianificare gli acquisti di materia prima (quindi se compro più farina, poniamo, potrò chiedere uno sconto al mio fornitore, ergo più margini).

Spedire panettoni artigianali tramite sito e-commerce all’estero? Follia? Il Sacher Café di Vienna spedisce le Sacher (ok, non sono panettoni ma nemmeno mattoni da costruzione) e la qualità una volta consegnata, credetemi, merita.

Sarebbe più opportuno che le pasticcerie artigianali si aggregassero (termine bruttissimo per l’individualismo italiano) e creassero un singolo sito di e-commerce. In teoria le 150 pasticcerie già compongono un punto di partenza intorno a cui aggregarsi.

Quanto costa un’operazione del genere ad ogni singola pasticceria? Poniamo che tutte le pasticcerie del “panettone classico” si mettano in affari. Facciamo 3000 euro all’anno (che per 150 fa 450.000 euro). Tremila euro annui sono una cifra miserrima per una pasticceria, ma bastante per coprire costi di costruzione e investimento del sito e la promozione all’estero.
Si perché l’ultimo passo è la promozione digitale. Create un sito di e-commerce e vi aspettate che gli europei (senza andare troppo lontano) vi saltino addosso? Mi spiace, non funziona cosi.

In tal senso un’analisi interessante sul Seo e la promozione del panettone la trovate sul sito di una giovane startup, Instilla, che ha seguito differenti gruppi alimentari di qualità.

Probabilmente parlo di fantascienza ma torniamo a fare i conti della serva: 60 milioni di giro di affari su 2 mesi. Quindi a spanne facciamo diviso su base mensile 30 milioni. Stiamo bassi, un po’ di crisi, un poco di ignoranza all’estero su cosa sia il panettone, e una Seo che deve ancora crescere. Diciamo che in un anno altri 6 milioni di euro al mese li portiamo a casa (il che significa il 20% di quello che si fa nei due mesi caldi). Ok abbiamo la possibilità (meglio dire le pasticcerie artigianali) di generare, vediamo, 6 per 10, altri 60 milioni di euro.

Mi domando, a qualcuno interessa?

Queste cifre sono basate molto al risparmio sulla cifra originale riportata dalla camera di commercio di Milano. Ovvio, se aspettiamo che tutti i turisti europei arrivino qui, che si informino, che sappiano cosa sia un panettone (senza nessun investimento, né strategie di Seo all’estero), beh allora stiamo freschi, e sono sicuro che le percentuali di vendita di panettoni (anche solo sotto Natale) ai potenziali 7,7 milioni di turisti su base annua (abbiamo detto 1 milione su base bimensile natalizia) i pasticceri di Milano potranno solo sognarli, senza parlare di quello che potrebbero fare all’estero.

Se qualcuno vuol far soldi, vendere un prodotto italiano con una storia, promuovere l’Italia, questo è il momento. La tecnologia esiste, la credibilità alimentare dell’Italia anche (provate voi a vendere il panettone del Kirghizistan e vediamo se qualcuno ve lo compra), basta solo un piccolo investimento e tanta lungimiranza.

Mi domando se i pasticceri milanesi, e perché no lombardi, sono pronti a cogliere la sfida.

Twitter @EnricoVerga