Il turismo di lusso, l’opportunità per l’Italia

scritto da il 09 Marzo 2017

Il mito del turismo che salverà l’Italia è una cosa che sento da anni. Poi mi domando:

CHE turismo?

Di recente ho letto un intervista a Cipriani, il fondatore dell’Harry’s Bar di Venezia. Una riflessione, la sua, interessante: discute di qualità e non quantità. Di tradizione e ricerca.

Cosa è più conveniente per l’Italia? Un boeing della Emirates carico di ricchi turisti alla ricerca di tradizioni, lusso e qualità, o un Airbus della Easyjet che rigurgita turisti “mangia e fuggi” del weekend (con tutto il rispetto per chi mangia e fugge, bene inteso)?
Ho idea che un turismo di lusso, se ben intercettato e attratto, potrebbe essere una risorsa per l’Italia.

Ho quindi pensato di andare a cercare l’opinione di tre esperti che, nel loro lavoro di tutti i giorni, si adoperano per magnificare e far crescere questa piccola perla che è rappresentata da un numero, in crescita, di ricchi turisti in cerca di quel mix inimitabile di cultura, tradizione etnogastronomica ed esperienza che la nostra nazione ha da offrire.

Mi domando come si può aumentare il turismo di qualità (diciamo di lusso, a rischio di suonare snob) in Italia.

Il primo a candidarsi per una risposta è Giovanni Bastianelli, direttore esecutivo di Ente Nazionale per il Turismo (Enit).

“Faccio una premessa: nel turismo è vitale l’orientamento al servizio. Dobbiamo sempre considerare che nel momento in cui un turista acquista un viaggio, sta comprando un servizio, perciò è importante che chi lavora in questo settore abbia una logica differente.
Aspetti come la formazione, la professionalità e la costruzione del prodotto sono fondamentali.

“Sono due i settori in cui l’Italia ha delle criticità: turismo congressuale e turismo del lusso, in entrambi noi italiani siamo molto al di sotto della media nonostante il Monitoraggio di Natale 201 di ENIT abbia riscontrato importanti segnali positivi con incremento nel segmento luxury dei voli aerei del 23% rispetto allo stesso mese del 2015.

“Eppure, fra i Paesi appartenenti all’Area Schengen, l’Italia è la prima destinazione per presenze provenienti dai Paesi Extra Europei: questo ci fa capire quanto il nostro Paese sia molto apprezzato anche da popolazioni più lontane.

“Esiste però un paradosso: la reputazione di cui gode l’Italia all’estero è nettamente superiore a quella di cui gode in casa ed è questo il punto debole della nostra offerta turistica. Abbiamo un forte brand, abbiamo una grande attrattività, io credo che l’Italia potrebbe vivere di turismo. Ma dobbiamo crederci di più.

“Il turismo è, rispetto agli altri, il settore che procura più indotto sui settori confinanti e credo che l’effetto moltiplicatore attivato sia molto importante. (il turismo produce 37.600 milioni di euro di ricchezza conteggiando sia le interazioni settoriali che il moltiplicatore keynesiano – dati CISET).

“Consideriamo, per esempio, l’agricoltura italiana: può lavorare in funzione dei flussi turistici della località. Pensiamo a quanto e cosa consumano i turisti in termini di produzione agricola in Italia. E quanto potrebbero consumare, anche da casa, in termini di e-commerce di prodotti tipici.

“C’è inoltre da considerare che i turisti, giunti a destinazione, consumano anche in termini di utenze pubbliche (acqua, luce, gas etc.), producendo ulteriore ricchezza. Il turismo è interesse del Paese.

“Per quanto riguarda il lusso, invece, abbiamo dei livelli più bassi. Faccio un esempio: se un ricco arabo, volesse spendere 500 mila dollari in una notte, a Roma non ce la farebbe, perché non c’è il prodotto. Il problema non si porrebbe se decidesse di spendere la stessa cifra a Londra, Parigi o Mosca.

“In Italia non abbiamo un’offerta adatta a questo tipo di turismo elitario, alla ricerca dell’esclusività, per la maggior parte fatto di ristoranti, ma oggi la grande competizione si concentra su questo segmento. Se scelgo di tornare una seconda volta in una destinazione probabilmente ho un potere di spesa maggiore e quindi avrò una propensione alla spesa superiore.

“Se andiamo a vedere dove vanno in vacanza gli arabi, Londra ha quasi l’esclusiva per questo turismo. I giovani figli dei grandi ricchi vanno a studiare in Inghilterra dove troveranno un ambiente adatto alle loro esigenze.

“Penso però che il cibo e le nostre tradizioni enogastronomiche siano parte della soluzione per attrarre maggiormente questo tipo di turisti; per questo motivo stiamo concentrando molto la nostra promozione sul tema e, di recente, abbiamo anche siglato un accordo strettamente legato alla qualità alimentare”.

Turismo di qualità che ricerca le tradizioni culturali ed etno-gastronomiche.

Non è un segreto che la pizza l’abbiamo inventata noi italiani, ma invece di “declinarla” in orribili (mi faccia causa chi la pensa diversamente e si sente offeso) soluzioni stile pineapple pizza, una maggiore ricerca di prodotti di qualità (come ben spiegava Giovanni poche righe sopra), attenzione per il territorio e la sua offerta, può essere un volano sia per acquisire e mantenere un certo tipo di turista del lusso. Molti di noi conoscono il pomodoro pachino o di Piennolo campano. Al contrario io non ho mai sentito del pomodoro pachino di Astana (per quanto si sa che anche i Kazaki coltivino pomodori).

Dato che qui serve uno chef per parlare correttamente di cibo sono andato a parlare con Andrea Aprea. Appena 40 enne, executive chef dell’Hotel Park Hyatt Milano, una carriera sotto i tetti di alcuni dei migliori ristoranti del mondo (da Heston Blumenthal a Michel Roux), ha deciso di ritornare per far crescere l’Italia e la sua vasta tradizione culinaria.

Cibo e turismo di lusso come li combiniamo?

“Il cibo è una lingua. Nella mia esperienza nel mondo ho lavorato con differenti chef stellati. Quello che mi ha spinto a tornare qui in Italia è la nostra immensa varietà di prodotti. La nostra tradizione agricola, ittica, etc… sono impareggiabili. Questo patrimonio che noi italiani possediamo, ed è nostro dovere sostenere, è quello che noi portiamo tutti i giorni sulla tavola del nostro ristorante stellato, il Vun. È li che si esprime la mia cucina italiana contemporaena”, mi spiega Andrea.

Tornando al tema di etno-gastronomia rifletto con Andrea come questo si combini con lo sviluppare concetti di ristorazione negli hotel. “Nel creare l’offerta abbiamo deciso di cercare una soluzione che rendesse onore alla ricchezza alimentare italiana: il pranzo della domenica.

“Lo facciamo nella nostra cupola, il lounge bistrot.

“Intendiamoci, fare un brunch non è una cosa nuova. A Milano ci sono già molti luoghi che offrono un brunch, ma se vieni in Italia, sei un turista che vuole sperimentare la nostra cucina, le nostre tradizioni, vuoi veramente mangiare il brunch alla domenica? Uova strapazzate, bacon etc..?”

In effetti il suo ragionamento ha del buono. “Vi faccio l’esempio. Il menu del pranzo della domenica la settimana scorsa era a base di prodotti del Piemonte. Ovviamente il re indiscusso era il tartufo con le idee che ho creato per magnificare questo fantastico prodotto. Non sta a me parlare del menu ma ti invito a riflettere sul tema. Immaginiamo un turista che entra qui per il pranzo della domenica. Ignora cosa sia, probabilmente pensa sia l’ennesimo brunch. E invece dietro a un nome sconosciuto si cela un mondo sconosciuto.

“Ma mi piace pensare oltre. Mi piace pensare che questo turista una volta tornato nella sua nazione possa aver voglia di replicare il pranzo della domenica. E ovviamente se deve imitarmi, dovrà comprare il tartufo, e tutti gli altri prodotti del territorio che io uso nelle mie ricette.

“Il cibo è storia, tradizione, cultura.

“Ecco la mia visione: educare un turismo di lusso, che ha esigenze, curiosità e interesse di scoprire quella parte dell’Italia più timida, che non schiamazza in strada. Un approccio più intimo per chi vuole conoscere la nostra cucina. Molti dei miei piatti al Vun, e non solo, sono derivati dalla cucina povera , vista in chiave contemporanea.
Chi viene in Italia vuole un esperienza, un ricordo, profumi che serberà con se per sempre. Questa per me è l’Italia da scoprire che va valorizzata”

Se questa è l’Italia da scoprire c’è un ultimo ospite con cui devo fare due chiacchiere. Qualcuno che è riuscito a mettere in dati quell’Italia che noi di solito definiamo “tesoro culturale”. Ermete Realacci, Presidente di Symbola. Se c’è uno a cui chiedere il “valore aggiunto” dell’esperienza di visitare l’Italia è lui.

“C’è un legame tra l’attrazione simbolica e i prodotti alimentari (pizza, vino, Ferrari, moda, design). Ogni volta che noi difendiamo uno yacht italiano nel mondo (siamo leader assoluti mondiali nella nautica di lusso) noi abbiamo una quota pari di visibilità.
Pensiamo alla storia del vino italiano. Una straordinaria metafora dal passaggio da quantità a qualità: la crisi del metanolo spinse i produttori (che miravano a grandi quantità a basso prezzo per tenere l’export) a rivedere le loro strategie.

“La politica mise una pezza alla crisi e attivò controlli. Il resto è pero è un percorso della società. Prima del metanolo a sud della linea gotica non c’era un vino degno di essere bevuto.

“Dopo la crisi del metanolo la qualità del vino si diffuse in tutta Italia. I vini sono divenuti ambasciatori turistici dei territori. In Campania, Puglia ci sono aree che sembrano giardini. Tra l’86 e oggi accade che la produzione diminuisce di moltissimo.

“Oggi produciamo circa il 50% in meno di quello che facevamo negli anni 80. Ma il fatturato e l’export (espressi in valore nominale) sono cresciuti: rispettivamente più del doppio il primo, da 4,2 miliardi di euro a 9,4 miliardi, e oltre sei volte il secondo, da 800 milioni a 5,4 miliardi.

“Noi resistiamo e vinciamo rispetto alle grandi enologie emergenti perché sfruttiamo da un lato la diversità climatica, ma anche il fatto che noi abbiamo una biodiversità prodotta dall’uomo che affonda le radici nella storia. Il recupero dei vitigni autoctoni è una strategia che come Italia .

“Se un Obama ti dice che alla cena romantica con la Michelle beve vino italiano… fai tu.
Siamo i leader nell’agricoltura di qualità. Abbiamo 300 tra Dop, Igp etc.. abbiamo nel vino 530 DOC DOCG, e poi se ci metti i prodotti quelli regionale.

“Resta l’aspetto imprenditoriale. Questa evoluzione deve avere un passaggio imprenditoriale di efficienza e comunicazione. Come Governo e istituzioni possiamo fare molto ma molto, al pari della crisi del metanolo, resta nelle mani di uomini che possono vedere e creare il futuro.”

Twitter @enricoverga