Decreto Mezzogiorno: siamo davvero a un punto di svolta?

scritto da il 01 Agosto 2017

Negli ultimi tempi si è intensificata l’attività legislativa dedicata alla più antica questione dell’Italia unita, quella meridionale. L’ultimo provvedimento in procinto di essere adottato è il cosiddetto Decreto Mezzogiorno (D.L. n. 91/2017). Prevede una serie di misure, tra cui ad esempio l’incentivo Resto al Sud per l’imprenditorialità giovanile e la possibilità di costituire Zone Economiche Speciali in aree portuali. Ma non si tratta del primo atto legislativo destinato, in tutto o in parte, all’Italia meridionale. Oltre ai Patti per il Sud e ai contratti di sviluppo gestiti da Invitalia, è stata adottata un’altra misura riguardante lo sgravio contributivo per le assunzioni che stanno avendo luogo nel Sud nel corso del 2017, mentre sul finire dell’anno scorso il Governo ha approvato il cosiddetto Decreto Sud (D.L. n. 243/2016), che ha rafforzato il credito d’imposta nelle regioni meridionali ed ha stabilito un principio di riequilibrio territoriale, che dovrebbe garantire la destinazione al Sud di almeno il 34% degli investimenti pubblici (secondo le stime SVIMEZ).

Un pacchetto complessivo interessante, che merita la giusta attenzione. Ma cerchiamo di capire innanzitutto come sta andando il Mezzogiorno e, per quel che interessa in questa sede, le sue imprese, aiutandoci con il rapporto check-up Mezzogiorno di metà 2017 curato da Confindustria e da SRM, in modo da poter capire se le misure adottate possano essere idonee alla crescita dell’area.

I numeri delle imprese. Nel primo trimestre 2017 le imprese attive sono cresciute nel Mezzogiorno dello 0,5%, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (Centro-Nord -0,3%), con Basilicata (+1,5%), Calabria e Campania (1%) sugli scudi, solo Sicilia e Abruzzo con il segno meno (-0,3%). Considerando le sole società di capitali, la performance è più positiva, +5,7%, maggiore rispetto al Centro-Nord (+2,9%) ed alla media italiana (+3,7%). Crescono invece le Newco e le imprese giovanili (il 41,5% del totale nazionale ha sede nel Mezzogiorno) e le Start-up innovative, del 29%, seppur le meridionali rappresentino solo il 23,4% del totale.

Le dimensioni delle imprese. Nel manifatturiero crescono le grandi imprese (dati 2015), anche in misura maggiore rispetto al Centro-Nord, mentre scendono le medie e crescono di poco le piccole. Passando ai dipendenti, nel Mezzogiorno il 90,2% delle aziende manifatturiere ha tra uno e nove dipendenti, a fronte di una media nazionale dell’82,9% (Germania 65,1%). Calabria, Sicilia e Basilicata in pratica non hanno aziende con più di 250 dipendenti. Il “nanismo” delle imprese del Mezzogiorno si intravede anche dal grafico relativo alla forma giuridica, prevalendo le ditte individuali (68,1%).

Accesso al credito. Si evidenziano ancora situazioni penalizzanti per l’accesso al credito, dato che i tassi di interesse sulle operazioni a breve termine – seppur in discesa – sono ancora più alti rispetto alla media nazionale (5,67% contro 4,21%), con i tassi attivi più alti in Calabria (7,24%). Sulle difficoltà di accesso al credito, la misura Resto al Sud potrebbe avere qualche impatto significativo, perché a differenza di un’altra agevolazione già in vigore e collegata a Garanzia Giovani, allarga la platea dei potenziali beneficiari e prevede una quota di finanziamento a fondo perduto (35%).

Esportazioni. Il Mezzogiorno, nel primo trimestre 2017, fa registrare un +12,7% rispetto al 2016, un dato migliore della media italiana (+9,7%). Benissimo la Sardegna (+79%), bene Sicilia (+37%) e Calabria (+21,9%, trainato principalmente dalla provincia di Cosenza, +44,2%). Nonostante i segnali incoraggianti però, a livello generale il ritardo è ancora ampissimo. La propensione alle esportazioni del Mezzogiorno è infatti – seppur crescita – molto più bassa rispetto al Centro-Nord (11,4% contro 28,7%, dati 2015). La migliore è la Basilicata (26,3%), sotto il 10% Sicilia, Campania, Molise e Calabria.

Spesa in Ricerca e Sviluppo. Tale voce è cresciuta nel Mezzogiorno (dati 2014), arrivando all’1,07% del PIL. Bene la Campania (1,30%), ma la gran parte delle regioni meridionali spende ancora meno dell’1% del PIL in R&S. Guardando alle imprese però, la situazione è ancor più cupa. Gran parte di tale voce di spesa è realizzata all’interno delle università meridionali (54,6% contro il 28,4% della media italiana), mentre è bassissima quella delle imprese, pari al 28,2%, nettamente inferiore rispetto al 72% del Nord-Ovest e al 63,4% del Nord-Est.

Investimenti esteri. Sono solo 612 (su poco più di 11 mila) le aziende del Mezzogiorno a partecipazione estera. Anche il numero degli addetti è molto basso, solo 53 mila su quasi un milione. Di questo ha parlato recentemente il Financial Times, in un pezzo dedicato alle “due Italie”. Richiamando l’Ernst & Young European Attractiveness Survey, l’articolo evidenzia come Calabria, Basilicata e Campania siano tra le ultime 20 regioni (delle 120 considerate) per numero di Foreign Direct Investement (FDI) attratti dal 2009. Dei 50.000 posti di lavoro creati grazie agli FDI, appena 400 hanno interessato Basilicata, Molise e Calabria.

Per chiudere questa carrellata di dati: si intravedono dei chiari segnali di ripresa, ma troppo deboli per ridurre un ritardo che resta ancora ampio.

Se i dati suesposti mostrano comunque dei segnali positivi, fanno sorridere un po’ meno altri elementi contenuti nel rapporto, molto più strutturali:

1) L’indice di competitività regionale, elaborato dalla Commissione Europea e calcolato sulla base di 74 indicatori. Su un totale di 263 regioni, tutte le regioni del Mezzogiorno sono oltre la 200esima posizione (ad eccezione del’Abruzzo). La peggiore è la Sicilia, al 237° posto (per la cronaca anche la prima – Lombardia – occupa solo la 143esima piazza).

2) L’indice di disagio imprenditoriale (dati 2015), calcolato sulla base dell’andamento di 12 indicatori che permettono un confronto tra le 20 regioni, secondo il quale «(…) sei delle otto regioni meridionali occupano le prime sette posizioni della classifica, mostrando dunque un grado di disagio imprenditoriale particolarmente “alto” (…)». È un indice significativo, perché fa «(…) riferimento alle criticità del contesto economico e imprenditoriale con un’attenzione particolare alla platea delle piccole imprese»

3) Il capitolo legalità. Sono 951 le imprese meridionali dotate del rating di legalità e rappresentano solo il 26,6% del totale. Il Mezzogiorno primeggia invece (con il 70%) per numero di aziende sottratte alla criminalità organizzata e gestite dall’Agenzia ANBSC: «Con riferimento alle sole aziende in gestione all’ANBSC emerge un valore della produzione di poco superiore a 629 milioni di euro, di cui quasi l’85% riferito al Mezzogiorno».

Si tratta di tre elementi distorsivi di lunga durata (se ne potrebbero aggiungere altri), che potrebbero limitare l’efficacia delle misure messe in atto. I primi due elementi potrebbero infatti limitare l’efficacia di misure come il Resto al Sud  o il credito d’imposta rafforzato, per la stessa ragione evidenziata dalle anticipazioni del rapporto SVIMEZ che segnalano lo scarso impatto degli incentivi dell’industria 4.0 nel meridione: «Per quanto riguarda il super e l’iper ammortamento, si è stimato per le imprese meridionali una quota di accesso pari al 7% delle agevolazioni previste per l’intero Paese (…) Quanto al credito d’imposta sulle spese “incrementali” in ricerca e sviluppo, la quota di accesso delle imprese del Sud a tale misura dovrebbe attestarsi intorno al 10% (…) Infine, per la Nuova Sabatini (…) si ipotizza che le agevolazioni previste per il settennio 2017-2023 dovrebbero attestarsi intorno ai 56 milioni di euro nel Sud, a fronte degli oltre 500 milioni assorbiti dal Centro-Nord(…) Nel complesso, queste valutazioni indicano che il sistema produttivo del Centro-Nord reagisce positivamente a misure che vanno nella direzione di accrescere strutturalmente la dotazione dei vantaggi competitivi meno diffusi, ma cruciali nell’attuale contesto. Nel Sud, invece, l’impatto permanente delle misure esaminate è pur sempre positivo, ma di entità assai minore, in quanto pesano le ben note criticità strutturali che caratterizzano l’industria meridionale: minori livelli di innovatività, più bassa diffusione delle tecnologie ICT e/o assimilabili, dimensioni aziendali comparativamente inferiori».

Il terzo elemento potrebbe invece pregiudicare l’efficacia di una maggiore spesa per investimenti pubblici necessari per ridurre il gap infrastrutturale, il digital divide e per aumentare la produttività, dato che – come dimostrano anche recenti operazioni il controllo della criminalità organizzata sugli appalti è ancora alto, con una pressione estorsiva che può valere il 10% di opere milionarie.

Anche nel citato pezzo del Financial Times  si evidenziano alcune problematiche di fondo, come la bassa qualità delle istituzioni meridionali, i problemi della giustizia, i 5 anni e mezzo per ottenere l’enforcement di un contratto a Bari e e basse performance nell’European quality of Government Index. In altre parole, come sostenuto in un precedente post su questi pixel, «(…) the south’s need is for a more business-friendly environment, rather than state aid or tax incentives. This is well-known to economists and politicians, but it is nonetheless difficult to implement».

Non è facile implementare “svolte” dall’alto e forse è anche controproducente aspettarsele, conoscendo il debole contesto istituzionale del Mezzogiorno. Occorre però, per migliorare le policy e far risaltare le esperienze positive, valutare singolarmente l’impatto e l’efficacia di ciascuna misura con accurate analisi ex post sulle politiche adottate. Per alcune di esse, speriamo che non si verifichi la premonizione di Padoan, ripresa provocatoriamente dall’articolo del Financial Times di cui sopra: «If we decide to allocate tax incentives to firms in the Italian southern regions…we risk wasting money».   

Twitter @frabruno88