Banche che stress parte prima: i test dell’Eba spiegati per essere capiti

scritto da il 04 Novembre 2017

L’autore di questo post è Riccardo Tedeschi, senior specialist di Prometeia

“All models are wrong, but some are useful.”
George E. P. Box (1919-2013) [1]

Spesso avviene che le innovazioni più originali nascano da uno stato di necessità oppure al fine di superare una difficoltà imprevista. È questo il caso degli stress test di tipo micro e macro-prudenziale, un insieme di tecniche di analisi usate dalle autorità di vigilanza sul settore finanziario a partire dalla grande crisi mondiale del 2007-9. Grazie a tale approccio sono stati conseguiti grandi progressi nella comprensione dei meccanismi che governano le interazioni tra sistema finanziario ed economia reale.

A partire dal 2009 a seguito dell’avvio della crisi finanziaria le Autorità di vigilanza di diversi paesi, quali USA, Gran Bretagna e nell’Area Euro la Banca Centrale Europea, iniziarono a condurre internamente una serie di esercizi di stress test sulle banche vigilate, con un approccio dall’alto verso il basso (top-down) basato sui dati di bilancio e delle segnalazioni regolamentari, per finalità di orientamento delle proprie decisioni in materia di politica monetaria e di vigilanza.

Nel 2014 come attività preliminare all’avvio del sistema unico di vigilanza, il Single Supervisory Mechanism (SSM), su iniziativa dell’European Banking Authority (EBA), in collaborazione con la BCE, venne condotta una estesa ed accurata analisi dei crediti detenuti dalle 130 principali banche europee destinate a essere vigilate dalle autorità di Francoforte (c.d. comprehensive assessment). Tale analisi comprendeva anche un esercizio di stress test a livello di singola banca con un approccio “dal basso verso l’alto” (bottom-up), basato invece sui dati di dettaglio presenti nelle procedure gestionali delle singole banche.

Gli EU-wide stress test dell’EBA, estesi cioè alle banche europee di dimensioni maggiori, furono poi replicati nel 2016 e sono destinati ad essere ripetuti ogni due anni. Proprio di recente, il 25 ottobre 2017, l’EBA ha definito le tempistiche degli stress test per il 2018: l’esercizio prenderà avvio a inizio anno e i risultati saranno pubblicati entro il 2 novembre 2018 [2]. Dall’esito di tali prove dipende non solo l’accertamento dello stato di solidità delle banche delle nazioni europee, ma anche la possibilità dei singoli Stati di intervenire in via preventiva per ricapitalizzare le banche più deboli come previsto dalla normativa europea sui salvataggi bancari [3], come avvenuto, ad esempio, per la Banca Monte dei Paschi di Siena.

Non si esagera dicendo che oggi, a dieci anni dall’avvio della grande crisi finanziaria del 2007, tutti i risk manager all’interno di banche di medio-grandi dimensioni, conducono almeno un esercizio di stress test annuale sulla propria banca con finalità gestionali e regolamentari.

Questo articolo è suddiviso in due parti: nella prima parte si analizzerà cosa siano gli esercizi di stress test di tipo micro-prudenziale e a cosa servono; nella seconda parte verranno descritti gli sviluppi più recenti e in cosa consistano gli stress test di tipo macro prudenziale.

Gli stress test micro-prudenziali dell’EBA
Quali siano le finalità dello stress test micro-prudenziale per una banca è altrimenti spiegabile attraverso un parallelo con il mondo della medicina e in particolare della cardiologia. Così come gli atleti che partecipano a competizioni sportive sono tenuti ad eseguire regolarmente esami ECG sotto sforzo, al fine di rilevare eventuali anomalie cardiache che si manifestano solo durante uno sforzo fisico (e che invece non emergerebbero in condizioni normali di riposo), le banche che vogliono competere nell’intermediazione finanziaria devono sottoporsi a test per valutare la propria resistenza a periodi di recessione prolungata in scenari particolarmente avversi.

Quando una banca non supera in maniera adeguata gli stress test le autorità di vigilanza possono intervenire imponendo misure di intensità crescente, quali cambiamenti organizzativi o di strategia, un incremento delle riserve di liquidità, la sospensione dei dividendi o un aumento di capitale.

Gli EU wide stress test organizzati dall’EBA sono obbligatori per le banche di maggiori dimensioni vigilate dalla BCE consistono in simulazioni condotte a livello di singola banca e aventi come obiettivo principale valutarne la solidità patrimoniale.

Le caratteristiche degli stress test EBA sono di seguito descritte brevemente.
Un apposito comitato Europeo per il rischio sistemico (European Systemic Risk Board – ESRB) che si appoggia su dati e risorse della BCE elabora due scenari macro-finanziari uguali per tutte le banche: uno scenario di base che esprime le previsioni di consenso (baseline) e uno scenario avverso (adverse) che rappresenta un’evoluzione negativa della situazione economica e finanziaria, poco probabile ma non irrealistico. Tali scenari sono consegnati a tutte le banche partecipanti.

Le banche sottoposte allo stress test devono simulare l’evoluzione del loro bilancio su un orizzonte temporale triennale: situazione patrimoniale e conto economico; capitale di vigilanza e le cosiddette “attività ponderate per il rischio” (Risk Exposure Amounts, REA, dette anche Risk weighted Assets, RWA). L’attenzione è rivolta soprattutto agli indicatori di solvibilità: il CET1 capital ratio, dato dal rapporto tra patrimonio di vigilanza di qualità migliore (il Common Equity Tier 1, CET1) e le RWA. Tale rapporto alla fine dell’orizzonte di simulazione deve collocarsi al di sopra di una certa soglia affinché il test possa definirsi superato. Nella prima edizione dello stress test del 2014 le soglie di CET1 capital ratio erano rispettivamente dell’8% per il baseline scenario e del 5.5% per l’adverse scenario. Le banche posizionate al di sotto di una delle soglie erano tenute a presentare un piano d’azione per la pronta ricapitalizzazione dell’azienda. Nella seconda edizione degli stress test del 2016 le soglie non sono state esplicitamente enunciate dall’EBA, ma la sostanza dell’esercizio è rimasta la stessa.

In Figura 1 sono riportati i risultati aggregati dello stress test EBA 2016: l’evoluzione del CET1 capital ratio percentuale aggregato che arriva al 9.4% a fine 2018 partendo da un dato iniziale di 13.2% nel 2015, con un impatto negativo di 380 punti base nella media europea.

Figura 1Evoluzione del CET1 capital ratio % aggregato (sinistra) e impatto in punti base (destra) rispetto a dato iniziale 2015

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In Figura 2 sono invece riportati gli impatti dello stress test sul CET1 capital ratio nei tre anni di simulazione dal 2015 al 2018 nello scenario avverso per singola banca [4]. Come si nota tra le diverse banche esiste una grande eterogeneità dei risultati.

Figura 2Impatto sul CET1 capital ratio dal 2015 al 2018 nello scenario avverso per singola banca

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L’esercizio di stress test nella sua attuale configurazione, pur essendo un esercizio basato su scenari macro elaborati dall’ESRB, è condotto secondo un approccio “microeconomico”, nel senso che i calcoli sono eseguiti dalla singola banca e sono di tipo bottom-up (dal basso verso l’alto), dal momento che le banche utilizzano i propri sistemi gestionali e solitamente sintetizzano i dati dei propri portafogli gestiti, partendo da una base dati estremamente granulare a livello di singola operazione.

I risultati preliminari elaborati dalle banche vengono inviati alle autorità di vigilanza e sottoposti ad un attento processo di quality assurance con un sistema di segnalazioni di ritorno che assomiglia ad un vero e proprio “semaforo”: verde via libera, giallo richiesta di ulteriori chiarimenti ed informazioni, rosso bloccato e rispedito al mittente per nuova elaborazione.

La principale caratteristica degli EU wide stress test EBA è che essi si basano sulla cosiddetta “ipotesi di bilancio statico” (static balance sheet approach): nel corso del triennio di simulazione non viene presa in considerazione alcuna variazione dei volumi delle masse gestite rispetto a quelle di inizio periodo. In altri termini, nessuna banca può crescere con nuovi crediti a clientela, emettere nuovi depositi o obbligazioni verso clientela, né aumentare il volume del risparmio gestito anche in via indiretta (assets under management). Mano a mano che giungono a scadenza le operazioni di raccolta od impiego, esse vengono reinvestite nello stesso tipo di operazioni originarie. Questa ipotesi serve per mettere tutte le banche partecipanti all’esercizio di stress test “sullo stesso piano” al di là delle differenze di crescita previste dai piani di strategici delle singole aziende.

L’unica voce di bilancio che può crescere nel corso della simulazione è quella dei crediti deteriorati che passano dallo stato di crediti “in bonis” a quello di default in base alle probabilità di insolvenza stimate dalla banca e successivamente determinano le rettifiche di valore su crediti, in base ai tassi di perdita stimati (loss given default). Le probabilità di default e le loss given default vengono stimate dalle singole banche mediante propri “modelli satellite” che si basano sugli scenari economici forniti dalla BCE e soprattutto nell’adverse scenario possono raggiungere livelli molto elevati rispetto a quelli correnti.

Tra le “regole del gioco” di questo esercizio ve ne sono alcune particolarmente stringenti per le banche commerciali. Innanzitutto sui crediti in stato di insolvenza la banca non può recuperare alcun importo (no workouts on defaulted assets) e questa circostanza è tanto più gravosa quanto maggiore è il peso dei crediti deteriorati in stato di sofferenza [5]. Nel corso della simulazione viene inoltre ipotizzato un peggioramento del rating della banca, in modo da provocare un aumento del costo di raccolta della banca stessa, non recuperabile mediante aumento dei tassi sui crediti a clientela, e una conseguente compressione del margine di interesse della banca [6].

La parte di stress test riguardante il rischio di liquidità è tutto sommato abbastanza contenuta. Viene però preso in considerazione un forte impatto negativo sul valore dei titoli di stato e di altro genere presenti nei portafogli di attività finanziarie detenute per la vendita e per la negoziazione. Di recente è stato sollevato il tema di come rendere gli stress test più accurati per i rischi di mercato impliciti nei cosiddetti “level 3 asset”: i titoli non quotati che vengono valutati in base a modelli interni delle banche, in modo che gli stress test risultino in qualche modo più “severi” anche per le banche con un modello di business più orientato all’investment banking.

Nella seconda parte del presente articolo si analizzeranno gli sviluppi delle tecniche di stress testing portati avanti negli anni recenti dalle autorità di vigilanza europee in un’ottica macro-prudenziale e vedremo come i comportamenti dei singoli operatori finanziari possano avere rilessi significativi a livello nazionale ed internazionale.

NOTE
[1] George E. P. Box è stato uno statistico britannico, pioniere del controllo di qualità dei processi, nella analisi delle serie storiche, disegno degli esperimenti e inferenza bayesiana. 

[2] Si veda il link: EBA announces final timeline for the 2018 EU-wide stress test.

[3] Si tratta della Bank Recovery and Risolution Directive (BRRD) del 2014, articolo 32. 

[4] Gli impatti sono riportati nelle due ipotesi di CET1 capital ratio phased-in o transitional cioè calcolato in base al regime di transizione graduale previsto dalla normativa Basilea III fino al 2018, e CET1 capital ratio fully loaded, cioè secondo la normativa integrale a regime post 2018. 

[5] Solitamente nel mondo reale le banche recuperano una porzione significativa (in media il 40%) dei crediti in default su periodi di tempo di alcuni anni (per l’Europa in media 3 anni, per l’Italia 5 anni). 

[6] La compressione del margine di interesse è tanto più intensa quanto più basso è il rating iniziale della stessa.