Bonus o no, un piano per fare più figli è la priorità della prossima legislatura

scritto da il 09 Gennaio 2018

La legge di bilancio approvata definitivamente lo scorso 23 dicembre dal Senato ha rifinanziato solo in parte il cosiddetto Bonus Bebè, ovvero l’assegno che dal 2015 veniva erogato per 36 mensilità alla nascita o all’adozione di minore. Nel 2018, i nuovi Bonus saranno erogati solo per il primo anno di vita o adozione, non più per i primi tre. Sarà da vedere se la prossima legislatura si impegnerà a finanziare, e se per uno o più anni, lo strumento.

Negli ultimi cinque anni si è osservata l’istituzione di numerosi strumenti nati con l’idea di essere di sostegno alla natalità. Bonus Baby Sitter, Bonus Bebè, Family Card, Bonus Asilo Nido, Bonus Mamma Domani e il Fondo di sostegno alla nascita. Alcuni di questi sono ad oggi ancora attivi, altri sono stati modificati, altri ancora non hanno mai visto la luce pur essendo stati approvati; ne è un esempio la Family Card. Di certa c’è solo la spesa, che per il 2018 sarà comunque inferiore al miliardo di euro.

Si potrebbe poi discutere a lungo dell’efficacia di questi provvedimenti. La stessa letteratura scientifica è controversa al riguardo, soprattutto a causa delle difficoltà insite nel valutare rigorosamente l’impatto di questi strumenti.

Ad una situazione già complessa, con la presenza di numerosi interventi nazionali e, talvolta locali, si aggiunge l’assenza di stabilità del quadro legislativo che, come purtroppo spesso accade nel nostro paese (ad esempio con la normativa pensionistica), pregiudica una normale programmazione delle scelte di vita.

Eppure, in questa legislatura, prima della recente retromarcia sul Bonus Bebè, qualche passo è stato compiuto: come le norme sull’estensione del congedo parentale per il padre, che pur essendo ancora migliorabile (e, ad oggi, finanziato solo sino al 2018) rappresenta una misura significativa che ci avvicina agli altri paesi europei. O come il recente piano approvato poche settimane fa in Consiglio dei Ministri per l’istruzione integrata 0-6 anni, che prevede fra le altre cose una presenza più capillare ed una copertura maggiore dei servizi all’infanzia.

Quello che è mancato, oltre che alla certezza che gli strumenti durino nel tempo, è stata una visione di insieme, un piano che unisse politiche giovanili, politiche di sostegno economico e politiche familiari.

E il motivo per cui un vero piano a favore della natalità è quanto mai necessario è facilmente comprensibile, basta dare uno sguardo ai dati. Osservando la situazione degli ultimi 30 anni, è possibile notare come il saldo naturale della popolazione, ovvero la differenza fra nascite e morti, sia vicino alla parità sin dal 1990. Le fluttuazioni del saldo generale, che comprende anche i movimenti migratori, risultano infatti fortemente influenzate dai flussi d’immigrazione, come appare evidente dal grafico[1].

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Fonte: dati Eurostat e Istat

Spostando l’attenzione al futuro, le ultime previsioni demografiche Istat ci consegnano un quadro preoccupante. Pur incorporando un aumento minimo, del tasso di natalità da 1,34 di oggi a 1,59 nel 2070, la forchetta fra nascite e morti è inevitabilmente destinata ad aumentare in quanto i nuovi nati saranno sempre meno in grado di contrastare l’arrivo a fine vita delle coorti più numerose, quelle del Baby Boom.

Sul fronte della migrazione, pur riconoscendo una certa volatilità e quindi imprevedibilità del fenomeno, non è ad oggi possibile prevedere flussi significativi in grado di ribaltare la situazione demografica così come invece è avvenuto negli ultimi 30 anni. Senza cambiamenti significativi dello scenario, la popolazione Italiana è quindi destinata a ridursi di numero.

Secondo uno studio condotto su dati Eurobarometro, le donne italiane sono fra quelle che registrano la differenza più elevata fra figli desiderati ed effettivi. Desidererebbero in media, circa 2 figli ma sarebbero in grado di ottenerne solo 0,8. Un primo motivo per intervenire è quindi quello di eliminare gli ostacoli alla piena realizzazione degli individui.

Un secondo motivo è di natura economica e consiste nel possibile impatto che una diminuzione della popolazione avrà sulla nostra economia e sul suo Prodotto Interno Lordo.

Secondo le previsioni della Commissione Europea riportate nel documento di anticipazione dell’Ageing Report 2018 e basate su dati Eurostat, nel periodo di previsione si attende un calo della popolazione attiva, ovvero dei potenziali lavoratori, coloro i quali si trovano nella fascia di età 15-64. Ipotizzando un graduale riassorbimento della disoccupazione, il tasso di occupazione aumenterà consistentemente fino a raggiungere il 67.3% al 2070 rispetto al 57.8% odierno.

Tuttavia, in aggregato, il calo della popolazione attiva è destinato a ridurre l’offerta totale di lavoro (intesa come il totale delle ore che i lavoratori offrono) e, conseguentemente, il numero di ore lavorate. Senza cambiamenti di scenario, si prevede un calo delle ore lavorate nell’ordine di 13 punti percentuali nel periodo 2030-2070.

Una diminuzione di queste ultime implica, a parità di condizioni, un calo del PIL. Più in generale, e parlando in termini di PIL potenziale, possiamo affermare che venendo meno il contributo del lavoro inteso come “stock”, il PIL futuro dipenderà dalla dinamica della produttività e del capitale, ovvero dalla produttività del lavoro, che purtroppo sappiamo essere stagnante da molti anni.

Le ultime stime parlano chiaro: la crescita media annua potenziale nel periodo 2016-2070 è stimata pari allo 0,8%. A fronte di un contributo positivo della produttività del lavoro pari all’1%, derivante sia dalla produttività totale dei fattori che dal capitale per addetto, l’offerta totale di lavoro contribuisce in maniera negativa per un -0.2% annuo.

Nuove misure a favore dell’occupazione, ad esempio quella femminile che in Italia risulta inferiore alla media EU (48,8% vs 61,6%) unite al graduale allungamento della vita lavorativa saranno in grado di alleviare ma non di risolvere il problema, soprattutto nel lungo termine.

Infine, è necessario sottolineare che il previsto decremento della popolazione avverrà in maniera eterogenea fra le aree del paese. In presenza di un saldo naturale negativo, risulteranno determinanti i fenomeni migratori sia interni che esterni.  Già oggi, questi tendono a concentrarsi nel nord del Belpaese penalizzando le aree meridionali. E la situazione non sembra destinata a modificarsi.

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Fonte: Eurostat ed Istat

Il Sud e le Isole sono quindi destinati, in assenza di interventi o cambiamenti di scenario, a un lento e inesorabile spopolamento. I flussi emigratori da queste aree, composti soprattutto da giovani e laureati uniti al calo demografico pongono significativi rischi per l’accumulazione di capitale umano, con il rischio di ipotecare qualsiasi possibilità di rinascita economica.

Nei prossimi anni la situazione demografica è destinata, in assenza di flussi migratori sufficienti e ad oggi non prevedibili, a condizionare sempre più il dibattito pubblico e la nostra crescita economica, in un contesto già reso complesso da una dinamica della produttività stagnante e da un elevato debito pubblico.

Quello di cui ci sarebbe bisogno, è la creazione di un ambiente favorevole alla genitorialità. Quest’ultimo, nasce necessariamente dall’interazione di più politiche: giovanili, familiari, di istruzione e sanitarie. Riuscire a garantire opportunità economiche e un adeguato sostegno ai giovani al fine di migliorare la loro stabilità economica e abitativa e un domani alle loro famiglie ed ai loro figli deve essere la priorità della prossima legislatura.

Stiamo parlando di politiche in grado di creare terreno fertile per il lavoro giovanile e, in secondo luogo, laddove necessario di sostegno al reddito. Di una politica fiscale favorevole alle famiglie, strumenti di conciliazione famiglia-lavoro (Servizi all’Infanzia, Congedo Parentale etc.) e politiche di istruzione.

Un modello a cui potremmo attingere, è quello dei cugini francesi, un paese che risulta più vicino alla nostra cultura ed ai nostri valori rispetto ai paesi nordici, che pur hanno comunque molto da insegnarci su questi temi; la Francia nel 2015 è il paese europeo con il più alto tasso di natalità (1,96).

Interventi di questo tipo richiedono anzitutto tempo e continuità per essere attuati, recepiti dagli individui e dare così i loro frutti. Ben vengano quindi le recenti proposte di Pd e Movimento 5 Stelle sul tema, purché siano accompagnate da un cambio di passo della politica, in grado di assicurare la stabilità delle misure nel tempo.

Non c’è più spazio per rimandare ulteriormente l’intervento. È di fondamentale importanza che durante la prossima legislatura le forze politiche riescano a convergere su di un piano condiviso in grado di sopravvivere ai diversi governi e colori politici, assicurando così quella continuità e stabilità ad oggi assente e condizione necessaria affinché la natalità in Italia possa tornare a fiorire.

[1] L’asse di destra si riferisce alla popolazione totale mentre quello di sinistra a tutte le altre variabili.