Huawei minaccia Apple, non Trump. Si capisce dalla catena del valore

scritto da il 14 Settembre 2018

L’autore di questo post è Enrico Mariutti, ricercatore e analista in ambito economico ed energetico. Founder della piattaforma di microconsulenza Getconsulting e membro del consiglio direttivo dell’Istituto Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG) –

Nel secondo trimestre del 2018 si è registrato lo storico sorpasso di Huawei su Apple nella classifica produttori di smartphone. Anche se ampiamente previsto dagli outlook di settore, l’evento ha suscitato clamore, soprattutto negli USA.
 Il successo di Huawei è un segnale molto importante per il governo di Pechino, che sta cercando di farne il simbolo del nuovo modello di sviluppo della Repubblica Popolare e il laboratorio della scalata cinese alla catena del valore globale.
 Nel 2017 il colosso di Shenzhen ha investito quasi 14 miliardi di dollari in Ricerca e Sviluppo ed è stato il maggiore patent filer in Europa, incarnando l’ambizione cinese di passare da un modello di sviluppo ad alta intensità energetica, di lavoro e di capitale a un modello ad alta intensità tecnologica e di capitale umano. Quindi, da un modello a basso valore aggiunto a un modello ad alto valore aggiunto.

Per il momento il principale competitor di Huawei rimane Samsung, che detiene oramai da anni la leadership nel mercato dei dispositivi di fascia intermedia. Tuttavia, l’obiettivo del colosso cinese è insidiare Apple, che mantiene saldamente il primato nel segmento dei dispositivi di fascia alta, dove i profitti possono arrivare a sfiorare il 70% del costo finale del prodotto.

La scalata di Huawei, quindi, preoccupa comprensibilmente Cupertino ma non è un segnale allarmante per l’economia USA.
 Solo il 40% dei costi di produzione di Huawei, infatti, rimane in Cina. Gli Stati Uniti sono il primo fornitore estero dell’azienda cinese e incamerano circa un quarto dei costi produzione (fonte, Bloomberg). 
Ma è piuttosto l’ampia gamma di dividendi indiretti che risulta molto difficile da valutare nel suo complesso.

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Huawei è balzata agli onori della cronaca quando nel dicembre 2014 presentò il microprocessore Kirin 620 (sistema su circuito integrato a 64 bit prodotto attraverso la controllata HiSilicon), mettendo in discussione il monopolio globale della statunitense Qualcomm nel segmento dei microprocessori mobile.
Tuttavia, il processore Kirin si basa su tecnologia ARM Cortex e adotta chip prodotti dalla Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC). Questo vuol dire che per produrlo Huawei è costretta a remunerare la proprietà intellettuale di ARM Holding, società britannica inglobata nel giugno 2016 dalla giapponese Softbank, e ad acquistare una componente ad alto valore aggiunto da una società taiwanese.

Ecco che ci si imbatte in un primo dividendo indiretto per l’economia USA: per operare in settori così avanzati e specializzati anche TSMC e Softbank hanno sottoscritto decine di partnership industriali e sono state costrette ad acquistare centinaia di licenze tecnologiche. L’economia statunitense, che solo nel 2017 ha intascato quasi 130 miliardi di dollari di diritti sulla proprietà intellettuale (il 39% delle royalties globali), è la principale beneficiaria di questa dinamica.

Risalendo ancora la catena del valore globale e scorrendo la lista dei principali azionisti delle due società ci si imbatte in un secondo, corposo, dividendo indiretto per l’economia USA: sei dei dieci maggiori azionisti di TSMC sono statunitensi, mentre il 40% del capitale azionario di Softbank è detenuto da investitori esteri. In prevalenza statunitensi, ovviamente. 
La lista dei dividendi indiretti continua, ma non si conclude, con i servizi avanzati (legali, finanziari, consulting), settore in cui le società americane occupano una posizione preminente e la distribuzione, in cui i colossi statunitensi, Amazon in primis, sono partner imprescindibili.

Si materializza perciò il modello di sviluppo descritto cinque anni fa dal banchiere e accademico cinese Yu Yongding proprio su queste colonne: “In uno scenario simile, gli Stati Uniti esporterebbero verso la Cina quella che Ricardo Hausmann e Federico Sturzenegger hanno soprannominato ‘la materia oscura’ (beni non quantificabili, come la conoscenza, che le società americane esportano attraverso i loro investimenti), mentre la Cina esporterebbe beni di consumo e servizi negli Stati Uniti”.

E Huawei, pur essendo una storia di successo e un laboratorio strategico, non sarà certo il grimaldello che scardinerà questo modello di cui è, piuttosto, già parte integrante.

Twitter @enricomariutti