Patrimoniale, tassa odiosa ma utile: istruzioni pratiche per l’uso

scritto da il 18 Dicembre 2018

In due articoli recentemente pubblicati su Econopoly ci siamo interrogati sul tema dell’imposizione patrimoniale. Nel primo abbiamo sostenuto che una ristrutturazione delle imposte sul patrimonio sarebbe utile per riattivare la mobilità sociale in Italia, oggi bloccata, e creare un contesto caratterizzato da minori disuguaglianze. Il gettito proveniente da un incremento della tassazione patrimoniale dovrebbe essere utilizzato per ridurre il carico fiscale o sui redditi medio-bassi o sul costo del lavoro. Nel secondo articolo invece abbiamo raccolto qualche definizione e alcuni dati per capire cosa si intende esattamente quando si parla di imposte patrimoniali e quale è la loro configurazione attuale in Italia e in altri paesi. Dopo aver analizzato perché e cosa, è ora importante ragionare su come si possa implementare una patrimoniale.

Le possibili ipotesi

Nel nostro Paese sussistono una serie di imposte sui beni che compongono la ricchezza dei contribuenti, ma nessun tributo complessivo e omogeneo, come invece accadeva in Francia fino all’anno scorso e come accade tutt’ora in Spagna. Una possibile patrimoniale potrebbe quindi essere un’imposta complessiva sulla ricchezza netta dei contribuenti.

Per quanto riguarda la base imponibile, ossia le componenti del patrimonio che sarebbero soggette a tale imposta, includerebbe: le obbligazioni private, le azioni e le partecipazioni, i fondi comuni, i titoli esteri (sarebbero infatti esclusi i titoli del tesoro italiano, per evitare partite di giro), i depositi, i certificati, i brevetti e, la parte più consistente, gli immobili. Andrebbero dedotte invece le attività finanziarie legate a sistemi previdenziali complementari, piani pensionistici e assicurazioni sulla vita in quanto queste somme non sono nelle immediate disponibilità degli individui. Per avere accesso ai fondi accantonati per la pensione bisogna infatti raggiungere dei requisiti minimi in termini di contribuzione e anzianità. Sarebbe pertanto poco equo tassare attività sulle quali non si ha rilevante capacità decisionale, al contrario delle altre attività menzionate. Secondo, come avviene tipicamente per questo tipo di imposte, si deducono i debiti individuali.

Per quanto includere gli immobili nella base imponibile di una patrimoniale risulti una politica impopolare resta uno dei metodi più efficaci per spostare in modo significativo il carico fiscale dal lavoro alla ricchezza. Inoltre, se la ricchezza finanziaria ha un suo valore nel ciclo produttivo (i depositi vengono usati dalle banche per erogare prestiti e azioni ed obbligazioni rappresentano investimenti in imprese produttive), la ricchezza immobiliare è una forma di immobilizzazione del capitale che non genera ulteriore crescita a livello aggregato. La patrimoniale sarebbe in questo senso un incentivo all’allocazione del capitale verso forme di investimento maggiormente efficienti.

Una patrimoniale così disegnata dovrebbe avere una soglia di esclusione elevata e un’aliquota marginale bassa. La prima caratteristica permetterebbe di escludere il ceto medio da questa imposta e concentrarla invece sulle persone più ricche: secondo la Banca d’Italia, il 5% di famiglie più ricche detiene oggi il 30% della ricchezza, con un patrimonio netto di 1,3 milioni di euro in media, mentre il 10% più ricco (le famiglie con più di 500mila euro di ricchezza netta totale) detiene circa la metà della ricchezza totale. La seconda caratteristica è legata al fatto che la ricchezza, a differenza dei redditi, è uno “stock”, una quantità fissa, non un flusso che si rinnova annualmente: tassarla a percentuali elevate finirebbe per ridurla drasticamente in poco tempo.

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Quanto potrebbe valere una “patrimoniale”

Basandosi sui micro-dati Shiw (Survey on Household Income and Wealth) si può ottenere una stima grossolana del gettito che potrebbe provenire da un’imposta patrimoniale. Nel caso di un’imposta simile a quella che esisteva in Francia fino all’anno scorso, ossia tassando le famiglie con patrimonio al di sopra degli 800mila euro (poco meno del 5% più ricco), immobili compresi, escluse pensioni e Btp, con un’aliquota marginale che varia tra lo 0,5% e l’1,5% (ossia con aliquote medie per lo più al di sotto dell’1% per i soggetti interessati), si arriverebbe ad un gettito di circa 4 miliardi (una cifra simile al gettito che tale imposta produceva in Francia nel 2016). Volendo abbassare la soglia di esclusione a 500mila euro, includendo il 10% più ricco, la stessa aliquota produrrebbe un gettito di circa 7 miliardi. Andrebbe comunque approfondita la modalità in cui questa imposta sarebbe integrata nel regime impositivo in vigore.

Queste cifre non sarebbero sufficienti per uno stravolgimento del sistema fiscale, ma permetterebbero di migliorare l’equità del fisco riducendo le tasse sul lavoro, a saldo nullo per le casse pubbliche. Tuttavia, l’implementazione di un’imposta di questo tipo presenta una serie di problematiche di natura pratica che possono pregiudicarne l’efficacia.

I problemi

Una prima classe di problemi riguarda la valutazione della ricchezza: se, da un lato, sono stati compiuti importanti passi avanti nell’ambito della valutazione delle proprietà immobiliari – anche grazie alla sempre maggiore disponibilità di dati – dall’altro non è ancora disponibile in Italia una mappatura chiara della ricchezza personale (o familiare).

Il problema diventa ancora più rilevante quando si considera la fascia di cittadini più ricchi, per due ragioni: in primo luogo, i beni di valore detenuti da una famiglia ricca sono più variegati – includendo spesso elementi molto diversi come fra loro come strumenti finanziari e beni di lusso – e pertanto difficili da tracciare. In secondo luogo, le persone ricche sono quelle più incentivate a evitare le imposte patrimoniali spostando geograficamente la propria ricchezza e detenendola in forme difficilmente tracciabili o, nei casi più gravi, ricorrendo a metodi illeciti per evitare il fisco.

Un secondo problema particolarmente rilevante è quello legato alla riscossione, un processo costoso in particolare per questo tipo di imposte (dove l’unica opzione è il controllo diretto delle dichiarazioni), per il forte rischio di evasione e di fuga dei capitali. In un’economia con libertà di investimento da e verso l’estero il problema può avere una portata rilevante: una ricerca francese ha stimato che dal 1988 la patrimoniale in Francia avrebbe prodotto una fuga di capitali tale da generare una perdita di gettito annuale di 7 miliardi di euro, quasi il doppio del gettito generato dalla tassa stessa. Dal 2017 la tassa è stata perciò sostituita da un’imposta sugli immobili, che per definizione non possono “fuggire” e sono più difficilmente evadibili. Uno studio in Svezia ha invece evidenziato un effetto minore, pur in un contesto diverso, mettendo in luce come siano spesso i soggetti più abbienti e abili quelli che riescono ad evadere maggiormente.

La patrimoniale nel 21° secolo

Per evitare la “fuga di capitali” e riuscire a tassare in modo efficace anche la ricchezza finanziaria servirebbe un accordo al livello internazionale per una tassazione uniforme della ricchezza mobile. Thomas Piketty la definisce una “utile utopia”. Sicuramente è un progetto ambizioso, che richiederebbe un notevole livello di coordinazione tra paesi, ma porterebbe come minimo un beneficio in termini di trasparenza. Nel migliore dei casi invece libererebbe risorse delle classi sociali più ricche che potrebbero essere spese per ridurre il carico fiscale sul lavoro, aumentando il livello di occupazione.

Considerando anche il livello che ha raggiunto la disuguaglianza nel nuovo millennio, misure di questo tipo potrebbero avere un ulteriore effetto positivo redistribuendo la ricchezza verso i ceti medio-bassi. Una misura di questo tipo avrebbe il potenziale di rendere più efficiente il mercato dei capitali, soprattutto in paesi come l’Italia in cui gli investimenti in asset immobiliari coprono una quota maggioritaria del totale del risparmio. Inoltre una maggiore diversificazione gioverebbe al sistema economico nel suo complesso rendendolo meno esposto alle dinamiche dei prezzi del mercato immobiliare.

In sintesi, la patrimoniale presenta molti problemi di implementazione che andranno affrontati nei prossimi anni soprattutto seguendo il solco della maggiore integrazione e cooperazione internazionale. Se si dovesse riuscire ad implementarla a dovere potrebbe però avere importanti effetti benefici per l’economia italiana sia in termini di equità che di efficienza.

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