Istruzione, settima tra le voci della spesa. La distanza tra fatti e parole

scritto da il 07 Febbraio 2019

Il dato linguistico e antropologico è perfettamente racchiuso in una sequenza di cinque frammenti estratta da un discorso del Presidente del Consiglio.

Conte 1: Mi aspetto una riduzione del PIL nel IV trimestre

Conte 2: Il dato positivo è che non dipende da noi

Conte 3: Nei primi sei mesi di quest’anno stenteremo

Conte 4: Ci sono tutti gli elementi per sperare in un riscatto

Conte 5: Abbiamo elaborato una manovra che ci ha spinto in una zona molta rischiosa

(ANSA, Assolombarda, 30 gennaio 2019)

Vien fatto di pensare che, ancora una volta, la cantilena possa essere “Recessione sì-Recessione no”, allo stesso modo in cui, finora, s’è sentito “euro sì – euro no”, “tap sì – tap no”, “tav sì – tav no” e così via. Il giudizio, a ogni modo, spetta al lettore. Noi procediamo oltre documentando lo stato di cose.

La forma logica è quella del contrasto perenne, come se parole, sintagmi, frasi e discorsi avessero smarrito una propria area semantica e permettessero a chiunque di puntare alla neolingua del momento e del bisogno. La manovra del 2,4 è stata difesa a oltranza per poi essere risolta nel 2,04, dopo la bocciatura da parte dell’UE e il conseguente maxiemendamento; reddito di cittadinanza, flat tax e quota cento sono stati oggetto di vere e proprie fluttuazioni, a tal punto che il loro andamento sembrava assimilarsi alla volatilità d’un qualsivoglia strumento finanziario; le clausole di salvaguardia sono state aumentate et cetera. Insomma, il problema è costituito non tanto dalle modifiche in corso d’opera, quanto dall’incertezza che ha dominato per quasi dieci mesi l’economia italiana.

Il dibattito mediatico s’è adattato rapidamente e parecchi opinionisti si sono arrogati il diritto di dire cos’è e cosa non è una certa misura espansiva o qual è, se c’è, il valore macroeconomico dell’intera manovra. Ciascuno è libero di parlare ad abundantiam, specie se gli si riconosce il credito sociale, ma non si può passare sotto silenzio che il Bilancio dello Stato è un documento contabile che tutti noi possiamo consultare presso la sezione della Ragioneria Generale del MEF.

I numeri ci conducono immediatamente a un metalinguaggio oggettivo, sottraendoci all’arbitrio sregolato e improduttivo dell’entusiasmo individuale. Senza dubbio, si tratta di un’indagine complessa, forse non alla portata di tutti, ma ciò non ci autorizza a trascurare i dati sovrapponendo a essi fantasie ed eccessi di libertà interpretativa. Con uno sforzo di semplificazione, possiamo anzitutto ridurre la finanza pubblica a due componenti essenziali: quella della composizione delle entrate e quella della composizione della spesa.

Di certo, nessuno potrà metterne in dubbio l’attendibilità, a meno di voler screditare l’intero MEF: i dati sono prelevati interamente dal documento di Bilancio dello Stato, cui ogni cittadino può accedere, mentre i grafici sono rifatti sulla base di quelli del MEF. La rielaborazione s’è resa necessaria solo a scopo di semplificazione.

Il contesto che prendiamo in esame è quello delle stime previsionali 2019

Per quanto riguarda la Composizione delle Entrate, il 58,9%, cioè 513 miliardi, è costituito dalle entrate tributarie, il 7,3%, 63,2 miliardi, dalle entrate extra-tributarie, lo 0,3%, 2,3 miliardi, da alienazione e ammortamento beni patrimoniali e il 33,5% nuove accensioni e prestiti, 290,9 miliardi. Le più significative tra le voci d’entrata restano le imposte sul patrimonio e sul reddito e le tasse e le imposte sugli affari, che producono un gettito, rispettivamente, del 52,6% e del 35,3%. Lungi dal giudicare il dato di bilancio, di certo non possiamo esimerci dal dire – i lettori ne converranno – che l’imposizione è ancora troppo alta in considerazione di un bisogno indiscutibile del sistema di competitività: far crescere i fattori di produzione, capitale e lavoro.

composizione_entrate

In materia di Composizione della Spesa, invece, il 67,7%, cioè 588,3 miliardi, riguarda le spese correnti, il 5,7%, 49, 7 miliardi, le spese in conto capitale, mentre il restante 26,6%, 231,5 miliardi, il rimborso delle passività finanziarie. Non si fa fatica a rilevare che poco meno della metà della spesa è assorbito dal valore aggregato dei prestiti contratti dallo Stato; il che pesa molto sulla rigenerazione del capitale. È altrettanto preoccupante, infatti, la cifra che concerne le spese in conto capitale, vale a dire quella spesa mediante la quale si determina la formazione del capitale nazionale.

Se adesso spostiamo l’attenzione sulla destinazione della spesa e della sua ripartizione finale, ci rendiamo conto che su dieci voci la più alta, ossia il 35,7%, è dedicata alla gestione del debito pubblico, tra rimborso dei prestiti e pagamento degli interessi, mentre la più bassa, l’1%, interessa la tutela dell’ambiente, la gestione del territorio e l’urbanizzazione. Ciò che più c’interessa, tuttavia, è quel 7,3% destinato all’istruzione, alle attività ricreative, culturali e di culto. In pratica, in una classifica spartana dei valori, l’istruzione è relegata al settimo posto.

Di conseguenza, se proviamo a fare una prima elementare valutazione sulla base dei dati acquisiti, possiamo dire che il rapporto tra spesa per rimborso di attività finanziarie e la spesa in conto capitale è marcatamente ‘recessivo’ ed è appesantito da una spesa inadeguata per l’istruzione, dal momento che non possiamo fare a meno di considerare l’istruzione come un investimento fondamentale per lo sviluppo del Paese. È bene precisare, a vantaggio di coloro che non hanno particolare dimestichezza con la disciplina, che della spesa in conto capitale fanno parte gli investimenti fissi lordi e i contributi agli investimenti. Nello stesso tempo, quando si va in cerca del risparmio pubblico, si registrano facilmente un -11,9 miliardi in previsione integrata e un -290,9 miliardi, come s’è detto in precedenza, per il ricorso al mercato nell’ambito dell’anno in questione. Tutto questo determina un saldo netto negativo: -59,4 miliardi.

composizione_spesa

Appare evidente, a questo punto, che i nomi e gli aggettivi che assegniamo alle componenti della manovra sono, a dir poco, irrilevanti e, a pensarci bene, piuttosto risibili. Il paese si appresta, rebus sic stantibus, a subire una considerevole riduzione del risparmio nazionale e degli investimenti; la qual cosa si tradurrà, in assenza di contromisure, in una brusca erosione dello stock di capitale e della produttività. L’aumento degli interessi sul debito poi completerà il quadro indebolendo ulteriormente l’identità contabile.

Nel tentativo di tenerci a debita distanza dall’ironia o dal facile sarcasmo, ci chiediamo come mai il Presidente del Consiglio si abbandoni ad affermazioni che non hanno alcun legame di pertinenza ‘algebrica’ coi documenti contabili della Ragioneria dello Stato: “Ci sono tutti gli elementi per sperare in un riscatto”. Siamo davvero costretti ad arrenderci alla leggerezza della parola accidentale, babelica e impertinente? Gli errori semantici e strutturali di Conte sono gravi.

PRIMO ERRORE

Usare il sintagma verbale “sperare in un riscatto” lascia intendere che siamo in una situazione catastrofica, laddove, di fatto, l’Italia potrebbe ancora contare su un certo margine di operatività finanziaria. Che cos’è il “riscatto” in economia? Ogni riscatto, inequivocabilmente, include un processo di liberazione da qualcosa: in ogni caso, la liberazione si conquista pagando uno specifico prezzo. È abbastanza strano che il capo del governo voglia diffondere tra la gente la necessità di liberazione, tranne che questo prezzo sia da rintracciarsi in “una manovra che ci ha spinto in una zona molta rischiosa”, come lo stesso Conte ha affermato. Dunque, o non ha studiato il Bilancio dello Stato, limitandosi a registrarne solamente gli ‘umori’, oppure ne ha riferito impropriamente i contenuti.

SECONDO ERRORE

Il dubbio sulle conoscenze circa il Bilancio dello Stato si consolida, se suddividiamo la frase di Conte in reggente e subordinata e ci soffermiamo sulla reggente: “Ci sono gli elementi”. A che cosa si riferisce il Presidente del Consiglio? Se l’obiettivo è quello di trasmettere ottimismo, non si capisce perché abbia parlato di “riscatto”. Se, diversamente, con “ci sono gli elementi”, intendeva parlare indirettamente dei presupposti d’una certa prosperità, allora la dichiarazione è falsa. In entrambi i casi, il discorso altera chiaramente le verità contabili: da un lato, sembra esasperarli, forse perché tradito dalla notizia della recessione; dall’altro, invece, li ignora alludendo a chissà quale benessere economico.

TERZO ERRORE

“Abbiamo elaborato una manovra che ci ha spinto in una zona molto rischiosa” rappresenta una combinazione linguistica che somiglia più a un mea culpa che al rinnovarsi della “speranza”. Il fattore rischio, se concepito e sviluppato per tecnica di governo e con consapevolezza, pone in essere un serio problema di azzardo morale. Non si può trasformare in merito l’aver elaborato una manovra prociclica, dato che, secondo l’art. 81 della Costituzione, “lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico”. Ed è appena il caso di ribadire: “tenendo conto delle fasi favorevoli del ciclo economico”.

È doveroso porsi almeno tre domande:

  1. Perché Conte appare tanto imbarazzato nell’esporre le cause della recessione tecnica?
  2. Perché il suo discorso è così ricco di contraddizioni?
  3. Perché sembra che il Presidente del Consiglio non conosca adeguatamente il Bilancio dello Stato?

Nel concludere questo contributo, è davvero difficile resistere a un richiamo di romanticismo socio-economico: quando insistiamo nel parlare di investimenti, commentando la spesa in conto capitale, lo facciamo unicamente perché costruire ospedali, autostrade, ponti, porti, linee ferroviarie et cetera vuol dire fare la storia mediante una delle più importanti componenti del PIL, creare continuità tra noi e le generazioni a venire, vuol dire farsi riconoscere come Paese.

Se gli antichi romani non avessero realizzato la Cassia o l’Aurelia… (?) Pensiamoci un attimo!

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