Allerta, c’è la crisi: le aziende da salvare e i dubbi sul nuovo Codice

scritto da il 02 Aprile 2019

La crisi d’azienda, purtroppo, è diventata una materia molto rilevante nell’articolato mondo del management e della consulenza finanziaria e direzionale; veniamo da un periodo molto complicato, con le procedure concorsuali che sono cresciute anno su anno, con un picco nel 2014; ora va meglio anche se in molti settori, come quello delle Costruzioni, è ancora forte il ricorso alle varie procedure di gestione dell’insolvenza (si veda il grafico in basso).

Fonte: Osservatorio CERVED - Settembre 2018

Fonte: Osservatorio CERVED – Settembre 2018

Già abbiamo avuto modo di fare il punto sulla strumentazione a disposizione di consulenti e manager che devono affrontare situazione di crisi; in tale occasione, si è paragonata la crisi d’impresa alla malattia: anche in azienda servono diagnosi e cure, e serve costanza nel seguire quanto i “medici d’azienda” prescrivono, onde evitare recidive e ricadute; molto spesso il risanamento non riesce, ed anche le aziende muoiono, sotto i colpi di un mercato ostico e/o di scelte aziendali sbagliate.

Nel contributo citato abbiamo raccontato come sicuramente, negli ultimi anni, ci sia stato un progressivo ammodernarsi delle norme che sono a disposizione delle imprese quando devono affrontare situazioni di crisi: i “piani attestati” (ex art. 67, terzo comma, lett. d legge fallimentare); gli accordi di ristrutturazione dei debiti (ex art. 182 bis della legge fallimentare), nonché il concordato preventivo, specie “in bianco” (ex art.  161, sesto comma, legge fallimentare) e in continuità (ex art. 186 bis)  sono stati ampiamente utilizzati dalle aziende, con alterne fortune.

Dallo scorso 14 febbraio vi è stata un’importante svolta nella disciplina di questi temi: è divenuto legge il nuovo “Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza” (CCII), contenuto nel Decreto Legislativo 14 del 2019, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 14/2/2019 e la cui entrata in vigore – limitatamente alle previsioni che qui interessano – avverrà a far tempo dal 15 agosto 2020.

Esso è il frutto di un lungo lavoro della Commissione presieduta da Renato Rordorf, appositamente creata per razionalizzare i vari interventi succedutisi negli anni e dare una sistemazione organica ed unitaria alla disciplina delle Crisi e dell’Insolvenza, considerato che la Legge Fallimentare, nel suo impianto originario, risaliva ad un Regio Decreto del lontano 1942.

La nuova disciplina entrerà quindi in vigore nel 2020, e ovviamente non possiamo qui, nemmeno per sommi capi, elencarne tutti i contenuti: un punto che ci pare qualificante, tuttavia, si evince già dall’intitolazione del nuovo Codice, ed è proprio l’aver affiancato all’”Insolvenza” dell’impresa (quando, potremmo dire, i buoi sono già scappati, e l’impresa ha perso la sua continuità), anche la gestione della “Crisi” della stessa, cioè quando iniziano le avvisaglie della “malattia” ed è necessario provare a salvaguardare l’avviamento aziendale e la sua continuità gestionale.

È proprio su uno dei punti introdotti a quest’ultimo riguardo (la prevenzione dell’Insolvenza) che si è già aperto un discreto dibattito: parliamo delle “procedure di allerta”, tese a presidiare il tema dei “segnali di crisi” al fine di costruire processi virtuosi di gestione degli stessi.

Come evidenzia tuttavia Corriere Economia del 25 marzo 2019, ospitando un articolo di Piergaetano Marchetti e Marco Venturozzo, c’è discussione se queste procedure siano più di “buon governo” o non invece di “intralcio” alla gestione ordinaria aziendale. Anche Stefano Morri, noto avvocato e commercialista a Milano, in un post su Linkedin, definisce la procedura di allerta “un percorso burocratico che appesantisce le aziende”.

Ma di cosa si tratta? Che cos’è questa nuova procedura? Non essendo un giurista, cercherò qui di affrontare il tema sotto il profilo manageriale, al fine di comprendere quali siano le caratteristiche di questa nuova procedura e perché essa sia così discussa.

Per farlo introduco un caso personale, accadutomi pochi giorni fa: in veste di Presidente del Consiglio di Amministrazione di una società ho presieduto una seduta di Consiglio in cui si esponevano previsioni di cassa su 18 mesi futuri, identificando uno sbilancio temporaneo fra entrate ed uscite dovuto all’incasso (collocato oltre i 12 mesi) di IVA a credito verso l’Erario; una situazione classica in cui imprenditori e manager si trovano costantemente. Si sono spiegate le modalità con le quali si sarebbe affrontato il temporaneo squilibrio finanziario ed il collegio sindacale ha richiesto ed ottenuto le necessarie delucidazioni.

Ebbene, questa sarebbe stata (e sarà), con ogni probabilità, una classica situazione da attivazione di una possibile procedura di allerta: vediamola nello specifico.

Sostanzialmente, la nuova disciplina pone in capo all’Organo di Controllo, al Revisore contabile o Società di Revisione la possibilità di comunicare agli amministratori la presenza di “fondati indizi della crisi” (Articolo 14 del CCII); ciò dovrebbe avvenire secondo la valutazione dell’osservanza (o meno) di una serie di indici che dovranno essere elaborati dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti.

Gli amministratori dovranno rispondere, entro un termine non superiore a 30 giorni, comunicando in che modo stanno gestendo questi “indizi” e quali provvedimenti hanno messo in atto al fine di scongiurare il peggioramento della crisi; si badi bene che l’avvio della procedura di allerta può essere causa di esonero della responsabilità solidale posta in capo agli organi di controllo per eventi pregiudizievoli occorsi ai terzi per il caso in cui la crisi sfoci, successivamente alla segnalazione, in un caso di insolvenza.

Un primo elemento di valutazione, quindi,sta nel fatto che con ogni probabilità l’Organo di Controllo (di norma i Sindaci) – volendosi assicurare una sorta di salva condotto con effetto esimente da possibili responsabilità future – non lesinerà certo di avviare una procedura di allerta alla presenza dei primi indizi di squilibrio (anche se, come vedremo, in questa fase la procedura rimane all’interno dell’azienda).

L’Organo di Controllo, peraltro, dovrà essere destinatario di comunicazione dei creditori bancari in merito alla modifica del merito di credito delle aziende (come revoche di affidamenti o modifica degli stessi): una sorta di “condivisione” di queste tematiche anche con i Sindaci in un’ottica che vede una maggiore centralità di queste figure nei tentativi di gestire al meglio le crisi.

Titolari della possibilità (art. 14, ultimo comma, CCII) di avviare una procedura di allerta sono anche taluni creditori qualificati (l’INPS, l’Agenzia delle Entrate, l’agente per la riscossione): in questi casi la segnalazione ha a che vedere con debiti scaduti e non pagati, secondo soglie determinate, che devono fare oggetto di comunicazione all’impresa debitrice, pena la perdita del grado di privilegio che notoriamente questi crediti hanno.

Nel primo caso, quindi, il Codice non fa che disciplinare, codificare con degli indici e dare maggiore formalità ad una dialettica che è tuttora presente, almeno in parte, fra gli amministratori e gli organi di controllo, ad esempio in occasione delle verifiche ai fini della valutazione dell’”ongoing concern”, cioè della continuità aziendale: si tratta tutto sommato di un dialogo che personalmente ritengo utile, se fatto con la necessaria intelligenza e comprensione delle principali dinamiche imprenditoriali che vi stanno alla base. Anche i creditori, in particolare bancari, hanno ormai sviluppato – a mio parere – un sempre maggiore grado di comprensione su questo tipo di problematiche e possono considerarle e condividerle nel modo più corretto e costruttivo (essendo tra l’altro titolari, come visto, di una rilevante informativa da condividere con gli organi di controllo).

Certamente, per contro, ci potrà essere la tendenza a “scaricare” sugli amministratori, al costo di una semplice PEC, l’onere ed i costi di gestire le avvisaglie di crisi, ma va anche detto che gli amministratori ed i manager sono lì apposta e ritengo possano – e debbano – avere, eventualmente con l’ausilio di consulenti, gli strumenti per affrontare agevolmente la questione (1).

La seconda casistica è invece di ordine diverso: lì vi sono dei creditori qualificati pubblici che “alzano la mano” e rendono noto che la loro esposizione creditoria ha superato determinate “soglie” a causa di ritardi o omessi pagamenti: per l’IVA si fa riferimento al 30% del volume di affari (con dei minimi), per i contributi INPS ci si riferisce a 6 mesi di ritardo sul 50% del livello di contribuzione del mese precedente.

Anche questi aspetti, nella mia esperienza, sono in parte già esistenti e codificati: le imprese che operano con la pubblica amministrazione devono essere in possesso del DURC e l’Agenzia delle Entrate può inserire un’azienda in “black-list”, laddove non sia compliant, e questa sarà penalizzata in merito a futuri rimborsi o accrediti di imposta. D’altro canto però, la nuova normativa prevede la perdita di privilegi e vantaggi, in caso di inerzia nel fare le segnalazioni, e ciò porterà sicuramente le pubbliche amministrazioni ad essere probabilmente più aggressive, anche loro in una logica di “mettersi al riparo” da futuri problemi, con segnalazioni “a tappeto”.

Abbiamo visto quindi che le procedure di allerta determinano la presenza di segnalazioni che con ogni probabilità saranno molto numerose; ma fatto questo, cosa accade? La normativa del nuovo Codice, prevede un’altra grande novità: per gestire segnalazioni di allerta che non trovano soddisfacente risposta, viene costituito presso le Camere di Commercio l’Organismo per la Composizione della Crisi d’impresa (OCRI), che è incaricato di gestirne il prosieguo PRIMA di accedere, se del caso, ad una procedura concorsuale.

Si tratta di un collegio formato da 3 “esperti”: uno nominato dal Tribunale, uno designato dal Presidente della Camera di Commercio ed uno “nominato all’associazione rappresentativa del settore di riferimento del debitore, individuato dal referente, sentito il debitore, tra quelli iscritti nell’elenco trasmesso annualmente all’organismo dalle associazioni imprenditoriali di categoria” (Art. 17, lett. C, CCII).

All’interno di questo organismo, si svolgeranno le fasi successive della composizione della crisi: le norme sono piuttosto articolate, con dei tempi però ristretti: in tre mesi (prorogabili di altri tre) sarà necessario identificare soluzioni per ridurre lo squilibrio, e sottoscrivere i necessari accordi, altrimenti si dovrà procedere con una delle procedure concorsuali, o piani di ristrutturazione, previsti dall’ordinamento.

Si tratta sicuramente di una novità rilevante: abbiamo detto che la semplice procedura di allerta rimane “endo-aziendale” – limitandosi a un dialogo fra azienda ed organi di controllo – mentre ora, con l’approdo all’OCRI, essa esce dalle aziende ed acquisisce, diciamo, una rilevanza pubblica, pur non approdando ancora ad una procedura concorsuale sotto il controllo del Tribunale e con organi insediati; si dà origine, in altre parole, ad un tentativo, vedremo quanto riuscito, di affidare ad un collegio di esperti esterni le migliori forme per uscire dalla crisi. Questa svolta fa titolare al Sole 24 Ore, forse con qualche forzatura, che “Finisce l’era del laissez-faire fallimentare”. (2)

Alcune perplessità effettivamente vi sono: come sarà accolto, ad esempio dal mondo bancario, l’accesso di un’impresa ad una composizione della crisi per il tramite dell’OCRI? Non porterà questo all’accelerazione di certe dinamiche relative alla messa in discussione del merito di credito delle aziende? A mio parere, vi sono tutti gli elementi per pensare che la gestione delle crisi in maniera preventiva possa essere ben accolta dal ceto bancario anche se i tempi piuttosto serrati imposti da questa procedura potrebbero mettere a dura prova meccanismi di formazione delle decisione che sono spesso, nel mondo bancario, ben più lunghi ed articolati.

Un’altra questione riguarda i professionisti coinvolti dagli organismi di composizione: tutto lascia supporre che gli iscritti al (costituendo) Albo in cui verranno scelti (composto da coloro che possono esercitare “funzioni di curatore, commissario giudiziale o liquidatore, nelle procedure previste nel codice della crisi e dell’insolvenza”) saranno soprattutto curatori o liquidatori giudiziali. Non era forse il caso di bilanciare con soggetti che invece di gestire liquidazioni giudiziali conclamate, siano anche esperti nell’evitarle? È possibile sperare che questo bilanciamento avvenga nella prassi? Spero proprio che la risposta sarà positiva.

Insomma, le incertezze non mancano, sia per le procedure di allerta che per le procedure presso l’OCRI, ed è giusto che si sia aperto il dibattito. Può essere utile citare al riguardo quanto dichiarato dal professor Rordorf, che ha presieduto per lunghi anni la Commissione che ha scritto il nuovo Codice e che al Sole 24 Ore ha detto: <<Essere riusciti ad introdurle [le procedure di allerta, NdA] è sicuramente un buon risultato. Certo, alla fine sono state costruite in maniera troppo procedurale, fra soglie, limiti e parametri, che potrebbero generare contenzioso. …il successo dell’allerta è legato anche alla costruzione di un clima non ostile all’imprenditore, favorendo al ricerca di soluzioni negoziali…>> (3)

Forse questa dichiarazione racchiude in sé molte delle tematiche che abbiamo discusso, che quindi erano già ben presenti al legislatore; vedremo come proseguirà il dibattito e come nella prassi si troverà soluzione alle varie problematiche: se più aziende verranno salvate ed eviteranno la procedura concorsuale, sarà un bene per tutti.

(Ringrazio per gli spunti l’avv. Paolo Rusconi, Partner di K&L Gates Milano)

Twitter @dorinileonardo

NOTE

(1) Un tema conseguente, che qui non abbiamo lo spazio per analizzare, è la riduzione delle soglie per l’introduzione di organi di controllo imposta dalla normativa, che andrà in vigore già quest’anno: le nuove soglie dell’articolo 2477 del Codice Civile, dettate dal CCII in ossequio alla maggiore enfasi data dalla norma alle figure ed agli assetti di controllo, farà sì che molte società, anche di piccole dimensioni, siano obbligate a prevedere un organo di controllo. Anche questa misura ha già iniziato a creare un dibattito acceso.

(2) (3) Speciale il Sole 24 Ore sul nuovo Codice della Crisi e dell’Insolvenza, 23 gennaio 2019