Piccola storia della moneta, fra miti e realtà

scritto da il 07 Aprile 2019

Sulla moneta nel corso dei secoli si è detto di tutto ed anche oggi di cose “nuovissime” non ce ne sono, nemmeno quelle delle Teorie della Moneta Moderna. In questo post proverò a spiegare alcune logiche di fondo ed alcuni fatti storici in modo che possiate capire meglio le discussioni del presente.

La moneta svolge tre funzioni fondamentali:
– unità di conto, cioè rappresentazione numerica convenzionale del valore di un bene/servizio
– mezzo di scambio, cioè strumento attraverso il quale ci scambiamo beni e servizi
– riserva di valore, cioè strumento per l’accumulo ed il mantenimento della capacità di acquistare beni/servizi nel tempo.

Quando una di queste tre funzioni viene a mancare non si può parlare di moneta, nonostante quello che vi vogliono far credere i vari “bitcoin evangelists”, “profeti delle monete complementari” e fuffaroli vari.

La moneta nasce fin dall’inizio con accanto un “collaterale”, cioè qualcosa che “garantisca” il valore della stessa. Persino nella sua forma più primitiva, quello del lingotto/barra (leggete la Bibbia, anche se trovate esempi fino all’età contemporanea in Cina) si trovava sulla barra-lingotto-moneta impressi i simboli dell’autorità che “garantiva” col suo prestigio e potenza il valore della stessa, come corrispondenza al peso ed alla qualità del metallo nel caso di metalli preziosi, come puro e semplice impegno che fosse accettata dagli altri agenti economici del luogo dove l’emittente estrinsecava la sua potenza politica.

Nel primo caso, dove il collaterale è espresso in materiale prezioso, si ha la cosiddetta “moneta merce” o “moneta grossa”.

Nel secondo caso, dove il collaterale è solo un impegno, una promessa, legata alla potenza, e quindi anche alla capacità coercitiva dell’emittente di far accettare la moneta come forma di pagamento, si parla di “moneta fiat” o di “moneta piccola”.

Moneta-lingotto cinese del 1945 corrispondente a 10 tael, unità di peso ma anche di valore monetario.

Moneta-lingotto d’oro cinese del 1945 corrispondente a 10 tael, unità di peso ma anche di valore monetario. Notate il profilo di Chiang Kai-shek allora leader della Cina nazionalista a “garanzia” della “bontà” del lingotto.

Ovviamente avete anche capito che tutte le chiacchiere sulla “moneta fiat” come grande innovazione sono storicamente delle stupidaggini. Alle monete in metalli vili, rame, alluminio, bronzo, ecc è sempre stato assegnato un valore superiore a quello intrinseco dei metalli, valore che era appunto garantito dalla fiducia che gli altri agenti economici la potessero accettare come pagamento.

Questo sistema significava anche che la “moneta grossa” era quella di solito riservata agli scambi verso l’estero o quelli di grossa entità, in quanto il metallo prezioso era accettato ovunque, fatto salvo le verifiche del peso e della lega, mentre la “moneta piccola” era riservata agli scambi locali di piccolo valore.
Il rapporto fra la “moneta piccola” e la “moneta grossa” non era stabile, ma spesso variava o per fluttuazioni del valore intrinseco del metallo della “moneta grossa” o perché le crisi dei cicli economici. e quindi le spinte inflattive, venivano di norma “scaricate” sulla “moneta piccola” mentre si cercava di preservare il più possibile la stabilità di quella grossa, salvo proprio crisi sistemiche.

Un carlino d'argento bolognese del 1667, equivalente a 6 bolognini, che era il nome del soldo bolognese, cioè mezza lira. Nel secolo primo ne valeva 5, ma il soldo bolognese venne svalutato per renderlo pari di valore al bajocco romano. Da questo capite come era "fluttuante" il valore reciproco dei vari conii di moneta nei sistemi monetari dell'epoca. Una curiosità, il giornale "Il Resto del Carlino" prende il nome proprio da questa moneta che durante il regno d'Italia era traslato a rappresentare i 10 centesimi di lira, per cui un sigaro ne costava 8 e il resto di 2.... era il costo del giornale!

Un carlino d’argento bolognese del 1667, equivalente a 6 bolognini, che era il nome del soldo bolognese, cioè mezza lira.
Nel secolo primo ne valeva 5, ma il soldo bolognese venne svalutato per renderlo pari di valore al bajocco romano. Da questo capite come era “fluttuante” il valore reciproco dei vari conii di moneta nei sistemi monetari dell’epoca.
Una curiosità, il giornale “Il Resto del Carlino” prende il nome proprio da questa moneta che durante il regno d’Italia era traslato a rappresentare i 10 centesimi di lira, per cui un sigaro ne costava 8 e il resto di 2…. era il costo del giornale!

Da ciò derivava una politica monetaria prettamente di classe poiché essendo la maggior parte della popolazione pagata in moneta piccola, era essa a dover sopportare il peso di queste crisi. Immediatamente, in quanto come dicevo le transazioni importanti erano compiute in “moneta grossa” e quindi il popolano che prima poteva comprare una casa, dopo non ci riusciva più.

Ma non solo.

Essendo le imposte spesso dovute in “moneta grossa”, una perdita di valore della “moneta piccola” risultava in un inasprimento fiscale sulle classi meno abbienti.

Ghinea d'oro di Giorgio III del 1775.

Ghinea d’oro di Giorgio III del 1775.

Un esempio classico e piuttosto recente fu la ghinea inglese coniata dal 1663, chiamata così perché prodotta con l’oro proveniente dal commercio degli schiavi che aveva una delle sue principali basi in Guinea. All’inizio valeva 20 scellini come la valuta base del Regno Unito, la lira sterlina, ma l’aumento del valore dell’oro la portò fino a 30 scellini e, nonostante la si ridusse di peso, nel 1813 era scambiata ancora contro 27 scellini di cartamoneta.

Ancora fino al 1971, anno della decimalizzazione, il termine ghinea indicava la somma di 21 scellini ed era usato come termine di valore per le parcelle professionali, le rendite, gli acquisti di terreni e per le scommesse sportive, a memoria della connotazione di classe che aveva acquisito durante i secoli.

Questo sistema funzionò più o meno così fino alla rivoluzione francese il cui sistema decimale monetario, basato sul bimetallismo, cercò di rendere rigidi i rapporti di valore fra i vari conii di moneta in modo che 1 franco (o una lira) valesse sempre 100 centesimi (di franco o di lira).

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I 5 freanchi d'argento ed i 20 franchi d'oro coniati da Napoleone. Il sistema bimetallico francese divenne lo standard europeo per tutto il XIX secolo e la base dell'Unione Monetaria Latina.

I 5 franchi d’argento ed i 20 franchi d’oro coniati da Napoleone. Il sistema bimetallico francese divenne lo standard europeo per tutto il XIX secolo e la base dell’Unione Monetaria Latina.

Le fluttuazioni del rapporto di valore fra l’oro e l’argento provocò la crisi di questo sistema che fu presto sostituito dal gold standard, di origine inglese, cioè con il valore della valuta principale legato ad una quantità fissa d’oro e la convertibilità proporzionale di tutte le altre monete, sia metalliche che di cartamoneta, in tale quantità.

Con sospensioni più o meno lunghe dovute o a crisi locali o globali, guerre mondiali, crisi degli anni ’30, questo sistema è durato fino al 1971.

Una banconota da 10 dollari emessa dalla FED nel 1928. Come si può leggere era convertibile in oro a richiesta del portatore adottando allora gli USA ancora il Gold Standard..

Una banconota da 10 dollari emessa dalla FED nel 1928. Come si può leggere era convertibile in oro a richiesta del portatore adottando allora gli USA ancora il Gold Standard.

Con l’accordo di Bretton Woods del 1944, infatti, il dollaro mantenne un rapporto di convertibilità in oro mentre le altre valute dovevano mantenere cambi fissi col dollaro stesso, salvo autorizzazione speciale del FMI di poter svalutare o rivalutare la moneta nazionale contro il biglietto verde.

Ma appunto nel 1971 Nixon, di fronte alla richiesta di Francia e Germania di avere le transazioni a loro credito pagate non in dollari, ma con la quantità di oro corrispondente, decise unilateralmente di sospendere la convertibilità del dollaro in oro, facendo quindi crollare il trattato.

Da allora tutte le monete mondiali sono solo “fiat” o “monete piccole” nel senso che non hanno come collaterale del metallo prezioso, ma solo appunto dei titoli di stato (o anche privati recentemente) i quali a loro volta sono garantiti dalla solvibilità, cioè dalla potenza economica ed il prestigio di chi li emette.

In pratica mentre prima un privato portava alla zecca l’oro per esser coniato ed avere in cambio le monete, oggi i privati autorizzati (le banche di norma) portano alla Banca Centrale dei titoli di stato per avere in cambio banconote (semplifico brutalmente per far capire).

Ma poiché non tutti gli stati sono sullo stesso piano come capacità di garanzia, appunto per il loro potere economico, per la loro storia, per la loro potenza militare (eh sì, conta pure quella), per la solidità delle loro istituzioni, ecc ecc, alcune monete sono assurte a “monete di riserva” internazionali, cioè vengono ritenute le più sicure come “riserva di valore” (una delle tre funzioni della moneta, vi ricordate?). Queste erano una volta il dollaro, che è di gran lunga la più usata in questo senso, poi c’erano con quote molto minori il marco tedesco, il franco francese, la sterlina inglese, lo yen giapponese e, più recentemente, il dollaro canadese. L’euro ha sostituito ovviamente dal 1998 il marco ed il franco mentre ancora si discute se il renminbi cinese possa entrare in questo ristretto novero essendo comunque una valuta ancora non liberamente trattabile sul mercato.

Quindi alla fine queste monete, ed in particolare quella più forte di tutte, cioè il dollaro, hanno riassunto il compito della moneta “grossa” dei tempi passati, pur non avendo più nessun metallo prezioso come collaterale del loro valore, essendo usate per le transazioni internazionali e pure, nei paesi dove la moneta locale per vari motivi – di norma forti instabilità politiche e/o economiche – non riscuote più la completa fiducia degli agenti economici, come moneta di scambio interna per le transazioni di particolare valore, esattamente come in passato. Questo fenomeno si chiama “dollarizzazione”, perché appunto di solito era il dollaro la moneta “di pregio” usata nei paesi del terzo mondo o in quelli latino americani in periodi turbolenti, ma abbiamo visto come in alcuni casi, ad esempio nei paesi della ex Jugoslavia, prima il marco e poi l’euro abbiano assunto lo stesso ruolo in presenza di formazioni statali ancora fragili.

In conclusione spero che questa brevissima e certo non esaustiva storia abbia potuto rendere alcuni concetti più chiari, anche se la moneta rimane un soggetto avvolto ancora in parte nel mistero, essendo allo stesso tempo un fenomeno sia economico che politico, in sostanza una convenzione fra essere umani difficile da tradurre completamente in formule e numeri.

Twitter @AleGuerani