La classe media declina ma non in Italia, nuova mecca del populismo

scritto da il 24 Aprile 2019

Un interessante rapporto Ocse “Under pressure: the squeezed middle class” ci consente di approfondire con qualche dato concreto uno degli argomenti più gettonati del nostro dibattito pubblico: il declino della classe media, per molti all’origine del populismo contemporaneo. Prima di vedere quanto sia fondata questa convinzione, però è necessario intendersi sul significato dei termini, cominciando proprio da quello di ceto medio, che rischia di generare molta confusione.

Ocse classifica come appartenente al ceto medio una famiglia che abbia un reddito compreso fra il 75% e il 200% del reddito mediano del paese di riferimento. Quindi ogni paese avrà una classificazione diversa del ceto medio perché diverso è il livello del reddito mediano.

Prima di andare a vedere nel dettaglio, è utile sottolineare un dato che dovrebbe servire a capire meglio. “In media, nei paesi dell’Ocse, la percentuale di persone nelle famiglie a reddito medio, (definito come abbiamo visto, ndr) è sceso dal 64% al 61% tra la metà degli anni ’80 e la metà del 2010”. Quindi il declino del ceto medio nei paesi Ocse sta tutto in questo 3% di famiglie che hanno visto scendere (ma anche salire) il loro reddito sopra la soglia che abbiamo visto.

Ma il punto, secondo Ocse, è un altro. “L’influenza economica della classe media e il suo ruolo di centro di gravità economica si sono indeboliti. Il reddito complessivo di tutte le famiglie a reddito medio era tre volte il reddito aggregato delle famiglie ad alto reddito tre decenni fa. Oggi, questo rapporto è inferiore a tre”. La questione, quindi, è politica. Specie considerando che “il gruppo a medio reddito è diventato più piccolo con ogni successiva generazione: il 70% dei baby boomer faceva parte della classe media ventenne, rispetto al 60% dei millennial. La generazione del baby boom ha avuto una vita lavorativa più stabile rispetto alle generazioni più giovani”.

A fronte di questa cornice è opportuno fare un altro passo in avanti nella ricognizione dei dati, che ci consenta di quantificare per capire meglio. Cominciamo da una rappresentazione che ci permette di osservare la percentuale di classe media, cosi come definita, nei vari paesi dell’area.

Ovviamente, come abbiamo già detto, la soglia qualificante per l’appartenenza al ceto medio varia a seconda del paese considerato. In Messico il range varia dai 3.800 ai 10.000 dollari annui, negli Usa fra i 26.500 e i 70.600.

Ancora più interessante è osservare l’andamento dei redditi delle varie classi considerate, che mostra con chiarezza come l’accelerazione del reddito sia direttamente proporzionale all’ammontare del reddito stesso.

Purtroppo l’analisi di Ocse non risale a prima del 1985, scelto come momento di partenza dell’osservazione. In compenso ci fa sapere che in alcuni paesi l’inclinazione della curva, ossia la crescita relativa dei redditi più elevati rispetto a quelli mediani è stata più pronunciata. Negli Usa, ad esempio, “la quota dell’1% più ricco è quasi raddoppiata dall’11 al 20% nel corso dei tre decenni fino a quasi la metà dell’incremento del reddito complessivo registrato nel periodo”. E questo ha provocato l’indebolimento del ceto medio, ossia della sua capacità “politica” di  influenzare i processi.

Ora se le premesse di Ocse sono corrette, ossia che l’indebolimento economico del ceto medio ha coinciso con una sua perdita di peso politico, diventa interessante osservare che non in tutti i paesi è andata nello stesso modo. In alcuni, fra i quali il nostro, gli “abitanti” del ceto medio sono persino cresciuti.

Il grafico sotto misura la dimensione della classe media fra il 1980 e il 2010 utilizzando come punto di osservazione la popolazione in età lavorativa e l’appartenenza al ceto medio del capofamiglia, quindi relativamente alla sua occupazione.

Come si può osservare i posti di lavoro iscrivibili alla classe media sono diminuiti nel trentennio considerato mentre sono aumentati di un paio di punti quelli più a basso reddito, a suggerire quindi uno scivolamento di quello che una volta era ceto medio (o meglio una piccola parte di esso) verso il basso. Se guardiamo il dato generale disaggregato nei diversi paesi che compongono l’area, otteniamo altre informazioni interessanti.

Come si può osservare, l’Italia è uno dei pochi paesi (insieme a Messico e Cile) ad aver registrato un aumento dei lavoratori ascrivibile alla classe media, a fronte di cali generalizzati in tutti gli altri. E soprattutto si è registrato una crescita della quota dei redditi più elevati (upper income) a fronte di una notevole diminuzione di quelli più bassi (lower income). Insomma, la narrativa Ocse sul declino della classe media, con tutti i suoi annessi e connessi politici che abbiamo visto, sembra si attagli poco al caso italiano. E tuttavia abbiamo finito col diventare un caso di scuola del populismo contemporaneo. Forse dovremmo cambiare punto di vista. O almeno iniziare a nutrire qualche dubbio.

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