Startup in Italia, facciamo come la California! Ecco perché trovare 5 miliardi

scritto da il 16 Maggio 2019

Gli autori di questo post sono Elia Stupka e Nicola Marino. Stupka è senior vice president e direttore generale della divisione Life Sciences di Health Catalyst, società che da qualche mese ha toccato la valutazione di un miliardo di dollari. Marino è laureato presso l’Università Cattolica, laureando in medicina e chirurgia, imprenditore con esperienza di ricerca presso Harvard Medical School – 

La California ha staccato il resto del mondo negli ultimi 20 anni grazie a un imbuto largo e generoso per la creazione e crescita delle startup. Basterebbero 5 miliardi all’anno per riportare l’Italia fra i primi posti al mondo per l’innovazione.

Puricelli progettò la prima autostrada al mondo, nel 1954 Olivetti aprì il suo Olivetti Store sulla Fifth Avenue a New York, 47 anni prima dell’apertura ufficiale del primo Apple Store, e nel 1964 Pier Giorgio Perotto presento il primo desktop computer, Programma 101. Chissà quanti primati potremmo vantare nel 2024, 2054 e 2064 se ritrovassimo l’orgoglio e la passione di inventare, creare e produrre, con quel connubio di tecnica e umanesimo che ci contraddistingue, e che sta diventando così di moda in California.

Solo 20 anni fa, nel 1999, la California e l’Italia avevano un prodotto lordo pressoché identico, intorno ai 1240 miliardi di dollari. Incredibile quanto possa cambiare nell’arco di 20 anni, e quanto dipenda dalle scelte più o meno visionarie e intelligenti di chi dispone di capitale economico o politico da spendere. Cosa è cambiato? Da un lato la California, ora, se fosse una nazione indipendente dagli Stati Uniti, sarebbe lo stato col quinto prodotto interno lordo al mondo, subito dopo Stati Uniti, Cina, Giappone e Germania, con un PIL di 2.968 miliardi, cioè un balzo del 50% negli ultimi 20 anni. Venti anni nei quali in California sono state create o sono approdate 53 delle aziende Fortune 100, le 100 aziende più grandi al mondo per fatturato. Molte di esse non esistevano o erano piccole aziende 20 anni fa, e sono diventate leader digitali a livello globale, dalle grandi tech companies come Google, Facebook e Apple ai leader di settori digitali come Netflix, Salesforce, Paypal, Ebay, alle aziende innovative come Tesla e Nvidia, o leader nel settore farmaceutico come Gilead Sciences.

Sarebbero potute nascere in Italia o in Europa? Senza dubbio. Il fatto stesso che Facebook o Netflix siano diventati dei grandi successi globali ci dice che sono riusciti a creare piattaforme e modelli di business che trascendono molte barriere culturali, politiche ed economiche, permettendo loro di espandere rapidamente il loro business nella gran parte dei paesi del mondo. C’erano ventenni italiani negli anni 2000 con capacità, volontà, idee per creare startup digitali in questi ambiti? Tantissimi… ma la verità è che una delle differenze matematiche fondamentali è stata l’assenza di capitale dedicato alla creazione e crescita di nuove aziende. La differenza di capitale messo a disposizione per investimenti in startup è a dir poco abissale e diventa drammatica, paradossalmente, quando le startup crescono e hanno bisogno di iniezioni di capitale massicce. Vediamo i numeri.

Gap Creazione: ci sono 20 volte più start-up attive in California rispetto all’Italia e serve almeno un miliardo per competere. Andando a cercare startup attive in Italia che abbiano ricevuto almeno 100,000 dollari di investimenti, se ne trovano 419. In California sono più di 8.000! Un gap incolmabile? A livello teorico basterebbe un investimento di 750 milioni di euro (per 7.500 investimenti seed da 100.000 euro) per colmare il gap di creazione, cioè per permettere di competere con la California nella creazione di un numero simile di startup. Dal punto di vista pratico 1,6 miliardi l’anno ci metterebbero alla pari con gli investimenti seed fatti negli ultimi 12 mesi in California (oltre 1.000 investimenti seed in 12 mesi). Scontato per la differenza di PIL ormai accumulata potremmo accontentarci di 1 miliardo per competere alla pari.

Gap di sostegno, il vero dramma: finché le startup hanno bisogno di investimenti al di sotto di 3M (milioni) di euro, in Italia vengono sostenute in maniera simile alla California. Quando necessitano decine di milioni di euro, molte delle aziende italiane rimangono a secco, migrano, falliscono, o vengono acquisite all’estero. E qui nasce il vero divario, per competere servirebbero oltre 30 miliardi l’anno, ma non devono tutti provenire dall’Italia!

Sempre partendo dal nostro parco totale di 419 startup italiane ed attive quel che si nota immediatamente è che negli stadi dai 100mila ai 3M di investimento, la situazione Italia e California è molto simile: circa il 20% del totale si trova nella fascia di aziende che ha raccolto un “seed round” di un valore compreso fra 1M e 3M di euro. Appena si passa la soglia dei 3M di euro però le due geografie iniziano a dimostrare andamenti molto diversi. Nella fascia dai 3M ai 10M di euro la California sostiene il doppio di aziende dell’Italia (il 9% in Italia, il 18% in California).

Le differenze diventano drammatiche se si va alla ricerca di aziende che hanno ricevuto dai 10M ai 30M di investimenti: solo 15 aziende in Italia, cioè il 3.6% del totale, rispetto alle 1.374 aziende in California (che costituiscono il 16.5% del totale). Passata la soglia dei 30 milioni le aziende italiane si contano sulla punta delle dita, solo 6 aziende; Talent Garden, con 56M nel 2019, Satispay 50M, Prima.it, Brumbrum, MotorK e Erydel. Un dato interessante è che sono tutte aziende che hanno ricevuto investimenti nel 2018-2019 indicando, forse (finalmente), un inizio di investimenti da e per l’Italia anche per startup di “volume”. Il paragone con la California è qui abissale, in quanto in California sono ancora il 16.9% le aziende che raccolgono più di 30M di dollari, mentre le 6 italiane rappresentano l’1.4% del totale.

Due imbuti molto diversi: piccolo e stretto in Italia, grande e largo in California.
Diventa quindi palese che ci sono due differenze eclatanti a livello economico nel mondo startup Italia e quello californiano. Da un lato l’imbuto inizia da un parco di startup che è 20 volte più largo, ma dall’altro l’imbuto si stringe rapidamente in fase post-seed in Italia, mentre rimane largo e generoso in California, fino agli stadi pre-borsa da 30M e oltre di investimenti. In pratica, solo il 30% delle startup in California è in fase “pre-seed” da meno di 1M di dollari, e il rimanente 70% è ben distribuito in tutte le fasce successive, permettendo il sostegno delle start-up nella loro avventura da piccola azienda ad azienda quotata in borsa o venduta a una delle grandi corporation interessate.

Colmare il gap per competere? Negli ultimi 12 mesi in California sono stati fatti investimenti per oltre 47 miliardi di dollari in oltre 1.200 startup con round da oltre 3M di dollari. Sempre partendo dai PIL di diversa dimensione, per competere alla pari servirebbero almeno 30 miliardi. Ma per gli stadi di investimento avanzati spesso i finanziamenti arrivano dal mercato globale. Anche fra le 6 startup italiane che hanno ricevuto investimenti per oltre 30 milioni, i fondi sono arrivati dall’estero. Nel caso di Prima.it da Goldman Sachs e Blackstone, e nel caso di MotorK come debt raise dalla European Investment Bank. Questo a dire che una volta creato un volano positivo per la creazione di aziende di valore a livello globale, i fondi arrivano. Ancor di più se si creano incentivi economici e fiscali per investitori dall’estero.

Servono 5 miliardi l’anno e li possiamo trovare!
Un miliardo per colmare il gap di creazione di nuove startup, e altri 4 miliardi per sostenerle nella crescita e attrarre i 30-40 miliardi dall’estero che servirebbero per sostenere un parco aziende simile a quello della California. La presenza di fondatori e investitori italiani nelle prime fasi garantirebbe un ritorno di capitali in Italia ben oltre gli investimenti iniziali, data la proporzione di quote che questi early investor e founder avrebbero nel parco aziendale creato.

Dove reperire i fondi?
Con uno slancio intergenerazionale per il futuro dell’Italia, che porti a far convergere soldi “vecchi e nuovi”. Da un lato i grandi imprenditori italiani, grazie ai quali l’Italia può ancora vantare di essere una delle più grandi economie del mondo. Abbiamo ancora aziende come Ferrero, Luxottica, Benetton ed Exor, con fatturati superiori al miliardo, e con famiglie italiane con la capacità economica e una passione instancabile per far crescere e mantenere il tessuto imprenditoriale italiano. Dall’altro lato abbiamo italiani emigrati all’estero, trentenni e quarantenni, andati a creare o contribuire alle realtà maggiori al mondo, dove hanno potuto vedere da vicino la creazione e la crescita delle maggiori aziende del ventunesimo secolo. Alcuni di loro possono o potranno in futuro contribuire capitali grazie alle exit delle loro aziende, e molti certamente capacità ed esperienza di scaling up delle startup americane.

Twitter @estupka @nikmarino9