Fondi europei al Sud, le occasioni mancate e le ragioni di troppi fallimenti

scritto da il 24 Maggio 2019

Pubblichiamo un post di Mari Miceli, analista giuridico. Mari svolge attività di ricerca in materia di dinamiche processuali penali. Autrice di pubblicazioni scientifiche, è membro del Comitato revisori di Cammino Diritto –

Con il finanziamento dei progetti l’Unione europea favorisce quella che viene generalmente chiamata “la libera circolazione delle idee” tra gli stakeholder che – a vario titolo – sono impegnati nella programmazione e attuazione delle politiche ed erogazione dei servizi volti a soddisfare i bisogni dei cittadini degli Stati membri dell’Ue. Uno dei principali obiettivi, infatti, dei finanziamenti europei è proprio quello di consentire lo scambio di buone pratiche, il trasferimento di metodologie di conoscenza e favorire il raggiungimento di obiettivi di crescita intelligente e inclusiva.

Progetti europei: un’occasione mancata
La programmazione europea dal 2000 si è caratterizzata per l’adozione di strategie decennali che fissano obiettivi chiave per l’integrazione a livello europeo in termini di rafforzamento della competitività economica. All’interno dell’ambito della nuova programmazione finanziaria europea 2014 – 2020 è possibile individuare l’ambito d’intervento della politica regionale dell’Unione europea che riguarda proprio le risorse per la coesione economica, sociale e territoriale. Per il periodo 2014 – 2020 le risorse stanziate sono state pari a 325.145.694.739 euro di cui 322.145.694.739 euro sono stati assegnati al FESR (fondo europeo di sviluppo regionale), al FES (fondo sociale europeo) e al fondo di coesione, mentre 3.000.000.000 euro sono stati destinati all’iniziativa per l’occupazione giovanile.

L’Italia può contare su 46,5 miliardi ma solo il 23% dei fondi è stato speso, ad oggi, e a pesare di più sulla percentuale è proprio l’area del Mezzogiorno.

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Guardando alla Sicilia, ad esempio, sia il Programma operativo del 2007-2013 che quello 2014-2020 mostra come la Regione si avvalga del Fondo Sociale Europeo per sostenere i cittadini e le imprese nella costruzione del proprio futuro. I progetti sembrano però andare a passo di lumaca, una lentezza che nulla ha a che vedere con il fine ultimo degli stessi stanziamenti, ovvero, finanziare attività di istruzione e formazione che favoriscano l’accesso al mondo del lavoro e che, allo stesso tempo, offrono alle aziende l’opportunità di avvalersi di risorse umane conformi agli scenari produttivi moderni. In vent’anni la Sicilia ha mal speso dodici miliardi e mezzo ed è a rischio di sprecarne altri 4. Ma quali sono le cause che portano a questi fallimenti?

Accanto ad una burocrazia asfissiante, troviamo una gestione dei progetti imprecisa e imperfetta. Spesso si modifica in corso d’opera la programmazione nel tentativo di poter far rifinanziare vecchi progetti ormai rimasti incompiuti, con l’unico effetto negativo di dover far ‘indossare’ un vestito troppo stretto ad un uomo troppo in carne, in pratica, il vestito rischia sempre di stracciarsi.

L’ultima programmazione, quella 2007-2013, ha visto questo metodo diventare un meccanismo automatico in Sicilia: nel 2016, a poco più di un anno dall’ultima scadenza utile per i rendiconti, restavano da certificare 1,2 miliardi su 4,2 e così negli elenchi dei progetti da verificare sono finiti ad esempio: un maneggio da 1,2 milioni a Santo Stefano Quisquina (Agrigento) e un bocciodromo da 700mila euro a Erice, ma anche convegni sulla formazione per i finanziamenti europei — tant’è — e biblioteche interamente dedicate ai fondi strutturali. Risultato? Alla fine la Sicilia ha dovuto restituire — unica fra le Regioni italiane — più di cento milioni.

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Il rapporto SVIMEZ e la programmazione europea al Sud
Il Rapporto dello SVIMEZ 2018, in relazione alla programmazione per l’agenda 2014-2020 ha confermato quello che ci si aspettava da tempo: l’avanzamento dei programmi comunitari è lento, in particolar modo in regioni come la Campania e la Sicilia. In Campania, la linea 6 della metropolitana di Napoli è un altro esempio di fondi perduti: il progetto, ricade nel programma di finanziamento 2007-2013, ma non potrà essere concluso neppure quest’anno, con un investimento pari a 98 milioni di euro. Ci sono i soliti problemi amministrativi e burocratici. Gli enti locali discutono con il Ministero per i Beni culturali per via delle griglie di aerazione. Il Ministero – a sua volta – non ha concesso le autorizzazioni per farle in piazza del Plebiscito. Il Tar della Campania ha sospeso la decisione e nel frattempo il Ministero valuta se proporre il ricorso o meno. Insomma: tutto bloccato.

Le difficoltà nell’ambito dell’attuazione della programmazione europea dell’agenda 2014- 2020 non si fermano qui, infatti, a questi deve aggiungersi una programmazione riguardante i PON – i piani operativi nazionali – preoccupante. Quest’ultimi riguardano le sperimentazioni e i programmi contenti innovazioni: in pratica attraverso i PON si intercettano i fabbisogni e le emergenze a livello territoriale e si cerca di darne attuazione. Ciò che accade nella pratica è che a oggi, come lo stesso SVIMEZ ha rilevato, è che a livello regionale, le quote di spesa certificate rilevano percentuali bassissime, se non quasi inesistenti. In particolar modo mancano politiche di coesione europea. Da una prima analisi sembra, infatti, che manchi quasi del tutto una politica di coesione a far da leva a livello nazionale e territoriale.

A dar man forte a quanto rilevato dallo stesso SVIMEZ troviamo, anche, il Focus 2018 pubblicato dall’Ufficio Valutazione Impatto del Senato della Repubblica, il quale, nel documento dedicato alla politica di coesione dell’Unione europea ha rilevato come il Mezzogiorno con i sui venti milioni di abitanti è ancora la più grande area depressa del continente e a nulla – o quasi – è servito lo stanziamento dei fondi. È solo un problema di risorse?

Sembra di no, la qualità istituzionale dovrebbe camminare a braccetto con la possibilità di spesa, da lì discendono i modesti risultati a livello di politiche di coesione e sviluppo. Soprattutto al Sud sono enormi i deficit di programmazione, scarsa la velocità di esecuzione, lentezza burocratica, molta la frammentazione negli obiettivi e negli interventi.

Conclusioni
Cosa serve effettivamente per trasformare le risorse impiegate in effettive occasioni di crescita? Appare chiaro che lo stanziamento delle stesse da solo non basti, gli scarsi risultati a titolo esemplificativo appena riportati ne sono un esempio. Secondo alcuni studi – Accetturo et al.2014 – la perdita di capitale sociale è connessa proprio all’uso distorto degli stessi fondi ed è tanto più probabile che ci sia, quanto meno competente ed efficiente è l’operatore che li gestisce. Trent’anni di politiche sono serviti a poco? Si deve spendere per crescere ma per crescere realmente si deve conoscere.

Twitter @micelimari_1