Riusciranno i sovranisti a cambiare le regole economiche europee?

scritto da il 07 Giugno 2019

Gli autori di questo post sono Tammaro Terracciano e Nicolò Fraccaroli. Tammaro è Ph.D. candidate presso lo Swiss Finance Institute di Ginevra. La sua maggiore area di interesse è la macroeconomia internazionale. Nicolò è dottorando in economia presso l’Università di Roma Tor Vergata, ha lavorato presso il dipartimento di Relazioni europee della Banca centrale europea e ha pubblicato con Robert Skidelsky il libro Austerity vs Stimulus. The Political Future of Economic Recovery (2017) – 

Il recente successo dei partiti sovranisti nelle elezioni europee ha lasciato l’impressione che sarà presto in atto un cambiamento sostanziale negli equilibri politici europei. Partiti euroscettici come la Lega in Italia, il Rassemblement National (ex Front National) di Marine Le Pen in Francia, il nuovo Brexit Party di Nigel Farage in Regno Unito e Fidesz dell’ungherese Viktor Orban si sono affermate come prime forze politiche nei rispettivi paesi.

Tuttavia, al momento il fronte euroscettico è frammentato in tre diversi gruppi politici: il gruppo dei nazionalisti comprendente la Lega e il Rassemblement National di Marine Le Pen (gruppo ENF), il gruppo degli euroscettici di Nigel Farage, promotore della Brexit, e del Movimento 5 stelle (gruppo EFDD), e il gruppo degli euroscettici conservatori inglesi e polacchi (ECR).

L’idea di creare un nuovo grande gruppo, l’Alleanza Europea dei Popoli e delle Nazioni (EAPN), più volte suggerita da Salvini, Le Pen e dai nazionalisti tedeschi e olandesi, andrebbe incontro all’esigenza di mettere gli euroscettici assieme per governare l’Europa. Ma è realmente possibile un nuovo grande partito Euroscettico europeo o si tratta di pura propaganda politica? E se possibile, come impatterebbe sulla politica economica europea?

Per quanto riguarda il primo punto, creare un unico gruppo politico che metta assieme partiti così eterogenei non è facile. L’idea di un’internazionale nazionalista non è ossimorica solo in apparenza: sebbene questi partiti convergano nel loro anti-europeismo, hanno idee molto diverse su come gestire, ad esempio, il disavanzo pubblico e le politiche migratorie.

Queste differenze sono visibili anche nelle decisioni di voto degli euroscettici. Come ha dimostrato una recente ricerca condotta da Cheysson e Fraccaroli, i gruppi euroscettici tendono infatti a votare in maniera più disaggregata rispetto a quelli europeisti. La Figura 1 mostra il comportamento di voto di ciascun parlamentare, rappresentato da un punto sulle due assi: più sono ampie le ellissi, minore è la disciplina di partito. Come risulta evidente dal grafico, i parlamentari sovranisti (EFDD e ENF) sono quelli che tendono di più a fare di testa propria, piuttosto che votare con i loro compagni di gruppo.

Figura 1: Distanza di voto tra i parlamentari europei nel periodo 2014-2019

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Fonte: Cheysson e Fraccaroli (2019).
Nota: ALDE sono i liberali, ECR i conservatori, EFDD gli euroscettici di Farage e Cinque Stelle, ENF i nazionalisti di Salvini e Le Pen, GUE/NGL la sinistra, PPE il centrodestra, S&D il centrosinistra, Verts/ALE i verdi.

Ma supponiamo che questi problemi non emergano e i sovranisti riescano invece a formare un blocco compatto con una visione unica su come riformare l’Europa, riuscirebbero davvero a cambiare le regole europee? Difficile, se non impossibile. Infatti, è vero che Salvini, Farage e Le Pen hanno vinto le elezioni nei rispettivi paesi, ma questo non assicura loro una maggioranza in parlamento.

Per aspirare ad una posizione influente a Bruxelles, i sovranisti si troverebbero quindi costretti a cercare alleanze in parlamento, ma hanno poco da condividere con gli altri gruppi politici. Come mostrato da Chopin, Fraccaroli, Hernborg e Jamet, il gruppo più affine a loro sarebbe quello del centrodestra, per via della vicinanza su temi quali l’immigrazione, i valori religiosi e i diritti civili (Figura 2). Tuttavia, come notato dagli autori, tra i due gruppi persistono forti divergenze in temi fondamentali. Un esempio sono le divisioni sulla politica fiscale, che renderebbero una già fragile alleanza ancora più improbabile.

Figura 2: Posizione dei partiti sull’asse sinistra-destra (asse orizzontale) e sull’asse cosmopolitismo-nazionalismo (asse verticale)

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Fonte: Chopin, Fraccaroli, Hernborg e Jamet (2019).
Nota: i partiti in grigio sono i partiti euroscettici. Più un partito è posizionato in alto, più alto il suo livello di nazionalismo.

A tutto ciò, si aggiunge la grande incertezza politica ed economica che deriva della Brexit. Se non si raggiunge un accordo, lo scompenso economico sarebbe difficile da gestire e contenere. Inoltre, come spiegato da Chopin et al. in un recente blog della London School of Economics, il gruppo del Movimento 5 stelle ne uscirebbe più indebolito in quanto perderebbe gli europarlamentari di Nigel Farage.

In questo contesto, l’Italia a (doppia) guida sovranista si troverebbe sempre più isolata, con tutte le conseguenze del caso. Come abbiamo detto, le nostre forze di governo non avranno molto peso né al Parlamento Europeo né all’interno del Consiglio Europeo. In un contesto simile, modificare le regole economiche europee tanto discusse in campagna elettorale sembra più che improbabile. L’Italia, rappresentata dal blocco sovranista, si troverà infatti in minoranza quando si dovranno nominare i nuovi membri della Commissione Europea e il nuovo presidente della BCE, due cariche che hanno un impatto fondamentale sulla politica economica europea.

In altre parole, è altamente probabile che le promesse di una rivoluzione sovranista europea verranno disattese, con effetti collaterali rilevanti. Il primo si tradurrebbe in un ulteriore distanziamento dalle istituzioni europee, che rischia di impattare particolarmente sulla politica fiscale, e i recenti fatti lo confermano.

Il governo Conte si trova infatti in una situazione scomoda. Da una parte, promuove quota 100 e il reddito di cittadinanza, promettendo la flat tax, anche a costo di sforare il 3%. Dall’altra, dichiara nel DEF che, nel caso in cui la crescita non fosse sufficiente (e finora non lo è), si attiveranno le clausole di salvaguardia sull’IVA.

Di conseguenza, la Commissione Europea ha reagito minacciando l’apertura di una procedura di infrazione per debito eccessivo nei confronti dell’Italia. Se questa venisse confermata il 9 luglio, sarebbe un avvenimento senza precedenti che butterebbe benzina sul fuoco, alimentando ancor di più la distanza tra le file euroscettiche e le istituzioni europee.

Pertanto, i gialloverdi rischiano di trovarsi in un’impasse. Non essendo sufficientemente influenti in Europa non possono invertire la rotta e fare manovre in deficit, soprattutto per spese in conto corrente, e, dunque, si troveranno davanti alla scelta o di intestarsi una manovra restrittiva o di far cadere il Governo, in uno scenario simile a quello del 2011 col Governo Berlusconi.

Insomma, visti i risultati aggregati delle elezioni, è inverosimile che le forze sovraniste possano riscrivere le regole economiche europee e mantenere le promesse fatti ai propri elettori. Ciononostante, il Governo gialloverde si comporta altrimenti, mettendosi in acque pericolose e difficili da gestire. Ci aspettano dunque mesi turbolenti e i capitani d’Italia non sembrano prontissimi a governare la nave in burrasca.

Twitter @TerraccianoTamm @NicFraccaroli