Credito d’imposta e compensazione, altro che minibot!

scritto da il 16 Giugno 2019

L’autore di questo post è Costantino Ferrara, vice presidente di sezione della Commissione tributaria di Frosinone, giudice onorario del Tribunale di Latina, presidente Associazione magistrati tributari della Provincia di Frosinone –

La prossima proposta per risolvere il debito pubblico italiano sarà cedere “Parco della Vittoria” al miglior offerente, ovvero cedere quello che, al celebre gioco del Monopoli, è l’asset di maggior valore. Sembra una battuta. E lo è. Tuttavia, argomenti similari vengono spesi e considerati ultimamente: e non per battuta.

Il tema ridondante nelle cronache politiche ed economiche delle ultime settimane è quello dei cosiddetti minibot. Spiegando in due parole, si tratterebbe di titoli di stato atipici, il cui aspetto sarebbe in tutto e per tutto simile ad una banconota, che rappresenterebbe però un pezzettino di debito pubblico, con libertà di far circolare il titolo ed utilizzarlo come strumento di pagamento.

Non c’è chi non veda che, in qualunque modo si voglia rigirare la frittata, si tratterebbe di stampare una moneta alternativa, diversa dall’euro, non convertibile in euro, priva di una data di scadenza e di un valore negoziato sui mercati regolamentati: non è calzante, a questo punto, parlare di similitudine con i soldi del Monopoli?

Francamente, la soluzione proposta fa abbastanza ridere e, per una volta, mi sento di condividere le perplessità europee e del presidente Draghi, nonostante chi scrive non abbia mai particolarmente amato le direttive imposte dalla grande madre Europa.

È evidente che il nuovo strumento rappresenterebbe al contempo: un incremento del debito pubblico (pur se utilizzato a copertura di debito della pubblica amministrazione e, quindi, in fondo pur sempre pubblico); uno strumento pericoloso, assimilabile ad una nuova moneta, con tutte le conseguenze in termini non soltanto di sanzioni europee ma anche di uso distorto (anche malavitoso) della stessa.

Facciamo, però, un passo indietro, per comprendere l’origine di questa proposta, le necessità che si vorrebbe coprire e, al contempo, una soluzione alternativa.

Il tutto nasce dall’esigenza di coprire gli ingenti debiti che la Pubblica Amministrazione vanta nei confronti delle imprese. E ciò è sacrosanto, si tratta di un obiettivo che lo scrivente condivide da sempre, potendosi evidenziare in esso una delle chiavi fondamentali per lo sblocco del Paese.

La pubblica amministrazione impiega mediamente 100 giorni per il pagamento di una fattura ad un fornitore. E questo dato tiene conto della media, il che vuol dire che in taluni casi i ritardi sono molto più ampi. La normativa europea, invece, stabilisce un limite di 30 giorni, prorogabili a massimo 60 (per motivate circostanze “eccezionali”), termine entro il quale l’impresa che ha emesso la fattura dovrebbe ricevere il pagamento. Per questo, la Commissione europea ha più volte deferito l’Italia alla Corte di Giustizia Europea.

Per renderci un po’ conto delle dimensioni del problema, basti pensare che alla fine dell’anno 2016, secondo le stime di Bankitalia, i debiti della pubblica amministrazione nei confronti dei privati fornitori ammontavano a circa 64 miliardi di euro. Mentre secondo una stima di Confartigianato, sono il 62% gli enti pubblici che ritardano nei pagamenti delle fatture.

Una situazione che non soltanto danneggia le imprese coinvolte, i lavoratori e l’intera filiera, ma anche l’economia intera, per effetto delle sanzioni europee a cui siamo sottoposti.

D’altronde, per uno Stato che si fa aspettare, invocando pazienza, la stessa pazienza non si riscontra quando è quel medesimo Stato a chiedere le imposte e i contributi previdenziali alle imprese che, se non pagano, sono soggette a sanzioni, interessi, misure coattive di recupero del credito e chi più ne ha più ne metta.

Ed è qui che vanno legati (inscindibilmente) i due aspetti, per giungere ad una soluzione sinergica. L’altra faccia delle moneta evidenzia un panorama economico dove le imprese sono strette ed ingabbiate nella morsa del debito fiscal-contributivo (su cui i ritardi nei pagamenti P.A. giocano un ruolo importante).

L’unico vantaggio dei minibot, dunque, era consentire l’utilizzo degli stessi per il pagamento delle imposte. A ben vedere, quella sarebbe stata l’unica destinazione finale di questa pseudo banconota di serie B.

In tal caso, le imprese avrebbero potuto estinguere il proprio debito fiscale, pagando con i minibot ricevuti in cambio dei propri crediti vantati verso la pubblica amministrazione. In un colpo solo: debiti P.A. estinti, debiti fiscali estinti. Tutto molto buono.

La domanda, tuttavia, sorge spontanea: se questo è l’obiettivo a cui si vuole tendere, che senso ha percorrere la strada impervia (sotto vari profili) di stampare una nuova moneta (o un nuovo debito, come lo si voglia chiamare) per raggiungerlo? Sarebbe molto più logico sfruttare, ampliare, fortificare e modificare uno strumento tutt’ora esistente: la compensazione. La compensazione consiste nel fenomeno per cui, quando due soggetti sono obbligati l’uno verso l’altro, i due debiti si estinguono per la quantità corrispondente (articolo 1241 del codice civile).

schermata-2019-06-15-alle-20-39-38

Se l’effetto finale è quello di “scambiare” i debiti P.A. con i debiti fiscal-contributivi, che senso ha passare per lo strumento dei minibot?

Sarebbe molto più semplice immaginare uno strumento (controllato) di conversione dei crediti vantati nei confronti della Pubblica Amministrazione in crediti fiscali, consentendo la circolazione degli stessi e la possibilità di compensarli con imposte e contributi correnti. Una sorta di “credito d’imposta P.A.”, con una procedura guidata e controllata di affrancamento, attraverso cui le imprese possano certificare i propri crediti verso la P.A. e, a precise condizioni, usufruirne come credito d’imposta.

La stampa di un titolo per effettuare, in fin dei conti, una compensazione, rappresenta un’inutile e pericolosa macchinazione, specchio di un sistema vischioso e (volutamente?) votato alla complessità ed alla complicazione.

Immaginiamo un falegname che abbia costruito una rimessa per un contadino e, per tale prestazione, non abbia ricevuto alcun pagamento. Al contempo, il contadino ha rifornito il falegname di frutta e verdura per l’inverno, senza pagarlo a sua volta. Sono indebitati l’uno verso l’altro ed entrambi non hanno soldi. Ora, è più facile immaginare che risolvano le proprie situazioni ricorrendo ad una compensazione tra i rispettivi crediti-debiti, oppure stampare un nuovo titolo di pagamento per estinguere le relative pendenze?

Forse l’argomento dei minibot ha più “appeal” da un punto di vista mediatico e quindi politico, ma appare del tutto insensato pensare ad una complicazione del genere (con i rischi che si celano dietro di essa) per mirare ad un obiettivo parimenti raggiungibile in modo più lineare.