Tre cose che dovremmo chiederci sugli esuberi di UniCredit

scritto da il 26 Luglio 2019

L’autore di questo post è Massimo Famularo, investment manager esperto in crediti in sofferenza (Npl) –

La discussione sui possibili esuberi del prossimo piano industriale di UniCredit si è svolta come da prevedibile copione:

Nel primo atto, trapela un’indiscrezione, con un bel numero tondo, di quelli che piacciono ai titolisti dei giornali:10.000 licenziamenti. Nel secondo, la comprensibile replica dei sindacati che, nelle colorite parole di Lando Sileoni della Fabi, includerà la possibilità di “fare a cazzotti”. Nel terzo atto, con una lettera a tutti i dipendenti, Jean Pierre Mustier getta acqua sul fuoco specificando che la riduzione del personale (che per correttezza non smentisce) sarà gestita “attraverso il prepensionamento e, come sempre, in modo socialmente responsabile e in linea con le rappresentanze dei lavoratori del gruppo”.

Se i numeri su cui discutere arriveranno a dicembre, difficile che il dibattito possa andare molto oltre la commedia all’italiana e il folklore dei sindacati battaglieri.

Il ceo di UniCredit Jean Pierre Mustier

Il ceo di UniCredit Jean Pierre Mustier

Eppure ci sono almeno tre interrogativi che dovremmo porci, provando ad osservare la questione in modo critico:

1-Che segnale ci dà la strategia di UniCredit sul futuro del sistema bancario italiano e internazionale?

2-Come gestire le inevitabili riduzioni del personale che si prospettano? Sicuri che i prepensionamenti siano la strada migliore (e che sia una strada sostenibile)?

3-Più in generale, quanto è preparato il nostro Paese per affrontare le sfide che la trasformazione digitale pone alle società moderne?

Ovviamente non è possibile fornire una risposta definitiva a questi tre quesiti, sarebbe tuttavia auspicabile avviare una discussione seria su questi temi.

In merito al punto 1, possiamo rilevare che UniCredit è l’unica banca italiana inclusa nell’elenco degli istituti di rilevanza sistemica globale, stilato dal Financial Stability Board. Questo vuol dire che, un suo eventuale dissesto potrebbe avere conseguenze su tutto il sistema finanziario mondiale, per questo motivo, è tenuta a sottostare a criteri di solidità patrimoniale particolarmente stringenti ed è oggetto di un monitoraggio più intenso da parte degli operatori di mercato.

A questi aspetti di carattere regolamentare, vanno aggiunte la pressioni derivanti dalla concorrenza degli altri operatori internazionali, dei nuovi entranti come Challenger e Neo Banks e la prospettiva di nuove iniziative come Libra, la stablecoin promossa da Facebook (me ne sono occupato in questo post).

A fronte di questi elementi, è plausibile che l’istituto di piazza Gae Aulenti stia fronteggiando in anticipo le sfide che tutto il sistema bancario si troverà ad affrontare nei prossimi anni.

Come riepilogato da un recente Special Report de l’Economist, queste sfide non si limitano al ridimensionamento dei canali distributivi tradizionali (meno filiali e quindi meno dipendenti), ma riguardano anche e soprattutto la capacità di operare una vera e propria trasformazione delle strutture operative, riqualificando il personale e ridisegnando i processi aziendali per ottenere maggiore efficienza.

Detto in parole povere, gli esuberi rivelati da Bloomberg sono come il proverbiale dito che indica la luna e la luna rappresenta un sistema bancario destinato a cambiare profondamente, che avrà bisogno di un numero di dipendenti molto inferiore a quello al quale siamo abituati e di competenze tecniche che oggi risultano ancora difficili da reperire sul mercato. Dovremmo pertanto porci seriamente il problema di cosa succederà quando l’onda della trasformazione digitale minaccerà di travolgere istituti più piccoli e meno solidi di UniCredit.

Il segretario della Fabi, Lando Maria SIleoni, durante una trasmissione di Fabi Tv nel 2013 ("La pistola alla tempia dei banchieri")

Il segretario della Fabi, Lando Maria Sileoni, durante una trasmissione di Fabi Tv nel 2013 (“La pistola alla tempia dei banchieri”)

Questo ci porta al secondo interrogativo. I prepensionamenti sono sufficienti per risolvere tutte le problematiche del personale in esubero? Come gestire i casi in cui i lavoratori in eccesso sono troppo giovani per la pensione? Chi supporterà le aziende che non dispongono di fondi sufficienti per garantire indennità adeguate ai lavoratori in uscita?

Si tratta purtroppo di argomenti meno divertenti rispetto ai sindacalisti boxer e per i quali non è sufficiente una letterina da buon padre di famiglia da parte dell’amministratore delegato. L’unica via percorribile ha a che fare con la riconversione del personale, che costituisce il convitato di pietra di tutte le discussioni sull’occupazione nel nostro Paese. Proviamo allora a dirlo senza mezzi termini: un numero rilevante di persone dovrà cambiare lavoro perché quello che faceva prima non sarà più disponibile. Inoltre, per svolgere un lavoro diverso, queste persone dovranno acquisire competenze che oggi non hanno.

Se l’unica risposta che siamo in grado di dare a questo delicato problema, consiste nell’aggravare gli squilibri di un sistema previdenziale, che già oggi è palesemente insostenibile, ignorando le esigenze dei lavoratori meno anziani, allora abbiamo una prima risposta anche al terzo interrogativo: non siamo affatto preparati ad affrontare le sfide che attendono il nostro Paese.

Le politiche pubbliche messe in campo fino ad oggi spaziano dall’accanimento terapeutico nei confronti di aziende morte, in attesa di cavalieri bianchi che esistono solo nelle favole, alla tutela dei posti di lavoro a scapito dei lavoratori (vero cavallo di battaglia del sindacalismo tradizionale) con un progressivo deterioramento del tessuto economico e sociale del paese. Quel che occorre, invece, è un piano organico, che favorisca la formazione e la diffusione di competenze che, ovviamente, dovrebbe partire dalla scuola e dall’università e che, anzi, a questi istituti di formazione dovrebbe tornare, in modo che i lavoratori possano prepararsi ad affrontare i processi di trasformazione, prima che le aziende dove lavorano vadano in crisi.

Chi debba farsi carico dei costi di questo processo e come esso vada implementato, va ben al di là dello spazio consentito da un blogpost. Per il momento, credo sia stato sufficiente sollevare alcuni temi di cui non si discute abbastanza.

Twitter @MassimoFamularo

 

RIFERIMENTI:

https://www.ilsole24ore.com/art/mustier-80mila-bancari-unicredit-piano-sara-responsabile-ACjgCia

https://www.ilsole24ore.com/art/i-bancari-sempre-meno-piu-tecnologici-e-soprattutto-donne—AEKmkn1G

https://carlofesta.blog.ilsole24ore.com/2019/07/23/mustier-gli-esuberi-unicredit-gestiti-pre-pensionamenti-silleoni-fabi-attacca-tagli-gia-quasi-25mila-unita/

https://ftaonline.com/blog/banche-sistemiche-il-financial-stability-board-fissa-i-requisiti-cina-e-fed-cominciano-fare-i

https://www.economist.com/special-report/2019/05/02/young-people-and-their-phones-are-shaking-up-banking

https://www.economist.com/special-report/2019/05/02/neobanks-are-changing-britains-banking-landscape

https://www.economist.com/special-report/2019/05/02/sources-and-acknowledgments