Rischi, scadenze e sospetti dopo la crisi di governo

scritto da il 12 Agosto 2019

Questo post è stato scritto in collaborazione con Mari Miceli, analista giuridico, ricercatrice in materia di dinamiche processuali penali e membro del comitato revisori di Cammino Diritto –

Purtroppo, i sospetti sono parecchi e sono anche piuttosto imbarazzanti.

In altri termini? Il DEF, ovverosia il documento mediante il quale un esecutivo rende pubblici i propri impegni economico-finanziari e che il Parlamento approva entro il 10 aprile, contiene, questa volta, delle voci di spesa decisive per la credibilità politica: più di 110 miliardi in tre anni per quota 100 e il reddito di cittadinanza. Parimenti: il Documento di Economia e Finanza costituisce la premessa di orientamento della legge di stabilità o manovra finanziaria, come comunemente si dice. Il ministro Tria, in più circostanze, ha lasciato intendere – o per lo meno non ha dichiarato il contrario – che tali coperture, al momento, non ci sono.

In effetti, una soluzione ci sarebbe stata e, per certi aspetti, c’è ancora: sforare il 3% di deficit. D’accordo, ma… chi si assume la responsabilità? E come ‘disinnescare’ le clausole di salvaguardia, applicando le quali IVA e accise aumenterebbero di colpo? È ormai noto che l’aliquota ordinaria passerebbe dal 22% al 25,2% e quella ridotta dal 10% al 13%. Tre punti non sono pochi. Servirebbero subito poco più di 23 miliardi e, soprattutto, occorrerebbe evitare l’esercizio provvisorio dei conti pubblici; la qual cosa, allo stato dell’arte, appare, se non impossibile, per lo meno problematica. Su questo punto torneremo fra pochissimo. Adesso, è appena il caso di richiamare l’attenzione sui rischi oggettivi, che un’indagine de Il Sole 24 Ore ha rivelati in modo chirurgico: “l’aumento dell’IVA costerà alle famiglie italiane 541 euro in più”. E non è tutto! Nella più rosea delle prospettive, i consumi potrebbero subire un calo significativo, la produzione potrebbe contrarsi e, di conseguenza, il PIL andrebbe giù. Tutto fin troppo scontato!

Insomma, il sospetto che Salvini & Co. ‘abbiano fatto per viltade il gran rifiuto’ è dovuto, oltre che logico. Intendiamoci, non si tratta di posizioni politiche, le quali sono tutte legittime o, comunque, secondo chi scrive, non passibili di giudizio, in questa fase. Vogliamo ricordare, infatti, che, entro la fine di settembre, il DEF dev’essere inviato all’UE; il che farà entrare il nostro paese in una sorta di camera di sospensione finanziaria, dal momento che, entro il 15 ottobre, ‘un Parlamento’ – ci si conceda l’indeterminativo di forzatura! – dovrebbe approvare la Legge di Stabilità e indicare, così, all’Unione Europea obiettivi da raggiungere e misure da adottare.

Parlando di date e, inevitabilmente, di scadenze, sorge un altro grattacapo, quello legato allo scioglimento delle Camere e alle prossime elezioni, dopo le quali un ‘certo’ Governo dovrebbe farsi carico dei numeri finora esposti quali dilemmi politico-amletici del momento. Tutti, in specie sui social, invocano a gran voce un intervento del Presidente della Repubblica; anzi, non sono pochi quelli che lo accusano di viltà – tanto per richiamare il tema dantesco summenzionato. Sarebbe il caso di precisare che Mattarella, in questo momento, non può intervenire, a meno di volere alterare i processi democratici concepiti dai padri costituenti. L’indipendenza dell’organo legislativo non può essere messa in discussione perché la nostra è una Repubblica Parlamentare, non una Repubblica Presidenziale. Dunque, il Presidente sta agendo nel pieno rispetto della Costituzione.

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L’ansia la fa da padrona, è vero. E non di rado si scrive e si parla d’impulso, senza cioè curiosare tra le pagine di un medio manuale di diritto parlamentare. La forma di Governo italiana, disegnata secondo quanto descritto dagli artt. 92 e ss. della nostra Costituzione, è una forma di governo parlamentare a debole razionalizzazione. Cosa si intende con tale espressione? In altre parole, si intende che sono definiti limitati gl’interventi di diritto costituzionale per assicurare la stabilità del rapporto di fiducia e la capacità di direzione politica del Governo. Tale sistema è retaggio di quanto, come s’è detto, hanno voluto i padri costituenti. In effetti, in sede di Assemblea Costituente, era presente un orientamento politico-culturale favorevole a una disciplina costituzionale che rafforzasse i poteri dell’esecutivo.

Tuttavia, mentre restava isolata la proposta di Calamandrei a favore di un sistema presidenziale, maggiori consensi ebbero le proposte volte a rafforzare i poteri del Parlamento. Così, il 5 settembre del 1946 fu approvato l’ordine del giorno Perassi, che conteneva l’opzione a favore di una forma di governo parlamentare disciplinata “con dispositivi costituzionali idonei a tutelare le esigenze di stabilità dell’azione di governo e ad evitare le degenerazioni del parlamentarismo”. Pertanto, la razionalizzazione costituzionale del rapporto di fiducia (art. 94 cost.) è diretta a garantire la stabilità di Governo, anche se la nostra Repubblica ha conosciuto un sistema politico che da sempre ha impedito una vera democrazia maggioritaria. Ciò è desumibile sia dalla mancanza di una dinamica veramente bipolare del sistema politico sia dalla mancanza d’un’investitura diretta del Governo.

Il vero focus, vale a dire ciò che dovrebbe contare di più nella riflessione di tutti, è questo: che il potere dei partiti di recedere dagli accordi di maggioranza finisce coll’essere più importante della volontà del popolo ‘sovrano’, tanto da aprire crisi d’ogni genere e specie.

Quali sarebbero oggi le alternative? Un governo tecnico, come si dice dai più? Potrebbe configurarsi come un’espressione di saggezza, ma diventerebbe facile bersaglio dei partiti e, soprattutto, strumento di campagna elettorale trasversale, ammettendo che ottenga la fiducia. Dovrebbe infatti mettere mano alla legge finanziaria. E quale migliore occasione per trovare un altro nemico? È difficile, tra le altre cose, che l’opinione pubblica apprezzi una scelta siffatta. Un’alleanza tra PD e M5S per mettere fuori gioco Salvini? Potrebbero venire a mancare ugualmente i numeri perché il PD non si farebbe scappare l’occasione per frammentarsi ancora una volta o, forse, per smaterializzarsi definitivamente. Di fatto, converrebbe loro: al fine di un recupero della fiducia della gente potrebbero rinunciare a ogni ministero e approfittarne per mostrare al paese la ritrovata purezza. Ma questa è fantapolitica. Un governo del Presidente, i cui membri sarebbero scelti esclusivamente da Mattarella e la cui durata potrebbe anche estendersi a giugno 2020? Improbabile, nonostante la validità dell’iniziativa costituzionale. Oppure un governo di minoranza?

Un governo di minoranza si ha – per definizione – quando si riesce a governare anche con la sola maggioranza relativa, ovvero in assenza di possibili alleanze tra partiti. Un esempio è il caso della Svezia, in cui chi governa è il partito socialdemocratico già da diversi anni. Tale eventualità non è del tutto estranea in altre realtà comparate, quali ad esempio il Portogallo e la Francia. In Italia sono due i motivi per cui è difficile dare avvio a un governo di minoranza: il primo consiste nel fatto che il Governo, dopo la formazione, deve avere la fiducia di entrambe le Camere; il secondo è che nel voto di fiducia i SÌ devono comunque prevalere sui NO e gli astenuti al Senato si sommano ai NO. È necessario ad oggi ricordare come il diverso atteggiarsi del Governo e delle sue modalità di formazione e di funzionamento è stato reso possibile dall’elasticità della disciplina costituzionale. Ci sono però settori dell’indirizzo politico che formano oggetto di discipline particolari e in cui si sviluppano prassi che concentrano nel Governo il potere decisionale: la politica di bilancio, la politica estera e nei confronti delle istituzioni comunitarie, la politica informativa e di sicurezza.

Che significa quest’ultima considerazione sui poteri decisionali del Governo? Significa che esso non potrebbe governare, fuorché a ‘colpi di decreto e fiducia’. E quali altri sospetti (…riecco i sospetti!) fa sorgere il significato appena illustrato? Può darsi che Salvini abbia puntato ad avere pieni poteri, così da restare sull’ormai sottilissimo confine che separa la Costituzione da ciò che costituzionale non è? Confidiamo solo che gli strateghi del Movimento 5 Stelle abbiano rilevato le anomalie, sebbene non sia difficile, a questo punto, capire quale degli strateghi sia stato più raffinato.

Una volta definite la precarietà economico-finanziaria e la pericolosità politica, non si può di certo trascurare che al Capo dello Stato, dopo lo scioglimento delle Camere, occorrono mediamente cinquantacinque giorni per le consultazioni. Dunque, in teoria, si potrebbe votare entro la fine del mese di ottobre. Da quel momento, ci vorrebbe più di un mese per l’insediamento delle Camere, l’elezione dei Presidenti e la formazione dei gruppi parlamentari.

Per fare la finanziaria ci vuole un governo, quale che sia (…non proprio!); per fare il governo ci vuole il consenso d’una maggioranza; per evitare l’esercizio provvisorio ci vuole un miracolo.

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