Anche i ricchi sbagliano quando investono. Ecco gli errori da evitare

scritto da il 08 Ottobre 2019

Post di Elena Giordano, Partner, Senior Family Advisor, Albacore Wealth Management – 

Qual è l’approccio alla gestione della ricchezza delle famiglie italiane che dispongono di grandi patrimoni? La risposta a questo interrogativo non possono essere classificazioni o categorie precise. Le storie individuali e le dinamiche familiari, per loro stessa natura, non sono evidentemente la materia più adatta per analisi troppo “scientifiche”. Ma in linea generale una grande distinzione si può fare soprattutto per quella che da qualche tempo è diventata l’occasione più frequente di creazione di grandi patrimoni finanziari: la vendita di un’attività imprenditoriale.

Se l’imprenditore lascia il timone dell’azienda di famiglia in età avanzata ha tendenzialmente un approccio più conservativo: non soltanto alla gestione finanziaria, per la quale indicherà ai propri consulenti e gestori la preservazione del patrimonio come primo obiettivo, ma anche nella pianificazione della successione, per trasmettere nel modo migliore la ricchezza ai figli e se del caso per “proteggerla” anche dagli stessi eredi e conservarla nel tempo con l’adozione di strumenti adeguati.

Se invece chi vende, magari perché si trova davanti a un’offerta che non si può rifiutare, ha tra i 30 e i 60 anni, appartiene quindi ancora alla cosiddetta giovane generazione imprenditoriale, l’atteggiamento, gli obiettivi e le scelte saranno molto diversi e probabilmente metteranno a dura prova consulenti e gestori. Sì, perché l’ex imprenditore industriale appena diventato capitalista finanziario facilmente si aspetterà ritorni in stile azienda.

È questo un caso che i family office da qualche tempo si trovano sempre più spesso ad affrontare. Se chi eredita senza aver contribuito alla formazione della ricchezza ha tendenzialmente un atteggiamento difensivo, magari si preoccupa del mancato rendimento delle obbligazioni ma nella ricerca di investimenti più redditizi non si spinge troppo in là sul terreno del rischio, chi ha creato o guidato un’attività di successo vuole partecipare, capire, decidere nella finanza con il medesimo spirito imprenditoriale. È quasi un passaggio dall’impresa industriale a un’impresa finanziaria, fenomeno che assomiglia a quanto è accaduto negli Stati Uniti vent’anni fa e che spiega perché in Italia sia così cresciuto l’interesse degli investitori privati per il venture capital.

Per questi imprenditori ancora giovani e dinamici che si ritrovano in mano da un giorno all’altro liquidità da centinaia di milioni quasi non è accettabile veder crescere il proprio patrimonio a un tasso inferiore a quello cui erano abituati con le loro aziende. Arriva anche da questa tipologia di investitori la spinta al private equity, agli investimenti diretti nelle aziende e negli asset illiquidi legati al mondo corporate.

Per chi diventa possessore di una grande patrimonio, sia che abbia ceduto le proprie aziende, sia che abbia semplicemente ereditato una ricchezza che era già finanziaria, è fondamentale la scelta dell’interlocutore. Proprio all’ingresso in un mondo che non conoscono, perché facevano altro (gli imprenditori) o non facevano niente (gli ereditieri), rischiano di commettere l’errore più grave.

Di chi avvalersi per la propria ricchezza? Di certo non c’è una Guida Michelin. Spesso si decide per fiducia e non in base a un criterio di selezione. Quello che occorre è invece un processo di comprensione della classificazione della propria ricchezza: perché non tutti i patrimoni sono uguali, e alle diverse “classi” di ricchezza corrisponde un’offerta di consulenza e di gestione.