Il senso delle aziende per le soft skills e perché valorizzarle è vitale

scritto da il 18 Novembre 2019

Tradotto letteralmente sono tratti/abilità morbide. Che se già in inglese erano criptiche tradotte in italiano son ancora più enigmatiche. Il termine e il range è piuttosto ampio. Quindi ho pensato di focalizzarmi sullo scenario nella sua completezza e non discutere le singole skill, riportando infografiche che mappano le primarie nell’analisi. Ovviamente se esistono le soft ci saranno pure le hard skills.

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La grande differenza si può definire in questo modo. Le hard skills sono più verticali ad un azienda. Potremmo definirle tipiche di un settore industriale, sia che si tratti di meccanica o di IT. Di solito vengono acquisite tramite lezioni e formazione aziendale, e sono basate su conoscenze tecniche. Un esempio classico può essere la gestione finanziaria di un’azienda, la capacità di progettare un ponte, l’abilità di saper aggiustare un impianto petrolchimico. Con la premessa che ci sono sempre persone che, queste abilità, le acquisiscono naturalmente ( Leonardo da Vinci, per esempio), la maggioranza delle persone acquisisce questi tratti lavorativi in modo strutturato e lineare.

Le soft skills sono, per opposto, abilità o tratti già presenti nell’individuo, e, al massimo, possono essere affinati. Come detto in parte sono abilità naturali come la capacità di relazionarsi con le persone, la precisione etc… In parte si focalizzano valorizzandole sul lavoro (si suppone che un HR possa essere più empatico, per capire gli altri). Il vantaggio delle soft skills è che sono maggiormente esportabili da un’azienda ad un’altra e sono cumulabili.

Se si è empatici è più facile che da HR si possa diventare Ceo di un’azienda e portare con sé questa abilità. Il problema principale delle soft skills è come tracciarle, mapparle e, in ultima istanza, usarle a vantaggio dell’individuo e dell’azienda. Un tema che devo affrontare con un po’ di persone che, nei differenti ruoli che occupano, possono offrire spunti utili.

Monica Parella è direttrice generale del Personale del MEF. Una lunga carriera manageriale nelle amministrazioni pubbliche.

Carolina Gianardi è manager, investitrice (membro di IAG) e board member.

Pasquale Natella è amministratore delegato di Exs società di Executive Selection. Lavorando in un’azienda che fa della Leadership la sua ragione di vita, ha logicamente evoluto una forte sensibilità sul tema delle soft skills.

Cristian De Mitri fondatore di Eggup: una PMI Innovativa, tra le più promettenti nel settore HR -Tech. La loro realtà crea, di fatto, soluzioni digitali per mappare le soft skills nelle aziende.

Andrea Pietrini fondatore di YOURgroup, sin dall’inizio della sua attività di imprenditore, ha declinato vari approcci per mappare e valorizzare le soft skills.

Prima di tutto: queste soft skills quando sono nate?

Per capire il fenomeno si deve vedere quando son nate. Ovviamente è una risposta scontata. Sono sempre esistite, tuttavia non vi è mai stato un approccio sistemico per tracciarle, in modo continuativo e strutturato, in ogni livello aziendale privato e pubblico, sino a pochi anni fa.

“Le soft skill non nascono ieri, anzi, potremmo dire che sono sempre esistite nella razza umana.” Mi spiega Carolina Gianardi. “La sfida semmai è stata nel farle emergere, sia come fenomeno sociale sia come set di abilità che possono essere funzionali anche in un’azienda. Il tema ormai è mainstream anche in Italia, ma fatica ancora ad affermarsi nella sua applicazione pratica. L’argomento soft skill noto che si sta sviluppando velocemente nel settore delle risorse umane, sia che si parli di HR interni ad un azienda o cacciatori di teste, consulenti etc… a mio avviso, tuttavia, è importante che vi sia una strutturazione trasversale nelle aziende per poter riconoscere e quindi mappare le soft skill nei singoli individui”.

E sul tema anche Pietrini non ha dubbi. “Le soft skills non sono nate oggi. A mio avviso il tema trova la sua genesi nell’evoluzione sempre più rapida del mondo del lavoro. Se consideriamo quanta flessibilità ormai viene richiesta ad ogni persona che lavora, che si tratti di un dipendente o un indipendente, si nota quanto la figura coinvolta in un progetto deve saper essere adattabile ad ogni scenario, pena la sua esclusione dallo scenario stesso. Un’esclusione che, nei casi più gravi, può portare al distacco della figura dalle sue mansioni, se parliamo di un dipendente. Tuttavia il tema è vitale anche nella vita da indipendente: quando ho fondato Yougroup ho compreso subito che avere dei fractional flessibili, capaci di anticipare ogni necessità del cliente era vitale. I manager lisci, levigati, come blocchi di marmo, che li posizioni lì e fanno solo il loro lavoro, nel mondo del fractional non esistono”.

Sul tema managerialità si aggancia anche Natella. “Quello che osservo ormai con frequenza giornaliera, è la fondamentale importanza delle soft skills in ambito manageriale. La necessità di comprendere, come cacciatore di teste, quale sia la compatibilità umana del manager nel tessuto aziendale dove va a inserirsi, oggi il Person organization fit garantisce probabilità di oltre 85% di successo nei progetti di selezione esterne all’azienda. Le caratteristiche di personalità, i driver motivazionali e le abilità soft sono sempre presenti ma bilanciate in maniera diversa da persona a persona. Alcune sono modificabili/sviluppabili (una volta quantificate) in tempi ragionevoli di 12-18 mesi mentre altre (tratti di personalità) sono difficili da modificare nel breve medio periodo. Le soft skills emergono maggiormente quando ci si distacca un poco da mansioni puramente operative e indipendenti/isolate, oppure quando il capo è in grado di percepirlo e metterlo alla prova su determinati aspetti (valutazione del potenziale di una soft ancora inespressa). In tal senso si coglie la differenza tra chi è più o meno dotato in un aspetto e chi in un altro. Avere invece una o più soluzioni di mappatura che, sin dalle origini, possano indicare le caratteristiche e doti maggiormente presenti in un dipendente permetterà un’efficace crescita armonica dello stesso in seno all’azienda dove lavora.”

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Come le troviamo? 

Appurato che esistono e possono avere un’ ampia applicazione (ma su questo ci torniamo dopo) ora resta da capire come le troviamo. Il problema è sempre il rapporto costo beneficio. Dispiegare centinaia di psicologi per ogni media azienda sarebbe ottimo ma estremamente oneroso. Diventa quindi necessario un approccio più strutturato. Partiamo dal governo per comprendere come si muove la sfera pubblica.

“Il Ministero dell’economia e delle finanze ha organizzato un percorso formativo per circa 200 funzionari neoassunti (2016/2017) che si è concluso con un progetto pilota di assessment, definito in collaborazione con la Scuola Nazionale dell’Amministrazione”, mi spiega Monica Parella. “Il MEF è stata una delle prime amministrazioni pubbliche centrali italiane a sperimentare un progetto di assessment, innovativo per una PA, nei confronti di neoassunti per le valutazione delle soft skills: capacità relazionali, orientamento al risultato, empatia, orientamento al lavoro di gruppo. Nel 2019 il MEF ha poi aderito al programma di ricerca/intervento per la mappatura delle competenze soft dei dirigenti delle Pubbliche amministrazioni centrali, avviato dalla Scuola Nazionale di Amministrazione, già sperimentato nel 2018 presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Saranno coinvolti circa 500 dirigenti, di cui circa 60 direttori generali e Capi Dipartimento; sulla base della mappatura delle soft skills passeremo al coaching per i dirigenti per rafforzarle”, conclude Parella.

Sul tema mappatura arriva anche Gianardi, che mi spiega: “il fenomeno di mappatura strutturata delle soft skills deve per forza avvantaggiarsi delle innovazioni che il mondo digitale ci offre. È possibile comprendere che alcune persone possano essere naturalmente portate ad alcuni ruoli piuttosto che altri. Se penso, per esempio, a chi si occupa di vendite, idealmente una parte della sua attività, del suo successo, sarà dovuto anche alla abilità di empatizzare e comprendere il proprio interlocutore (il cliente, nds). Tuttavia dire che tutti coloro che vendono sono per natura empatici è una esagerazione. In questo senso, anche come membro di Iag, quando valuto i giovani startupper che vogliono fare impresa, sono solita osservare anche le loro soft skill, ed in particolare la loro capacità di essere coachable“.

Per mappare in modo strutturato e digitale le soft skill è necessario un metodo. Appurato che i costi devono essere ben minori dei vantaggi, servono soluzioni scalabili. “Tutto dipende dalla frequenza con cui tu, azienda, vuoi mappare determinate competenze: questo ovviamente influisce sul budget che devi pianificare per questa operazione”, mi spiega De Mitri. “Noi siamo partiti da questionari multi risposta. Una cosa semplice che permette un primo approccio. Il questionario ti guida a proiettare il tuo modo di essere, la tua personalità. Tuttavia è il primo passo. C’è da ricordare che lo stesso strumento di analisi deve essere allineato alla nazione e al contesto culturale dove si opera. Per dirla semplice: lo stesso questionario fatto in Italia e in America, pur all’interno della stessa multinazionale, potrebbe produrre risultati differenti. Le due culture, per quanto occidentali, sono dissimili se si analizzano gli standard etici, culturali e i relativi bias. Ed è proprio per questo motivo che gli strumenti di assessment vanno utilizzati in modo consapevole all’interno dei processi che più si prestano al loro impiego. Va inoltre ricordato che le persone, in presenza di un test, si fanno influenzare dall’obiettivo ultimo per il quale quel test è stato posto in essere. Un comportamento del genere, per quanto comprensibile, rischia di minare l’intero processo di mappatura delle soft skills. In tal senso un approccio utile è quello delle immagini: “tradurre” cioè le frasi che compongono un test con immagini che rappresentano situazioni sociali associate alla specifica frase. Stiamo anche esplorando il mondo del gaming, con l’entrata nel mondo manageriale di figure familiari con le dinamiche dei simulatori di realtà (videogioco, nds) è un percorso che potrebbe aiutare molto la mappatura delle soft skills limitando gli effetti delle forzature di cui sopra”, conclude De Mitri.

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Ora resta da capire solo la loro utilità.

Il tema utilità diventa poi la ragione prima per cui le soft skills sono emerse. “Il concetto di flessibilità e adattabilità o, se vogliamo usare un termine più di moda, resilienza, è a mio avviso la ragione per cui si può discutere ormai apertamente di soft skills e della loro utilità”, mi spiega Pietrini. “L’economia occidentale è ormai connotata da cambiamenti veloci, spesso radicali. Essi richiedono a tutti una capacità di comprensione, empatia e visione impensabili, poche decine di anni fa. L’impatto della tecnologia digitale, a partire dai fax ma con preponderante espansione a partire dal 2005, ha proiettato le persone. In alcuni casi si può ormai parlare di uomini aumentati (da augmented, in inglese): figure professionali che, grazie ai social network lavorativi quali LinkedIn o Slack, ai feed dalla rete e, ultimo ma non meno importante, il cellulare, possono lavorare sempre e ovunque. Non è mio interesse promuovere una visione workaholic, ma quello che oggi definiamo smart working, è una tendenza in rapida ascesa. Lo osservo anche per il settore dei fractional executive: i nostri partner svolgono i loro compiti dove ritengono più opportuno, con grandi vantaggi economici in termini di spostamenti, costi per il cliente, e maggior focalizzazione degli stessi operativi sulle missioni loro assegnate. Uno scenario, quello dello smart working che richiede persone che abbiano sviluppato un bouquet di soft skills per relazionarsi in modo continuo ed efficace, tramite gli strumenti digitali e l’esperienza dal vivo, con differenti attori: clienti, colleghi di lavoro, fornitori etc… Per questo motivo abbiamo da anni inserito  anche il test delle soft skill, nel lungo  processo di selezione dei partner del gruppo”, conclude Pietrini.

Il concetto di adattamento all’innovazione unito alle soft skills arriva anche da Carolina Gianardi. “Viviamo un momento della storia che non ha eguali. Il percorso di carriera in una singola azienda from womb to tomb (dalla culla alla tomba, nds) non esiste più. Dall’altro lato le aziende pretendono performance sempre più efficienti, e il percorso di formazione viene ridotto. In questo senso la necessità che il dipendente possa essere subito plug&play (“Inserisci e gioca”, concetto mutuato dal mondo dei video giochi e delle chiavette usb) è essenziale, così come comprendere, per un’azienda, quale sia il suo livello di flessibilità e modularità. Un concetto che implica, per l’azienda, una discreta libertà di poter riposizionare i propri dipendenti in nuove mansioni, team o dipartimenti. Comprendere quale siano le soft skills richieste per ogni sfida a cui associare un team composto dai dipendenti più adatti, è un fattore di vantaggio che l’azienda moderna occidentale, deve assolutamente avere”, conclude Gianardi.

Ora con la premessa che questa analisi non vuole fotografare il 100% dello scenario, è importante comprendere, per le aziende pubbliche e private, le dinamiche di mappatura e valorizzazione delle soft skills a beneficio delle aziende stesse ma, in una visione più ampia sul lungo periodo, dell’economia stessa.

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