Imprese, un mercato dei valori per riconciliare profitto e funzione sociale

scritto da il 20 Novembre 2019

Post di Marco Senatore, funzionario del Ministero dell’Economia e delle Finanze –

Lo scorso agosto Business Roundtable, l’associazione dei Chief Executive Officer delle principali imprese statunitensi, ha redatto una dichiarazione di principi per molti versi rivoluzionaria. Nel documento si afferma che, mentre le imprese generano profitti e utili per gli azionisti, esse dovrebbero anche impegnarsi a raggiungere altri obiettivi: offrire valore ai propri clienti, investire nei dipendenti, gestire in modo equo ed etico i rapporti con i fornitori, sostenere le comunità nelle quali esse operano e generare valore nel lungo termine per gli azionisti.

Chi si è espresso criticamente in merito a questa dichiarazione, ha ravvisato in essa il rischio di uno scivolamento verso una forma di socialismo. D’altra parte, il nuovo approccio è stato valutato positivamente da chi ritiene che gli obiettivi di una impresa debbano trascendere la massimizzazione del profitto, contrariamente a quanto si studia nei testi di economia politica. Occorre comunque rilevare che varie analisi sottolineano il ruolo sostanzialmente strumentale della responsabilità sociale, nel senso che essa è spesso orientata a scopi quali il miglioramento dell’immagine aziendale, una maggiore soddisfazione dei clienti e la riduzione dei costi.

Mentre il dibattito sul ruolo delle imprese ha un sicuro interesse, amplificato da problematiche quali le crescenti disuguaglianze e le emergenze ambientali, esso rimanda anche al problema generale del rapporto tra economia ed etica. Già negli ultimi decenni dello scorso secolo Amartya Sen ha, da questo punto di vista, ricordato come, in un autore spesso malinteso quale Adam Smith, aveva prevalso un approccio etico all’economia, contrapposto al paradigma ingegneristico, successivamente dominante, secondo cui tale disciplina dovrebbe occuparsi solo di problemi di massimizzazione del profitto e dell’utilità.

A tal fine, occorre porsi anche in economia il problema del rapporto tra valori universali e strumenti adottati per perseguire i propri fini particolari, lungo un filone che parte dall’elaborazione del concetto di autonomia nella morale kantiana. Da questo punto di vista è imprescindibile la riflessione di Max Weber (1864-1920), che ha evidenziato da un lato il politeismo di valori contrastanti che caratterizza la modernità, dall’altro la contrapposizione tra razionalità rispetto allo scopo e razionalità rispetto al valore.

Autonomia e comunità
Nel mio testo “Scambiare autonomia, Le motivazioni interiori come risorse per affrontare le crisi del nostro tempo” (Aracne, 2013) ho definito “autonomia funzionale” quella condizione nella quale i valori morali, organizzativi e culturali sono in grado di influenzare significativamente il particolare ruolo sociale scelto e svolto da una impresa o da un individuo (ad esempio, consumatore o produttore di determinati beni, lavoratore in un certo settore). In assenza di tale autonomia, d’altra parte, i valori e le visioni del mondo sono principalmente un riflesso del proprio ruolo. E, se tale assenza connota la maggior parte della società, questa non potrà anche essere una comunità inclusiva, nella quale sia possibile un confronto razionale sui valori, semplicemente perché questi ultimi verranno confinati in una dimensione strumentale e individualistica.

In un contesto che è caratterizzato da un predominio assoluto della razionalità rispetto allo scopo e dall’assenza di autonomia funzionale, potrebbe sembrare che il richiamo ai valori sia destinato ad assumere un carattere meramente ideale e retorico. Ma si potrebbero anche inserire i valori all’interno delle nostre transazioni economiche, fornendo un incentivo ad assumere visioni e prospettive indipendenti dalle proprie convenienze immediate. A tal fine, ho formulato la proposta di istituire un mercato dei valori.

Un mercato dei valori come strumento per l’autonomia di imprese e individui
In questo mercato imprese, individui ed enti locali scambierebbero esperienze che attestino i benefici derivanti dall’applicazione di determinati principi organizzativi, morali e culturali. Tali valori potrebbero comprendere l’ambientalismo, la giustizia sociale, l’inclusione delle minoranze, la propensione all’innovazione.

Concretamente, a essere scambiati sarebbero dei documenti, in ciascuno dei quali sarebbero elencate le esperienze riferite a un determinato valore. L’applicazione di quest’ultimo sarebbe verificata attraverso indicatori fissati per legge quali, nel caso dell’ambientalismo: una certa riduzione delle emissioni inquinanti o un determinato ammontare di investimenti in tecnologie a emissioni negative (come indicatori applicabili alle imprese), un determinato aumento dell’estensione delle aree verdi (per gli enti locali) e un dato ammontare di donazioni a green charities (per gli individui). Ciascun acquirente di un documento, dopo aver preso in considerazione le attività intraprese da precedenti soggetti, potrebbe scegliere e aggiungere una o più esperienze e poi trasferire lo stesso documento. Il prezzo delle esperienze riferite a ciascun valore sarebbe determinato dalla domanda e dall’offerta, e il prezzo di ciascun documento sarebbe proporzionale al numero delle esperienze in esso descritte. Inoltre, un documento potrebbe essere ceduto in cambio di quelli riferiti ad altri valori, o di beni e servizi.

L’incentivo economico ad operare su un mercato dei valori sarebbe rappresentato dalla possibilità di trasferire un documento a un prezzo (un controvalore monetario) superiore a quello di acquisto. Ciò sarebbe consentito da un lato dall’aggiunta di nuove esperienze, dall’altro dal possibile aumento del prezzo di ciascuna delle esperienze riferite al valore in questione.

Il seguente è un esempio di documento riferito al valore dell’ambientalismo, scambiato fra una impresa A, una impresa B e un ente locale C.

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Per le imprese, operare su un mercato dei valori renderebbe il profitto non solo compatibile con principi quali la sostenibilità ambientale, ma in buona misura anche dipendente da essi. Inoltre, imprese, individui ed enti locali si troverebbero a cooperare nella definizione della natura e delle implicazioni pratiche di valori rispetto ai quali oggi il mercato è invece sostanzialmente neutrale. I principi che ispirano l’attività dei soggetti economici non hanno infatti alcun ruolo nel definire le condizioni (ad esempio, quali sono le controparti) degli scambi, anche quando si partecipa a queste ultime per motivi diversi dal profitto e dall’utilità.

Infine, sarebbe del tutto improprio definire “mercificazione dei valori” uno schema quale quello proposto. Da un lato, infatti, i soggetti che cedessero determinati documenti resterebbero liberi di continuare a ispirarsi ai principi in essi descritti, a differenza di quanto accade allorquando si cedono merci; dall’altro, i documenti non sarebbero trasferiti in cambio di denaro.

Mercificazione dei valori è invece ciò che caratterizza quell’insieme di strategie di marketing, anche politico, in cui il richiamo a principi quali la sostenibilità è puramente strumentale, funzionale a un ruolo predefinito.