Ma se l’Italia ha potere di veto a cosa si oppone chi si oppone al Mes?

scritto da il 04 Dicembre 2019

Negli ultimi giorni si sta facendo un gran parlare dell’ESM, lo European Stability Mechanism che nel dibattito italiano viene spesso chiamato MES.

L’Eurogruppo si appresta ad approvarlo e la discussione sui dettagli si sta infervorando. In realtà questa riforma è in fase di negoziazione a livello continentale da quasi due anni, e il testo attualmente in discussione è stato approvato già a Dicembre 2018 e poi rivisto e riapprovato nel Giugno 2019.

Da dove nasce il discorso?

La crisi del debito sovrano nel 2009-15 ha mostrato una fragilità specifica in molti paesi europei: una sorta di rapporto incestuoso tra Stato e banche. Il debito pubblico del proprio paese viene spesso usato dalle banche come destinazione per le proprie riserve. Il risultato è che da una parte quando un paese va in difficoltà sul proprio debito, trascina nei guai le sue banche, dall’altro se le banche incontrano difficoltà, il paese rischia di perdere un importante sostegno al proprio debito.

Il rischio che queste due interdipendenze generino una spirale negativa è molto elevato e particolarmente perverso. Nel 2012 i membri dell’area euro hanno convenuto che la soluzione più semplice per spezzare questa interdipendenza era creare un’unione bancaria con una garanzia dei depositi condivisa a livello continentale.

La nomina della BCE come vigilante delle prime 116 banche europee nel novembre del 2014 è stato il primo passo di questo processo.

Olaf Scholz, il ministro delle finanze tedesco, il 5 novembre ha approvato l’idea di un sistema comune di assicurazione dei depositi. Ma, siccome i paesi del nord Europa non sono entusiasti all’idea di far garantire ai loro contribuenti le attività di paesi che hanno mostrato meno rigore nel concedere credito, contestualmente ha chiesto di rivedere il trattamento dei titoli di stato nella contabilità di bilancio delle banche, togliendo loro la qualifica di titoli privi di rischio.

Togliere ai titoli di Stato l’etichetta di “risk-free”, cioè appunto di titolo privo di rischio, comporta che le riserve bancarie investite in titoli di Stato di minor qualità richiederanno degli accantonamenti, quindi i paesi più indebitati subirebbero un impatto immediato: le banche a quel punto preferiranno avere titoli di Stato più sicuri (per dover fare meno accantonamenti) e si disputerebbero i titoli migliori cercando di liberarsi di quelli a rating più basso. Tutto ciò farebbe riallargare gli spread. E aumenterebbe gli effetti di una revisione di rating, quando i criteri di assegnazione degli stessi hanno più volte mostrato, in un senso e nell’altro, passaggi discutibili.

Una delle idee per contenere questo effetto è di introdurre una sorta di “commissione di concentrazione” con cui le banche dovrebbero aumentare le riserve di capitale solo se le loro partecipazioni in titoli di un singolo Stato superassero una determinata soglia.

Questa soluzione indurrebbe le banche a spezzare il legame incestuoso col proprio paese d’origine, generando un’automatica diversificazione delle riserve di tutte le banche europee, che oggi detengono mediamente tra il 15 ed il 30% del debito pubblico del proprio paese.

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È un tema che riguarda l’Italia, come paese molto indebitato, ma anche la Germania, dove le Landesbanken sono grandi creditori degli enti locali. Secondo le prime stime le esposizioni eccessive sarebbero maggiori nelle grandi banche francesi e tedesche che non in quelle italiane.

È difficile prevedere se e come le banche diversificheranno le loro riserve, ma sicuramente la creazione di un “asset sicuro” di riferimento, una sorta di eurobond continentale, faciliterebbe la transizione e ridurrebbe il rischio di vedere allargare gli spread in una caccia collettiva alla qualità del credito. Ma al momento, e con i toni con cui si portano avanti le discussioni in queste settimane, pare difficile poter arrivare a crearne uno.

Proviamo a capire, in sintesi, come funziona il MES:

Nel caso uno Stato avesse difficoltà a finanziarsi sul mercato, potrà fare richiesta di finanziamento. Se quello Stato non sta rispettando alcuni requisiti (tra cui debito/Pil sotto il 60% o il deficit entro la soglia del 3%), vi sarebbe la possibilità di chiedere il private sector involvement, come già avvenuto in Grecia (e senza alcuna riforma del MES, a riprova del fatto che la questione non è affatto dirimente), che di fatto potrebbe portare alla richiesta di ristrutturazione del debito.

L’Italia quindi oggi per accedere eventualmente agli aiuti del MES dovrebbe iniziare a rispettare la regola di riduzione del debito inclusa nel fiscal compact (una riduzione media annua di circa il 3% nel rapporto debito /PIL) o rischiare l’imposizione di una ristrutturazione come condizione per la concessione di una linea di credito straordinaria.

Tuttavia l’obiettivo del MES è quello di arginare le crisi di solvibilità, non certo di generarle. Non a caso il confronto con l’istituzione cui più assomiglia (il Fondo Monetario Internazionale) è rivelatrice: infatti, mentre il regolamento del FMI prevede automaticamente la ristrutturazione dei debiti non sostenibili in caso di suo intervento, il MES contempla la ristrutturazione solo come ipotesi.

L’altro elemento controverso della riforma del MES è che prevede l’introduzione di nuove Clausole di Azione Collettiva (CACs) dette “single limb” sui titoli emessi da gennaio 2022. Le (CACs) permettono di cambiare i termini di tutto il debito emesso a condizione che i nuovi termini vengano approvati da una maggioranza dei detentori. Un sistema senza CACs è quello che è stato applicato sul default argentino, dove i detentori di minoranza che non vollero aderire alla ristrutturazione ebbero una trattativa separata, aumentando tempi e costi della ristrutturazione.

Dal gennaio 2013, tutti i titoli di Stato dei Paesi dell’Eurozona con durata superiore a un anno vengono emessi con le CACs. Sono “double-limb CACs”, cioè richiedono, per cambiare i termini dei titoli, sia la maggioranza dei voti sul totale dei titoli emessi, sia una maggioranza a livello di ciascun “ISIN”. Con la riforma del MES sarà sufficiente la sola maggioranza a livello della totalità dei titoli.

La retorica politica arriva a dire che il MES è stato “ideato per favorire la speculazione contro l’Italia”. In realtà il rischio di fallimento di un paese non dipende dalle procedure per la gestione di una eventuale ristrutturazione, ma dai tassi di crescita, di inflazione, dai livelli di debito, dai costi del debito e dalla traiettoria del deficit.

Un ultimo dettaglio cruciale per spazzare via il dubbio sul fatto che la riforma del MES sia un complotto contro l’Italia è che il sistema di voto nel “condominio europeo” prevede che la procedura d’urgenza richieda l’85% dei “millesimi”, pertanto ci sono tre paesi che godono sostanzialmente di un diritto di veto: la Germania (“azionista” del MES al 26,9%), Francia (20,2%) e Italia (17,8%). Senza il loro voto, il MES non potrà procedere alla concessione o all’attuazione di una assistenza finanziaria.

Un italiano che si dichiara contrario al MES forse ritiene che questo Paese non avrà mai tassi di crescita tali da sostenere il debito, e teme di dover ricorrere ad aiuti. Ma se le condizioni abbinate a questi aiuti saranno troppo severe, l’Italia è uno dei tre paesi che può imporre un veto. Quindi di fatto chi è contrario al MES si oppone soltanto all’idea che banche e Stati dovrebbero smettere di sostenersi a vicenda sulle spalle dei contribuenti.

Ogni medaglia ha due facce, è giusto conoscerle entrambe quando si dichiara cosa si sostiene.

Twitter @AlienoGentile

PER APPROFONDIRE:

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