Bitcoin e cripto attività: l’Italia incornicia il passato, l’Europa è già nel futuro

scritto da il 13 Gennaio 2020

Gli autori di questo post sono Stefano Capaccioli, dottore commercialista, fondatore di Coinlex, società di consulenza e network di professionisti sulle criptovalute e soluzioni blockchain, nonché presidente di Assob.it e l’avvocato Massimo Simbula, Associazione Copernicani, esperto in normativa FinTech.

Il 2 gennaio 2020, Consob ha pubblicato il Rapporto Finale sulle offerte iniziali e gli scambi di cripto-attività (tra le quali le cripto-valute come il bitcoin o i token nelle cosiddette Ico), rapporto prodotto a seguito di un confronto pubblico che ha coinvolto gli operatori di mercato attraverso la pubblicazione, il 19 marzo 2019, di un documento per la discussione, seguito da un public hearing tenutosi il 21 maggio 2019.

Nei giorni successivi è stata pubblicata una quantità di articoli sulla stampa generalista e specializzata, concordi sul fatto che la Consob si fosse resa protagonista di un’apertura nei confronti delle cripto-attività, chiarendo alcuni punti e auspicando l’intervento del Legislatore.

Dieci mesi di lavoro per il Rapporto Finale che, secondo le stesse parole di Consob, “vuole essere un contributo al dibattito, elaborato in vista dell’eventuale definizione di un regime normativo in ambito nazionale che disciplini lo svolgimento di offerte pubbliche di cripto-attività e delle relative negoziazioni”.

L’inattesa uscita durante il periodo delle feste natalizie e l’aver partecipato sia alla Consultazione sia agli incontri ha sollevato dubbi e perplessità: in primis, la percezione di un’elevata resistenza dell’establishment dei mercati finanziari, come risulta chiaro dal public hearing e dalle risposte in calce al Rapporto Finale, ai quali questa innovazione preoccupa per la perdita di potere (Banche di Investimento, Studi Legali, Accademia, Società di Intermediazione Mobiliare), ostilità che certamente non ha agevolato la Consob nel suo lavoro.

In secondo luogo, l’affermazione che la Consultazione costituisca esclusivamente un contributo al dibattito finalizzato ad un regime normativo in ambito nazionale ove non era più presente la parte sul concetto di “prodotto finanziario”.

La scarsa vena critica della stampa nei confronti della Consob ha ricordato l’infausta orchestrina sul Titanic, dato che nessuno pare abbia guardato fuori dal finestrino italico verso Bruxelles.

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Il 10 settembre 2019, Ursula von der Leyen (neo presidente della Commissione Europea) inviava la Mission Letter al commissario Valdis Dombrovskis, Vice Presidente e Commissario europeo per la stabilità finanziaria, i servizi finanziari e il mercato unico dei capitali, in cui veniva chiaramente indicato a pagina 6: assicurare un approccio comune con gli Stati Membri.

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La Consob ha dovuto accelerare la Pubblicazione degli esiti della Consultazione per evitare che tale lavoro fosse superato, ma vi è stata un’ulteriore accelerazione, passata sotto silenzio da Osservatori, Analisti, studiosi, organi di informazione.

Il 13 dicembre 2019, il ROFIEG (Gruppo di esperti sugli Ostacoli Regolatori all’Innovazione Finanziaria – FinTech) istituito presso la DG FISMA pubblicava il proprio Final Report.

In tale rapporto, il fattore più importante dell’approccio dell’UE alle criptoattività è individuato nell’uniformità, sul principio secondo cui le attività che creano gli stessi rischi devono essere disciplinate dalle stesse regole in tutta la UE, evitando così la frammentazione, l’arbitraggio normativo, la corsa al ribasso in termini di rigore e di tutele. Un fattore è nella necessità di coordinamento con i partner internazionali, tenendo conto della natura intrinsecamente senza confini delle tecnologie e della necessità di coerenza internazionale.

Senza indugio, la Commissione Europea ha lanciato il 19 dicembre 2019 (giovedì), una Consultazione Pubblica per la realizzazione di un Quadro Comune Regolamentare Europeo per le cripto attività: una direttiva e-cripto.

La Consob, con le Feste di Natale di mezzo, ha voluto/dovuto pubblicare il proprio Rapporto Finale in gran fretta, per evitare che il lavoro svolto perdesse di qualsivoglia interesse a causa della Consultazione in corso finalizzata alla creazione di una direttiva sulle cripto-attività.

La mossa dell’Unione Europea verso una direttiva è interessante e condivisibile per evitare che l’innovazione venga bloccata sia da leggi miopi sia in nome di una non meglio tutela dei mercati e dei risparmiatori e che gli Stati Membri si muovano in maniera disarmonica introducendo norme spesso pasticciate e emanate per logiche di marketing.

Nel caso italiano gli esempi non mancano, quale l’inserimento frettoloso in fase di conversione di decreti legge (Decreto Competitività e del suo articolo 8ter) o l’introduzione della V direttiva antiriciclaggio con testi e terminologia diversi rispetto al dettato Europeo.

Tali tendenze impediscono una rapida evoluzione delle cripto attività e la dissonanza normativa fra gli Stati induce a competizioni normative con conseguenti arbitraggi. Un auspicabile intervento europeo, potrebbe garantire altresì garantire:

1. La pulizia delle tante, disarmoniche e spesso inconcludenti normative nazionali europee in materia di blockchain e cripto attività;

2. La definizione dell’ambito delle cripto attività (superando l’inutile quanto incompleta distinzione tra payment token, utility token, security token) adottando un principio “olistico” come quello proposto dalla Direttiva E-commerce.

Quindi, mentre in Italia tutti guardano entusiasti e contenti il dito, l’Unione Europea sta preparandosi a sbarcare sulla luna, nel totale disinteresse della stampa nostrana e dei vari interpreti, isolati, oramai, ai confini dell’impero europeo.

Twitter  @s_capaccioli  @MassimoSimbula

 

L’ANTEFATTO

Tale situazione appare simile a ciò che avvenne nel 2000: qualcuno si ricorda cosa accadde in Europa? Era un anno particolare certo. Non solo per il millennium bug e per la finale persa dall’Italia nel campionato Europeo di calcio ai supplementari, o per la battaglia elettorale per la Presidenza degli Stati Uniti, finita con riconteggi di schede tra Bush e Gore in Florida, ma anche per la giovane startup internet Tiscali che raggiunse FIAT come capitalizzazione in Borsa (e Renato Soru il Paperone della Borsa), per il lancio di Microsoft di Windows 2000 e per la fusione tra Time Warner e American on Line.

Il 2000 fu, però, soprattutto l’anno in cui esplodeva nel mondo la bolla delle dot.com, lasciando sul campo tante società e tanti investitori, risparmiatori e lavoratori, accompagnata dalla diffusione del temuto virus “ILoveYou”: il mondo della rete iniziò a cambiare radicalmente, a strappi (come l’evoluzione tecnologica ama fare) e l’Unione Europea seguiva, sin da allora, con particolare attenzione l’evoluzione del fenomeno.

Internet ormai non era più roba da “geek” o “early adopters” e venivano stravolte le previsioni dei futurologi, intraprendendo una traiettoria volta alla trasformazione digitale: il 2000 fu, in termini percentuali, l’anno con il maggior incremento di siti internet on line (+438%) rispetto all’anno precedente con numeri esponenziali [link]. Google era nato da appena due anni, PayPal da uno e non erano stati ancora inventati Wikipedia (2001), Linkedin (2003), Facebook (2004), YouTube (2005), Instagram (2010).

In questo quadro evolutivo, l’Unione Europea intervenne nel regolamentare il mondo della rete e dei dati, in maniera innovativa ed attenta, ispirata da due obbiettivi di fondo: 1) liberalizzare il più possibile i provider di comunicazioni elettroniche al fine di consentirne una rapida evoluzione tecnologica senza che ingestibili responsabilità legali potessero soffocarli; 2) favorire il più possibile la libera circolazione dei dati all’interno dell’Unione Europea, armonizzando le norme al fine di evitare asimmetrie normative che ostacolassero tale libera circolazione.

La lungimiranza del legislatore europeo si concretizzò con la ormai nota Direttiva E-Commerce (Direttiva 2000/31/CE) che ha previsto una rilevante limitazione alla responsabilità degli Internet Service Provider in relazione ai contenuti pubblicati dagli utenti (service provider), seguita dalla PSD (Direttiva 2007/64/Ce) nel 2007 e dalla PSD2 nel 2015 (Direttiva UE 2015/2366), con la creazione dei nuovi player per la gestione e analisi dei pagamenti elettronici (PISP e AISP) ai quali va aggiunta naturalmente l’Agenda Digitale Europea del 2010.

Oggi, dopo vent’anni, nel 2020: il mondo non può più fare a meno della rete. Fax, cartoline, stampanti, macchine fotografiche, CD musicali e vinile, hard disk, sono stati eliminati quasi completamente. Molti Stati stanno digitalizzando le loro infrastrutture al fine di consentire ai cittadini di poter dialogare in modo rapido e istantaneo con le pubbliche amministrazioni. Le banche non hanno più bisogno di sportelli e licenziano ogni anno migliaia di dipendenti, mentre nascono nuovi istituti di pagamento di moneta elettronica grazie alle citate Direttive Europee.

Facendo un parallelismo con le criptoattività, la data di partenza è la nascita di Bitcoin (03.01.2009) con il primo blocco minato dall’utente internet noto come “Satoshi Nakamoto” e così come internet in 20 anni ha rivoluzionato (anche se non senza strappi e senza “vittime”) il mondo dell’informazione così come lo conosciamo, Bitcoin offre oggi l’opportunità di rivoluzionare il mondo della finanza e (forse) di tanti altri settori grazie alla tecnologia di fondo sottostante.

Sono passati solo 10 anni dalla nascita di Bitcoin e non possiamo ancora tirare le somme, anche se in giro si vendono tanti pseudo esperti di nuove tecnologie deridere vari progetti basati su tecnologia blockchain o Bitcoin stessa, solo perché in fondo ancora non è accaduto nulla di quello che si è detto o scritto.

È vero, certamente “Blockchain” può essere una buzzword, da molti sfruttata impropriamente, ma siamo solo alla punta dell’iceberg. Se infatti ripercorriamo la crescita esponenziale di internet, noteremo che proprio il secondo decennio è stato quello esplosivo. E nel secondo decennio di vita di internet che si è passati da 400 milioni di utenti nel mondo a circa 3 miliardi (al 2018). E’ nel secondo decennio che sono decollate Netflix, Google (rispettivamente appena nate nel 1997 e 1998), Paypal, Wikipedia, WordPress, Facebook, YouTube, Dropbox, Instagram ecc.

Si può quindi dire che Bitcoin non è la bolla, come da molti sostenuto, ma è lo spillo.
Il quale probabilmente farà esplodere il resto dei modelli industriali oggi conosciuti, sopravvissuti alla rivoluzione della rete poiché secondo alcuni sarà possibile creare un ponte tra le informazioni validate “on-chain” con quelle “off-chain” attraverso l’ausilio di nuove tecnologie che nel frattempo si sono sviluppate in parallelo, tra cui l’Internet delle Cose, i sistemi di robotizzazione e automazione, e la fantomatica Intelligenza Artificiale (meglio il Machine Learning).