Sorpresa, con i fondi europei la produttività aumenta (perfino) al Sud

scritto da il 06 Febbraio 2020
L’autore del post è Pietro Lombardi, 26 anni, laureato in Ingegneria Civile per l’Ambiente e il Territorio presso l’Università degli Studi di Salerno, amministratore L.P.G. Costruzioni e Coordinatore Istituto Liberale Campania –

Politica valutata: Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) nel sud Italia.
Obiettivo: aumento della coesione economica, sociale e territoriale, tra regioni e stati membri dell’Unione Europea.
Impatto: ad un aumento del 10% della spesa per le infrastrutture corrisponde un aumento medio dello 0,3% del fattore di produttività nelle regioni meridionali.

I fondi strutturali rappresentano uno strumento finanziario della politica regionale dell’UE utilizzato per aumentare la coesione economica, sociale e territoriale, delle regioni e degli stati membri, diminuendo le disparità. Sono erogati su base settennale e seguono logiche redistributive dal livello di governo europeo ai governi locali.

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Per il periodo 2007-2013, i fondi FESR utilizzati ammontano a circa 202 miliardi di euro, di cui il 54% è stato destinato per investimenti nelle infrastrutture, mentre la restante parte è stata impiegata per l’acquisto di beni e servizi da parte della Pubblica Amministrazione e per sussidi alle imprese. In Italia, la maggior parte della spesa è stata impiegata in cinque regioni meridionali: Puglia, Basilicata, Calabria, Campania e Sicilia.

Molta attenzione è stata dedicata alla politica regionale dell’UE da parte degli economisti. In media, secondo i numerosi studi realizzati, il suo effetto sembra positivo ma c’è molta eterogeneità: i risultati positivi sembrano ricadere solo sulle regioni ben gestite e con una forza lavoro istruita.

Analizzando solo gli effetti sul nostro Paese, si riscontrano meno evidenze sui benefici. Bernini e Pellegrini (2011) hanno valutato l’impatto di politiche nazionali in Italia, come gli effetti della legge 488/92 (destinata a sovvenzionare le imprese situate in aree economicamente depresse), e sono arrivati alla conclusione che, seppur ci sono stati effetti positivi sull’occupazione e sugli investimenti, parallelamente c’è stato un impatto negativo sulla produttività.

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All’interno del paper della Banca d’Italia (“Place-based policy and local TFP” – Albanese, de Blasio, Locatelli – 2019), i ricercatori hanno deciso di analizzare proprio l’impatto di questi investimenti sul fattore di produttività, aggregando i dati riguardanti il fattore di produttività (TFP) a livello aziendale per il periodo 1995-2015, i fondi FESR utilizzati, e il livello del mercato del lavoro locale (LLM), in modo da valutare la variazione del fattore di produttività non solo nelle aziende che hanno beneficiato direttamente dei fondi FESR, ma anche delle possibili esternalità nel territorio circostante.

Anche se l’aumento del fattore di produttività non è tra gli obiettivi delle politiche di coesione, è stato osservato che il TFP (fattore di produttività) spiega la maggior parte delle differenze nei livelli di reddito dei territori. Nel meridione, come descritto in Ciani et al. (2019), la produttività è sostanzialmente inferiore rispetto al nord del 12% se l’input di manodopera viene misurato come costo del lavoro, e del 30% se invece viene valutato il numero di dipendenti.

Indipendentemente dalle variabili, nel periodo 1995-2015 si è registrato un aumento che oscilla tra il 5% e il 7% del fattore di produttività nel Sud. Per questo motivo i ricercatori hanno voluto verificare se i fondi per la coesione siano stati almeno parzialmente responsabili di ciò. L’importanza di questo studio è che è uno dei pochi a non riferirsi solo ai fattori di produzione (lavoro e capitale), ma esamina il fattore di produttività che si è visto essere una variabile economica chiave, capace di spiegare le disuguaglianze tra territori differenti.

Coerentemente con altri risultati di studi analoghi, si è verificato che i fondi non hanno avuto un impatto rilevabile sulla popolazione locale, sui prezzi delle case, e nella migliore delle ipotesi si è verificato un modesto effetto positivo sull’occupazione.

Andando invece ad analizzare solo gli investimenti sulle infrastrutture, si è osservato che i fondi hanno avuto un impatto positivo e significativo sulla crescita del fattore di produttività, e che questo impatto aumenta in base ad alcune caratteristiche del contesto locale come la qualità delle istituzioni e il grado di urbanizzazione.

L’indice di qualità istituzionale è un indicatore sintetico della qualità istituzionale nelle province italiane per il periodo 2004-2012 (proposto da Nifo e Vecchione, 2014), basato su una vasta serie di indici elementari tra cui l’efficacia del governo, la qualità normativa e la corruzione presente.

Il grado di urbanizzazione è invece misurato in base alla densità della popolazione delle aree.
Analizzando la sola spesa dei fondi FESR per lavori pubblici, si stima che ad un aumento del 10% della spesa FESR per le infrastrutture porti ad un aumento medio dello 0,3% del fattore di produttività nell’intera area che beneficia dell’intervento. I benefici aumentano nel caso in cui le aree di intervento sono caratterizzate da una migliore qualità istituzionale, e nelle aree maggiormente urbanizzate.

Per quanto riguarda invece il denaro speso per sussidi alle imprese, non si può escludere un miglioramento della produttività per le aziende beneficiarie, ma il ritorno economico di queste spese sul territorio è pari a zero.

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