Tra maggioritario e proporzionale, quale legge elettorale per spingere il Pil?

scritto da il 18 Febbraio 2020

Come in ogni legislatura post Prima Repubblica, l’argomento della riforma della legge elettorale aleggia tra le commissioni parlamentari e sull’agenda di Governo. Non essendoci vincoli costituzionali, l’Esecutivo ha la quasi totale autonomia nella scelta della legge elettorale, che verrà dunque determinata dalla convenienza e dallo scenario politico. In queste ore la maggioranza ha deciso di accelerare sul pacchetto delle riforme costituzionali e sulla legge elettorale, con l’obiettivo di approvare il cosiddetto Germanicum (sistema proporzionale con soglia di sbarramento al 5%) in Commissione alla Camera entro il 29 marzo, quando si terrà il referendum sul taglio dei parlamentari.

Il momento dell’approvazione della legge elettorale è indubbiamente il più rilevante per i politici che siedono nelle Camere: esso, infatti, determina chi vi tornerà e chi no nella successiva legislatura.

Tuttavia, adottando una prospettiva di lungo termine, la legge elettorale non è cruciale solo per l’assegnazione dei seggi: vi è uno stretto legame fra la legge elettorale e l’attuazione di politiche economiche efficaci e lungimiranti, che passa per il mantra della Seconda Repubblica: la governabilità.

Com’è noto, l’Italia è cronicamente affetta da governi di durata irrisoria e maggioranze instabili, che non permettono una pianificazione economica pluriennale degna di una grande economia. I governi, sapendo che rimarranno in carica per un tempo limitato, si preoccupano solo di allocare le scarne finanze pubbliche in misure che aumenteranno il loro consenso sul breve termine.

Questa tendenza sembra acuirsi con una legge elettorale proporzionale, che produce una duplice irresponsabilità sulle finanze pubbliche. Da un lato, i partiti, costretti ad alleanze talvolta improbabili, si spartiscono le risorse pubbliche per attuare le misure a loro care, implementando una politica economica disomogenea e che non bada a spese. Dall’altro, essi potranno sempre scaricare reciprocamente sui compagni di coalizione la responsabilità della scarsa performance economica e della situazione disastrosa delle finanze pubbliche. Questo è esattamente quanto si è osservato in Italia durante l’attuale legislatura, e, in certa misura durante la Prima Repubblica, quando il consenso elettorale veniva “comprato” a suon di deficit. Le figure successive mostrano l’andamento del debito pubblico e del deficit, diviso per le diverse leggi elettorale che si sono susseguite dal ‘48 a oggi.

Posto che, naturalmente, l’andamento del debito pubblico è influenzato da numerose variabili macroeconomiche, la correlazione con il sistema elettorale sembra essere evidente.

I governi della Prima Repubblica, formati con una legge proporzionale immutata dal 1948 al 1993, hanno gestito le finanze pubbliche senza rigore: fintantoché il boom economico era in atto, la situazione era stabile, ma non appena l’economia italiana ha iniziato a rallentare, la crescita è stata sostenuta con la spesa pubblica. Negli anni ‘80 poi, anche per via del “divorzio” dalla Banca d’Italia, la situazione del debito è degenerata: i governi di quel decennio furono particolarmente brevi e composti da alleanze tra partiti intenzionati a escludere i comunisti. Il risultato? Politiche economiche miopi e deficit a doppia cifra.

Dopo quarant’anni di proporzionale puro, con la riforma Mattarella, nel ‘93 vi fu l’avvento di un sistema maggioritario al 75% e proporzionale per il restante 25% dei seggi. Questa legge elettorale nacque per assecondare e favorire lo sviluppo di un bipolarismo divenuto possibile grazie alla caduta della Democrazia cristiana. Da allora, le finanze pubbliche hanno beneficiato del sistema maggioritario: è stato naturalmente cruciale il rispetto dei parametri di Maastricht per l’ingresso nell’euro , ma probabilmente non sarebbe stato possibile portare rigore nelle politiche economiche italiane con delle maggioranze frammentarie.

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Nel 2005 entrò in vigore la legge Calderoli, passata agli annali come Porcellum, caratterizzata dal ritorno al proporzionale, dalle liste bloccate e da un cospicuo premio di maggioranza, che garantiva la governabilità. Da qui in poi, la correlazione tra legge elettorale e gestione delle finanze pubbliche si fa meno chiara per due ragioni: anzitutto, il Porcellum era sì una legge proporzionale ma garantiva governabilità, e in secondo luogo in questo arco temporale si è verificata la grande crisi finanziaria globale.

Si può dunque concludere che la combinazione di legge elettorale maggioritaria e rispetto dei parametri europei siano stati in passato la strada giusta per elaborare delle politiche economiche coerenti e avviare una gestione responsabile delle finanze pubbliche. Inoltre, i mercati finanziari premierebbero con il calo dei tassi d’interesse sul debito l’avvento di un sistema maggioritario che garantisca stabilità e politiche economiche lungimiranti.

Cosa succederebbe se votassimo a breve con un sistema elettorale maggioritario?

Questo era il risultato sperato dalla Lega, che aveva chiesto l’abolizione della base proporzionale del Rosatellum per via referendaria, salvo essere fermata dalla Corte Costituzionale.

Abbiamo stimato il numero di seggi, assumendo che il numero di seggi uninominali delle elezioni del 2018 fosse proporzionale alle preferenze nazionali di quell’anno, e basandoci sulle intenzioni di voto registrate il 2 Febbraio 2020 da SWG.

Ne risulterebbe un Parlamento con una forte maggioranza di centrodestra, che libererebbe il Governo da qualsiasi vincolo di compromesso, tipico delle coalizioni, riuscendo quindi a portare a termine politiche quali lo sblocco dei cantieri, il taglio delle tasse sul reddito, fino a, potenzialmente, confermare e rafforzare Quota 100, tema caro soprattutto alla Lega.
Le politiche che ne risulterebbero sarebbero certamente coerenti, ma non altrettanto caute nella gestione delle finanze pubbliche: il conflitto con la Commissione Europea e la paura dei mercati, scatenerebbero una tempesta perfetta per il debito pubblico.

Pertanto, allo stato attuale delle cose, un sistema maggioritario non sarebbe sinonimo di stabilità economica, diversamente da quanto avvenuto nel periodo del Mattarellum.

Al contrario, un sistema proporzionale che argini le derive populiste e le minacce alle finanze pubbliche di alcune forze politiche, sarebbe forse auspicabile. Quest’ultimo è lo scenario che si prospetterebbe qualora il Parlamento approvasse il Germanicum, la proposta di legge depositata da Giuseppe Brescia, presidente M5S della Commissione Affari Costituzionali della Camera: il sistema che ne risulterebbe sarebbe puramente proporzionale, con una soglia di sbarramento al 5%. Chiaramente, la partita che porterà all’approvazione di un determinato sistema elettorale e di una soglia di sbarramento più o meno alta avrà inevitabili ricadute sull’economia, ma sarà puramente politica e vedrà entrare in gioco la convenienza dei partiti.

Twitter @apbocconistu