Invecchiando si impara: l’età influenza il valore del tempo (e del risparmio)

scritto da il 21 Febbraio 2020

«Che cosa è dunque il tempo? Se nessuno me ne chiede, lo so bene: ma se volessi darne spiegazione a chi me ne chiede, non lo so: così, in buona fede, posso dire di sapere che se nulla passasse, non vi sarebbe il tempo passato, e se nulla sopraggiungesse, non vi sarebbe il tempo futuro, e se nulla fosse, non vi sarebbe il tempo presente. Ma in quanto ai due tempi passato e futuro, in qual modo essi sono, quando il passato, da una parte, più non è, e il futuro, dall’altra, ancora non è? In quanto poi al presente, se sempre fosse presente, e non trascorresse nel passato, non più sarebbe tempo, ma sarebbe, anzi, eternità. Se, per conseguenza, il presente per essere tempo, in tanto vi riesce, in quanto trascorre nel passato, in qual modo possiamo dire che esso sia, se per esso la vera causa di essere è solo in quanto più non sarà, tanto che, in realtà, una sola vera ragione vi è per dire che il tempo è, se non in quanto tende a non essere? […]». Agostino, Le confessioni, XI, 14 e 18, Bologna, Zanichelli, 1968, pp. 759).

Per quanto la filosofia aiuti la comprensione, la visione del tempo che scorre non è solo pensiero. A guardare la fisicità di ognuno, può essere legata al corpo o al vissuto. E nell’impatto visivo la differenza immediata è tra l’età reale e quella dimostrata. La prima ineluttabilmente anagrafica, la seconda impalpabile e soggettiva. «Conosco la mia età, posso dichiararla, ma non ci credo», scrive il grande antropologo Marc Augé per evidenziare la differenza tra il tempo e l’età. «Perché sono gli altri a dire che siamo vecchi, – sostiene nel suo libro “Il tempo senza età” – a definirci secondo luoghi comuni ma questa etichetta resta superficiale e lontana da quel che avvertiamo dentro di noi. Dunque, la vecchiaia non esiste. Certo, i corpi si logorano ma la soggettività resta, in qualche modo, fuori dal tempo. Quindi tutti muoiono giovani». Punti di vista.

Ma vero è che la percezione dello scorrere del tempo, cambia proprio con l’età. L’avanzare dell’età porta con sè la percezione del tempo che passa e scorre via più veloce. Sensazione questa mai sperimentata dai bambini e dagli adolescenti per i quali ogni nuova esperienza sembra non arrivare mai se non con estrema lentezza. Cosa accomuna bambini ed eterni adolescenti da far in modo che la loro percezione del tempo sia diversa da quella di una persona adulta? La risposta arriva da una ricerca della psicologa e giornalista Claudia Hammond. Lo studio è basato sull’analisi di un questionario contenente domande sulla percezione del tempo e compilato da 500 partecipanti di diverse età. L’analisi delle risposte ha fatto emergere dati interessanti: da un lato si è visto che le persone di tutte le età percepiscono il tempo che scorre lento su intervalli temporali brevi (ore, giorni); dall’altro, è stato dimostrato che per intervalli temporali molto lunghi (circa 10 anni) solo i soggetti di almeno 40 anni di età percepiscono il tempo che passa veloce.

La dottoressa Hammond ha ricavato da questi risultati una spiegazione neurobiologica. «La sensazione del tempo che scorre veloce – chiarisce lo studio a cui il sito “Supereva” dedica ampio spazio – è legata al funzionamento dell’ippocampo, la regione del cervello in cui vengono memorizzati gli avvenimenti. L’ippocampo registra tutte quelle che possono essere definite nuove esperienze, mentre tralascia gli eventi vissuti più volte e quindi familiari. È facile intuire, quindi, che per le persone di una certa età il tempo passa più veloce perché si vive nella routine ed è meno probabile fare nuove esperienze. I bambini e gli adolescenti hanno maggiori possibilità di imbattersi in molte prime volte. Basti pensare al primo giorno di asilo, la prima gita, il primo bacio e così via». Una realtà bambina che all’Italia sembra appartenere sempre meno. Infatti nel 2018 l’indice di vecchiaia ha raggiunto il suo massimo storico di 173,1: ogni 100 giovani ci sono dunque 173 anziani; erano 130 nel 2000 e 58 nel 1980. L’indice di dipendenza degli anziani ha raggiunto il 35,7%, ciò significa che in Italia ogni 3 persone attive ce n’è una over 65. Si tratta del valore più elevato in Europa (31%) e il secondo al mondo dopo il Giappone (46%). Una dinamica temporale che si riverbera su tutti i settori dell’economia.

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Il numero di over 65 è previsto aumentare ininterrottamente fino al 2047, quando sarà pari a quasi 20 milioni di persone, e negli anni successivi è stimata ripiegare marginalmente fino a raggiungere nel 2066 i 17,8 milioni. La quota sul totale della popolazione nazionale è vista in aumento fino al 2050 e poi stabilizzarsi intorno al 34%.

Secondo le statistiche di Confindustria e dai quotidiani economici “Tradizionalmente il perimetro della cosiddetta Silver Economy è identificato dalla quota di spesa pubblica per il capitolo “vecchiaia” (che vale circa il 27% del totale). Ma non si tiene conto della spesa privata per domanda di servizi domestici di assistenza e cura che è a carico delle famiglie e che da occupazione a circa 1,6 milioni di persone (nella veste di badanti e personale domestico). In realtà gli ambiti che compongono l’economia della terza età sono più numerosi e rappresentano una fonte importante di domanda potenziale e quindi un’opportunità per il sistema economico”. Con l’avanzare dell’età gli individui da risparmiatori netti divengono spenditori netti durante la pensione e sono in condizione di scegliere di rivedere gli investimenti immobiliari fatti in precedenza o smobilizzare le attività finanziarie per ricavarne liquidità.

Ecco che età e tempo diventano determinanti per la vita di ognuno. E se, come recita il proverbio: «Il tempo vola quando ci si diverte», anche la qualità del momento passato influisce sulla percezione temporale. Una nuova teoria sul perché accada, arriva dal professor Adrian Bejan, docente presso il Dipartimento di ingegneria meccanica e scienze dei materiali della prestigiosa Università Duke di Durham, Carolina del Nord (Stati Uniti d’America): secondo i suoi studi sarebbero i cambiamenti fisici nella nostra rete di neuroni a fornirci questa sensazione. A parlarne su Vanity Fair è un articolo di Simona Sirianni che spiega: «L’ipotesi descritta dal professore significa per dirla più semplicemente che, poiché sono proprio le immagini a scandire lo scorrere del tempo nella mente umana e il tempo percepito sarebbe in stretta relazione con il numero e la frequenza delle immagini che il nostro cervello elabora, il fatto che da anziani le immagini giungano al cervello più lentamente, potendone elaborare sempre di meno rispetto alla gioventù, conduce alla sensazione che il tempo passi più in fretta».

Di certo la sensazione che il tempo, comunque passi, non basti mai accompagna la quotidianità bambina che si dispiace della fine di un gioco, quella adolescenziale che vorrebbe vacanze eterne e quella adulta che vorrebbe fermare gli attimi che fuggono, rivivere i momenti del passato e non lasciare la vita che finisce.

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