Le conseguenze economiche del coronavirus: riecco l’helicopter money

scritto da il 12 Marzo 2020

Post di Diego Bolchini, analista, docente di analisi delle informazioni per la sicurezza presso l’Università di Firenze in sinergia con la PCM –

101 anni dopo la pubblicazione del celebre testo sulle conseguenze economiche della pace di John Maynard Keynes, all’epoca dimissionario dall’incarico di rappresentante alla Conferenza di pace di Versailles (1919), nuove nubi si addensano sull’Europa. Esse non sono più correlate a questioni di frontiere e di sovranità post-bellica, ma a sanità pubblica e circolazione economica.

In attesa dell’onda lunga della crisi /recessione – per l’Italia e per l’Europa – correlata al coronavirus, attesa da alcuni già dall’estate 2020, appare utile partire da due considerazioni preliminari:

– a livello macro-economico una Nazione – cosi come un’area monetaria comune (sia essa ottimale o meno, con buona pace dell’economista canadese Robert Mundell, padre fondatore del concetto) è attraversata da centinaia di linee di business del tutto diverse tra di loro. Pertanto – come ricordato dall’economista Paul Krugman – essa andrebbe gestita secondo principi generali comuni/coerenti, guardando alla molteplicità dei settori, e non attraverso strategie specifiche, talora diversificate, come potrebbe fare il CEO di una azienda;

– in senso teorico-concettuale, secondo il noto approccio keynesiano alla teoria economica, sappiamo che è la domanda che “traina” produzione e offerta (di beni e servizi), al contrario della legge neoclassica di Jean Baptiste Say per la quale era l’offerta a generare sempre e comunque la domanda corrispondente.

Sotto questi presupposti, per un Paese come l’Italia e per un’area come quella dell’Europa è necessario ri-considerare oggi il valore di un pieno e libero utilizzo delle leve di politica fiscale, con ruolo attivo dello Stato nell’economia, avendo particolarmente riguardo del public spending (il noto “G” in letteratura economica anglosassone). Detto in altri termini, la “mano pubblica” dovrebbe poter lavorare liberamente, quando la cosiddetta “mano invisibile” appare spaventata, smarrita, evanescente o non rintracciabile dietro la saracinesca chiusa di un esercizio commerciale.

In questo senso, in quadro congiunturale totalmente mutato da quanto fu firmato nel 1997 il Patto di Stabilità, l’Europa dovrebbe poter lasciare adeguati margini di flessibilità fiscale e di deficit pubblico sufficienti, pur traguardando all’importanza dell’accordo sul nuovo bilancio del 2021-2027. Incoraggiante in questo senso quanto espresso dall’attuale Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, tratteggiando il suo bilancio dei primi 100 giorni di attività.

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Ciò in quanto la politica fiscale è strettamente interrelata al bilancio dello Stato ed è per definizione espansiva in fase di recessione e restrittiva in fase di espansione (anticiclica). Un G “puro”, un intervento diretto su infrastrutture e acquisti di ordini dalle aziende potrà dare ossigeno al complesso e rilevante sistema di PMI nazionali ed europee, se si considera che micro, piccole e medie imprese (MPMI) costituiscono oltre il 95% del tessuto imprenditoriale dell’Unione Europea. Salvaguardare il tessuto industriale è inoltre fondamentale non solo nel breve ma anche nel lungo periodo, per non fare perdere nel medio periodo posizioni competitive già acquisite.

Parallelamente, quando la casa comune europea rischia di bruciare, con consapevolezza trasversale potrebbero essere potenziati anche strumenti di politica monetaria non convenzionali quali credit easing (con stimoli alle banche affinché prestino danaro), forward guidance (laddove l’intenzionalità vale se si ha credibilità) e magari provare anche misure estreme come l’helicopter money (ovvero l’elicottero monetario) per come preconizzato da Milton Friedman, laddove la banca centrale trasferirebbe direttamente reddito a “pioggia” ai cittadini. Una misura, questa, che era stata considerata a suo tempo interessante anche dall’ex Presidente della BCE Mario Draghi.

In questa prospettiva, l’antico ma ancora importante pensiero di J.M. Keynes e di Milton Friedman, combinato e armonizzato in modo nuovo, potrà forse aiutare a far ripartire l’Europa e l’Italia al tempo incerto del coronavirus. Evitando in tal modo drammi da contabilità europea asettica, priva di un disegno etico-valoriale superiore e complessivo e di una global governance adeguata che la guidi ex ante.