Dalla peste nera al coronavirus, il risveglio traumatico del finanziere

scritto da il 17 Marzo 2020

Era da solo.

Completamente da solo.

Non era andato in quel paesino sul mare altrimenti.

Doveva staccare. Staccare completamente.

E non lo faceva per sé stesso. Anzi. Fosse stato per lui avrebbe continuato a correre.

Aggredire la vita a morsi. Era il suo motto. Dentro di lui c’era un’impronta felina. Così diceva. Ed è quello che piaceva raccontare a sè stesso.

Ma non sarebbe servito adesso. Nessuna voce lo avrebbe salvato. Perché era inciampato letteralmente nel mare.

Nel profondo mare.

Ed era in apnea ora. Non poteva respirare.

Era un finanziere. Un gestore di fondi. Rispettabilissimo e aveva circa 50 anni.

E no. Non era tanto in forma. Non come sarebbe stato dipinto da un film americano.

Brizzolato. Testosterone a palla. Palestra. E così via.

No.

Era sottile e lungo ma aveva anche la pancetta. Insomma, non era proprio un bello spettacolo.

Ma della sua vita e del suo aspetto fisico poco ci interessa.

Più che altro fa riflettere il perché, ai tempi del Coronavirus, un gestore italiano si sarebbe dovuto incamminare verso una spiaggia deserta. Alle due di notte. Senza che alcuna luce che gli facesse compagnia. Nessun riflesso. Neanche della luna. Talmente timida da nascondersi dietro le nuvole.

Perché un felino come lui doveva addentrarsi nel buio più profondo?

Cosa cercava?  Perché saltellare sugli scogli? E a quell’ora?

Ma il pericolo, affrontare i pericoli, era quello che lo teneva in vita. Anche questo diceva.

Andiamo con ordine.

In Italia era scoppiata un’epidemia. Un nemico invisibile da combattere. Irriconoscibile. Che si sarebbe potuto nascondere ovunque. Gli alleati? Quali?

Ognuno sarebbe potuto essere portatore del famigerato virus. Erano tutti potenzialmente nemici. E bisognava stare da soli. Lo diceva il Governo. Lo dicevano tutti.

E nel mentre si incamminava lungo la spiaggia il nostro gestore aveva in testa solo numeri.

L’indice Italiano che crollava di oltre il 40%. Non era mai successo tanto velocemente. E gli indici delle azioni europee. E poi quelle americane. Che ballavano. Ballavano e non si fermavano. Su e giù. Altro che giostre.

Aveva pensato, giustamente, di proteggersi acquistando oro. Eppure anche quello era crollato.

Le valute erano impazzite. E il suo telefono aveva smesso di funzionare. Scarico. Esausto.

Era stato inondato dalle chiamate dei suoi soci. Dei suoi amici. Dei suoi clienti. Tutti gli facevano domande e lui non aveva risposte. Come faceva ad averle? Chi le aveva? Ebbero il coraggio di chiedergli anche perché il Bitcoin avesse potuto perdere il 50%. Non era l’oro 2.0?

E il petrolio? Per non parlare del petrolio. Sceso del 30% in una notte. Non riusciva ancora a crederci.

“Miliardi e miliardi bruciati dalle Borse”. Era il telegiornale della sera e lui non se ne curava.

“I soldi passano semplicemente di mano” si diceva tra sé e sé. E si domandava: “Come fanno questa volta a tenere in piedi l’economia? Cosa si inventeranno le banche centrali? Hanno molto meno margini di manovra e in Europa già abbiamo i tassi di interesse a zero.”

Ma il nostro gestore era un appassionato di storia. Di storia economica in verità. Aveva studiato per filo e per segno tutte le bolle finanziarie. Dai babilonesi in poi. Era un appassionato di bolle eppure questa volta aveva fatto un buco nell’acqua. Perché non credeva che le banche centrali avessero abbandonato il mercato. Proprio adesso. No. Non riusciva ad accettarlo.

Si ricordava però di un lavoro della Bank of England. Un lungo paper che esaminava le ripercussioni di 800 anni di declino dei tassi di interessi. Il grafico è questo.

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Fu proprio una pandemia. La famosa e terribile peste nera a portare ad un fortissimo taglio dei tassi di interesse nel Medioevo. Qui parliamo di quasi 800 anni fa. Da quel periodo in poi i tassi di interesse sono continuamente scesi. E non sempre però, la crescita tornava rapidamente a seguito dei tagli, tante volte succedeva invece l’opposto.

Il nostro amico più andava a fondo, più leggeva il paper e tanto più si confondeva.

Perché?

Perché non era più in grado di avere una visione del futuro. Del breve termine e tanto più del medio e lungo termine. Quel qualcosa che si portava dietro da giovane. Quella sorta di fiuto. Quell’intuito che lo aveva portato a scalare una parte della vetta lo aveva abbandonato.

Il felino non riusciva più ad osservare la luce nel buio. E infatti, proprio per questo, la stava cercando. Quella luce.

Cosa sarebbe successo se le banche centrali avessero – a breve – cominciato ad offrire tassi negativi?

E come avrebbe reagito il mercato?

Continuava a chiederselo e più se lo chiedeva quanto più le sue idee diventavano sfocate. Esse sparivano continuamente. Si combinavano e ricombinavano ma non partorivano nulla di sensato.

La Fed i giorni scorsi, infatti, a causa del coronavirus, aveva tagliato di colpo i tassi di 1 punto eppure il mercato era entrato nel panico.

Nessun agente economico consumerà di più o investirà di più a causa di un taglio dei tassi. Le banche non presteranno di più in presenza di uno shock sul lato dell’offerta e ancor meno in presenza di tassi più bassi. Con $14.000 miliardi in obbligazioni a rendimento negativo e $81.000 miliardi nell’offerta di moneta globale, la combinazione di un calo dei prezzi degli asset indotto dal panico e investitori che rimangono appesi potrebbe rappresentare uno shock finanziario tale da innescare la correzione di cui i mercati hanno tanto bisogno.”

Le parole del suo amico Francesco gli risuonavano nella testa come tamburi.

E il nostro gestore nel frattempo si chiedeva, qualora le banche centrali avessero adottato misure ancor più accomodanti, se queste avessero potuto gestire il panico dettato da un virus.

Perché non era più un problema finanziario, esso diventava psicologico. Puramente psicologico e sanitario.

“Anche se avessi più soldi cosa potrei comprare adesso? Cosa ci fai con una macchina nuova o con una villa enorme se il tuo primo pensiero è sopravvivere? Il lusso? Cosa è il lusso di questi tempi?”

Sì. La sua visione diventava sempre più chiara. Sembravano essere le “giuste” domande. Sembrava a tratti che riuscisse a vederci anche meglio. Nonostante avesse un difetto alla vista che si portava dietro fin da bambino.

Vedeva sfocato. Non sempre. Ma spesso sì.

Il mercato azionario qualche ora prima dell’incidente chiudeva con forti guadagni. Ok. Aveva subito perdite inimmaginabili prima ma un rimbalzo così non accadeva da più di 11 anni. 11 lunghissimi anni che avevano fatto del nostro gestore un uomo ricco e stimato.

Trump aveva parlato. E aveva rassicurato gli Americani.

Erano sì in emergenza. Ma l’America era l’America e avrebbe gestito con sicurezza e con i metodi più innovativi sia il riconoscimento che la diffusione del virus.

Lo show era terminato da un bel po’ e il nostro amico però stava annegando.

Non gli interessava più niente se non sopravvivere.

Ma ad un tratto si ricordò di una cosa bizzarra. Di un numero. Non gli aveva dato troppo peso con tutto quello che era successo. Eppure bussava continuamente alla porta. Della sua mente. Mica lo abbandonava.

Tether, la criptovaluta, o meglio,  la prima stablecoin, che doveva essere completamente agganciata al valore del dollaro 1:1 in questi giorni di crisi valeva meno di 1 dollaro. E mica di poco. A tratti valeva anche 5% di meno. I famosi tassi negativi. Tutto tornava.

Se solo avesse avuto il coraggio.

Comprare con dollari una valuta che somigliasse ai dollari. Senza alcuna garanzia.

E si stava accorgendo, solo ora, che era tutto simbolo.

E che la finanza non era che un’amplificazione della realtà. Che era fatta in gran parte di simboli. Di inganni. E di emozioni.

“Perché il mercato sale lentamente ma crolla velocemente?” Glielo aveva chiesto un giornalista qualche giorno prima. Era sicuro della sua risposta. Era banale. Aveva replicato senza neanche un sospiro.

Ma non riusciva a chiedersi perché stesse crollando lentamente in quel preciso momento.

Una decrescita. Neanche tanto felice. E senza respiro.

Twitter @simeoneantonio1