Il ricatto del debito, nato con la “Milano da bere”, quando “la nave andava”

scritto da il 23 Marzo 2020

In questi giorni tristi, pieni di angoscia, la classe dirigente deve agire nel più breve tempo possibile e guardare oltre la siepe. Usciremo dalle tenebre, prima o poi. Come scriveva Victor Hugo, “ogni uomo nella sua notte se ne va verso la luce”.

La politica monetaria può alleviare i problemi – la Fed e la Bce ce la metteranno tutta con politiche monetarie non convenzionali – ma non può certo risolverli. Tocca alla politica fiscale, ai governi, che sono costretti, questa volta per buone ragioni, a fare ricorso a dosi massicce di debito. Come ha detto a Beda Romano sul Sole 24 Ore il commissario Ue Paolo Gentiloni, “di fronte a una crisi senza precedenti, adottiamo misure senza precedenti”. Il debito però, un giorno, dovrà essere rimborsato. E meno male che i tassi di interesse sono a minimi storici in tutto il mondo. E sempre Gentiloni rimarca che “siamo tutti consapevoli della necessità nel medio termine di mettere la curva del debito su una traiettoria gradualmente discendente. Con un rapporto debito/pil sopra sopra il 133%, andremo certamente in zona 150%, sia per il calo del pil che per l’aumento del debito”. Ma il “ricatto” del debito permarrà a meno di interventi drastici.

Allora è opportuno ricordare ai sognatori, alle anime belle della “Milano da bere”, ai retrotopisti (dalla retrotopia di Bauman, insomma, i nostalgici) degli anni Settanta e Ottanta, che in quegli anni il debito pubblico, con stabilità politica e crescita economica mondiale, è volato dal 30% al 90% del Pil. Il «partito della spesa» (Guido Carli, cit.) nel corso della storia ha continuato a spingere sulla spesa pubblica corrente perché così aumentava il proprio consenso, vinceva le elezioni e al contempo favoriva il discredito verso il settore pubblico, che era una ulteriore concessione agli evasori, i quali potevano fare leva e trovare alibi sugli sprechi per evitare di pagare il dovuto. Il deficit aumentava per il pubblico e la ricchezza degli italiani cresceva. “La nave andava” (Bettino Craxi, cit.)? Sì, certo, grazie a svalutazioni continue della liretta e a dosi sconfinate di eroina di debito pubblico. Ancora c’è gente che rivuole la lira! Illusi e ingenui. Pensate con questo casino, cosa sarebbe successo al nostro debito denominato il lire italiane? Saremmo già che belli in default, senza gli aiuti europei.

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L’Italia non ha voluto far fatica, non ha voluto agire con sobrietà e rigore. Ha preferito soluzioni magiche che rimandavano nel tempo i colli di bottiglia, che non affrontavano il tema chiave della dimensione d’impresa limitata abbinata alla bassa produttività.

Nel volume recente “La strada smarrita” di Gianni Toniolo e Carlo Bastasin si analizza l’occasione perduta del periodo 1995-2007 e si legge: “Si ridusse considerevolmente il peso della grande impresa, pubblica e privata, che, nei suoi esempi migliori, era stata veicolo di ricerca e sviluppo anche per le imprese minori”. Nel quadro di progresso tecnologico e apertura dei mercati internazionali, alcuni dei mali antichi mai radicalmente affrontati frenarono la crescita: “La piccola dimensione media delle imprese, la gestione poco efficiente e trasparente delle imprese stesse, lo scarso grado di concorrenza nel mercato interno dei servizi, il forte dualismo territoriale e il livello relativamente basso dell’istruzione media…Infine, l’elevato livello di debito pubblico divenne un elemento di instabilità e incertezza che influì negativamente sulla dinamica degli investimenti”.

Quando lo straordinario maestro del giornalismo sportivo Gianni Mura – gli sia lieve la terra – chiese a Marco Pantani “Perché vai così forte in salita”, Pantadattilo rispose: “Per abbreviare la mia agonia”. Ecco, gli italiani, leggendo a loro favore Keynes (che invitava a ricorrere al debito solo in periodi avversi), hanno votato una politica favorevole al debito pubblico e non l’“agonia” della serietà, della crescita senza droghe sintetiche.

Gli italiani, in media, sono ricchi. Nelle ricerche della Banca d’Italia sulla ricchezza delle famiglie italiane emerge come il rapporto tra ricchezza e reddito sia superiore agli altri Paesi UE e agli Stati Uniti. Mentre lo Stato è povero. È pacifico che debito pubblico e ricchezza privata siano fenomeni collegati. Un bilancio in pareggio, sia che fosse stato realizzato con una minore spesa per servizi o con più tasse, avrebbe sottratto risorse alle famiglie per l’accumulazione.

Una priorità. Da subito. Sarà necessario formare una task force, diretta da Carlo Cottarelli, con pieni poteri diretti a sforbiciare in modo serio la spesa corrente (che supera oggi gli 800 miliardi di euro l’anno). Dobbiamo uscire dall’essere un “Paese provvisorio”, come vaticinato dal grande Edmondo Berselli. Siamo bravi nell’emergenza. Dobbiamo essere seri anche nei periodi ordinari.

Twitter @beniapiccone