Un Paese diviso e il furto intergenerazionale della lobby dei pensionati

scritto da il 05 Aprile 2020

Post di Fabrizio Ferrari (MSc Economics presso l’Università Cattolica, stagista al Servizio Studi di UbiBanca) e Pietro Mistura (Junior Economist presso Osservatorio CPI dell’università Cattolica di Milano) – 

Da quando è scoppiata l’epidemia di Covid-19, si sono susseguite diverse critiche circa le scelte di politica fiscale italiana degli ultimi anni, colpevoli di aver tagliato la spesa sanitaria. Ci siamo dunque chiesti: sarebbe stato possibile destinare più risorse alla spesa sanitaria? E, in caso affermativo, dove si sarebbero potute trovare tali risorse?

Per dare una risposta a queste domande, è utile confrontare l’andamento delle scelte di politica fiscale italiana con quelle di altri paesi analoghi. E, dal momento che la prima voce di spesa pubblica in Italia è rappresentata dalle pensioni (con 276 miliardi su 868 di spesa nel 2019) [1], un confronto interessante può essere svolto con due paesi dalla struttura demografica simile alla nostra, come Germania e Giappone [2].

Infatti, come mostrato in Figura 1, al 2018 la Germania ha una percentuale di anziani (over-65) in rapporto alla popolazione del tutto analoga a quella italiana, mentre il Giappone è invece un paese ancora più vecchio. I tre paesi presentavano percentuali di anziani molto simili nel 2000, e sono poi andati incontro ad ulteriori fenomeni di invecchiamento – particolarmente pronunciati nel caso giapponese.

Figura 1: % Popolazione sopra i 65 anni (DEU, ITA, JAP). OECD (2020), Elderly population (indicator). doi: 10.1787/8d805ea1-en (Accessed on 31 March 2020)

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A questo punto, sarebbe lecito aspettarsi una congruenza tra l’invecchiamento della popolazione e la percentuale di reddito nazionale (Pil) trasferita agli anziani. Tuttavia, come mostra la Figura 2, non è questo il caso: tra il 2000 e il 2015, in Germania e in Giappone la quota di over-65 è aumentata rispettivamente del 4,6 per cento e del 9,2 per cento, mentre la spesa pensionistica in rapporto al Pil è calata dello 0,7 per cento per la Germania, mentre è cresciuta del 2,4 per cento per il Giappone. In Italia, invece, a un incremento della quota di over-65 pari al 3,6 per cento – inferiore a quello tedesco e di gran lunga inferiore a quello giapponese – è corrisposto un aumento del trasferimento pensionistico in rapporto al Pil pari al 2,7 per cento (superiore sia a quello tedesco, sia a quello giapponese). Inoltre, mentre in tutti gli anni considerati Germania e Giappone presentavano percentuali di spesa pensionistica sul Pil tra il 7 e l’11 per cento, l’Italia ha sempre speso in pensioni dal 13,4 per cento del 2000 al 16,2 per cento nel 2015.

Figura 2: Spesa per pensioni di vecchiaia e superstiti, % del PIL, (DEU, ITA, JAP). OECD (2020), Pension spending (indicator). doi: 10.1787/a041f4ef-en (Accessed on 31 March 2020)

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E nel medesimo intervallo temporale (2000 – 2015), quali scelte di politica fiscale sono state attuate dai tre paesi in merito all’allocazione di risorse pubbliche alla sanità? Come mostra la Figura 3, l’andamento della spesa pubblica sanitaria in rapporto al Pil ha espresso un incremento omogeneo in Giappone e in Germania, mentre è cresciuto molto meno in Italia. La Germania, che già nel 2000 spendeva il 7,7 per cento del Pil in sanità, ha incrementato dell’1,6 per cento la quota di Pil ad essa destinata (2015). Giappone e Italia, che partivano nel 2000 da livelli analoghi di spesa sanitaria in percentuale al Pil, hanno espresso dinamiche divergenti: il Giappone è passato dal 5,8 per cento del 2000 al 9,2 per cento del 2015 – assestandosi su un livello analogo a quello tedesco – mentre l’Italia ha incrementato la sua spesa sanitaria dell’1,2 per cento, passando dal 5,5 del 2000 al 6,7 per cento del 2015 – dunque ben al di sotto della quota giapponese e tedesca.

Figura 3: Spesa pubblica in sanità, % del PIL, (DEU, ITA, JAP). OECD (2020), Health spending (indicator). doi: 10.1787/8643de7e-en (Accessed on 01 April 2020)

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Ma da dove viene questa peculiarità italiana nel sovra-finanziamento del sistema pensionistico a scapito – tra le altre voci di spesa – di quello sanitario? La Figura 4 fornisce una prima risposta: l’Italia non solo garantisce trasferimenti pensionistici sproporzionati rispetto al reddito se confrontati con quelli di Germania e Giappone (1,77 volte il rapporto tedesco, 2,5 volte il rapporto giapponese), ma è anche l’unico dei tre paesi che ha considerevolmente incrementato tale rapporto negli anni tra il 2014 ed il 2018 – portando l’assegno pensionistico medio dall’80 al 92 per cento del salario medio.

Figura 4: Assegno pensionistico medio in % della retribuzione lavorativa media, (DEU, ITA, JAP), OECD (2020), Net pension replacement rates (indicator). doi: 10.1787/4b03f028-en (Accessed on 01 April 2020).

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A ciò si aggiunga che l’Italia è il paese (tra i tre considerati) in cui un pensionato incide per più tempo sulla finanza pubblica. Difatti, in media, un uomo in Italia esce dal mercato del lavoro a 63,3 anni, con un’aspettativa di vita residua pari a 20,7 anni; al contrario, in Giappone e Germania lo stesso uomo è in grado di ritirarsi rispettivamente a 70,8 e 64 anni, con aspettativa di vita residua pari rispettivamente a 15,5 e 19,1 anni.[3]

In conclusione, le scelte di politica fiscale sono scelte, per l’appunto, politiche, e vedono uno scontro tra gruppi di interesse per spartirsi risorse finite e limitate. In particolare, per un paese come l’Italia che presenta una spesa pubblica pari al 48,7 per cento del Pil e una pressione fiscale al 42,4 per cento, si devono accettare alcuni trade-off. O si decide di aumentare la tassazione – e con le maggiori risorse aumentare la spesa sanitaria – oppure si è di fronte al tanto a lungo ignorato problema di vincolo di bilancio – e quindi a vantaggio di una missione ne deve essere sacrificata un’altra. Proprio da quest’ultima considerazione è evidente come la scelta di avvantaggiare la spesa pensionistica a discapito di altre allocazioni abbia prevalso.

È dunque impossibile non accorgersi di un conflitto sociale che, almeno in Italia, non assume più la classica forma novecentesca di conflitto tra classi o tra nazioni, ma piuttosto si sostanzia in un palese conflitto intergenerazionale – che vede una lobby, quella dei pensionati, privilegiata a scapito del resto del paese.

 

Twitter @Fabriziofer1994 @Pietromistura

NOTE

1] Si veda Nadef 2019, pag. 42. 

2] Tutti i dati presentati da qui in avanti sono estratti da https://data.oecd.org/. Pertanto, potrebbe esservi qualche leggera discrepanza con i dati ISTAT, INPS, RGS, ecc.; inoltre, non tutte le serie arrivano fino ai dati più recenti coperti dalla contabilità nazionale italiana. 

3] Si veda Pensions at a Glance, OECD, 2019, pag. 181.