Care aziende, se volete fare business preparatevi alla guerra

scritto da il 27 Aprile 2020

L’autore di questo post, Silvano Joly, è in Centric Software dal 2016. Ha ricoperto posizioni di sales leadership presso Innovation leaders come PTC, Reply, Sap e Dassault Systemes. Oltre che con grandi società ha lavorato con Aziende pre-IPO, start up e collabora con varie università italiane. Mentore pro-bono di start-up high-tech è da sempre amico della Piccola Casa della Provvidenza (Cottolengo), il più antico istituto dedicato all’assistenza di persone con gravi disabilità

Si vis pacem, para bellum deriva dalla frase Qui desiderat pacem, praeparet bellum, (Chi aspira alla pace, prepari la guerra) che Publio Vegezio Renato menziona nella sua “Epitoma Rei Militaris”. Pare che l’autore non fosse un generale ma un veterinario, tuttavia la sentenza è diventata di uso comune sia in ambito militare che politico, è citata già nel “Principe” di Machiavelli e poi in tanti studi per sancire i principi di deterrenza e di dissuasione, ovvero che la costituzione di un apparato militare potente, superiore o pari a quello nemico, è il modo migliore per stabilire equilibrio tra potenze o ancora meglio per vincere una guerra, senza nemmeno combatterla.

Il principio di Vegezio, poi ripreso da Cicerone, Napoleone, nei fumetti e dal cinema, ha trovato il suo apice nella Guerra Fredda, di fatto non combattuta, non basata su un patto di non aggressione ma sventata grazie alla parità di armi offensive che è stata mantenuta con il più grande sforzo bellico e logistico, con giganteschi investimenti e colossale dispiegamento di risorse da parte di entrambe i contendenti.

Sinora questo modello non è stato adottato nelle questioni di business e di politica economica. Le aziende si sono date strategie basate sul valore competitivo, la velocità operativa, l’efficienza produttiva, l’unicità dell’offerta. Il Vegezio dell’economia politica, Adam Smith, si è “accontentato” del Liberismo e quello dei tempi moderni è stato probabilmente Michael Porter, che negli anni ’80 ha teorizzato il modello delle Forze Competitive, per capire la validità di offerta e strategia aziendale attraverso lo studio del mondo esterno e dei suoi players, ovvero:

– Clienti: che siano B2B o B2C, bisogna sapere come decidono, quanto sono disposti a pagare, che abitudini hanno.

– Partner e Fornitori: vanno individuati, sia di materie prime, che di sottosistemi, semilavorati o di servizi collegati e utili alla propria proposta.

– Concorrenti: quanti sono, costano meno o sono più cari, sono paragonabili o equivalenti in termini di tempi di approvvigionamento, qualità, resa operativa.

– Produttori sostitutivi: i player che hanno prodotti o servizi diversi dal mio ma possono comunque soddisfare l’esigenza del mio cliente/consumatore.

– New Entries: coloro i quali potrebbero entrare nel mio mercato ex novo, creando una nuova linea di business, acquisendo o alleandosi con Concorrenti.
schermata-2020-04-26-alle-16-57-54Il modello delle 5 Forze di Michael Porter

Porter teorizzò questo modello, divenuto di riferimento, nel 1982 e con esso migliaia di Aziende e di Dirigenti hanno potuto “capirsi”, mettere a fuoco la propria posizione competitiva, scrivere business plan, definire decisioni strategiche avendo chiaro come comportarsi nei confronti di queste 5 forze. Nel framework di Porter la capacità di un’azienda di ottenere risultati superiori alla media dipende solo dall’abilità di posizionarsi sul Mercato e di esprimere il proprio Vantaggio Competitivo.

Oggi questo modello appare spuntato se non del tutto esaurito. In questo periodo, una delle Forze è la paura di un Virus e quindi della morte. Ad essa si aggiunge contrapposta un’altra paura: quella di un trend recessivo che ucciderà l’economia ed alcuni suoi comparti. Sembra certo che i primi Morituri saranno le compagnie aeree, quelle navali/crocieristiche ed a seguire tante altre che si basavano sull’incontro tra persone. La Social Distancing li ha messi fuori mercato almeno per un anno, forse di più…

In parte Michael Porter aveva anticipato una situazione simile nell’altro suo libro The Competitive Advantage of Nations scritto nel 1990, teorizzando il Diamante del Vantaggio Nazionale, dove l’analisi del Vantaggio Competitivo viene affrontata a livello Nazionale e aggiungendo elementi esterni e imprevedibili come il Caso, le Condizioni dei fattori, il Governo.

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I Pilastri del Diamante del Vantaggio Nazionale

Per sostenere la tesi, Porter ha esaminato aziende di eccellenza operanti nello stesso settore ma in nazioni diverse e studiato quali fossero i fattori chiave di successo o critici:

– il Governo, che con le sue politiche può aiutare o frenare lo sviluppo,

– i settori industriali correlati e di supporto, che se avanzati agevolano la crescita,
le condizioni della domanda, stimolante, statica eccetera,

– i fattori locali, le risorse naturali e/o le infrastrutture presenti nello Stato,

– i settori industriali correlati e di supporto, che se particolarmente avanzati partecipano attivamente all’innovazione, stimolandola,

il CASO, ad esempio un attacco terroristico o – appunto – una pandemia…

Curioso che Porter nel suo libro portò ad esempio proprio il Sistema Moda Italiano oggi così sofferente, constatando come il nostro paese esperto della bella vita avesse creato una domanda locale di alto livello, che le Aziende avevano soddisfatto, i Distretti realizzati per filiere, che il Governo aveva aiutato con incentivi all’export… creando l’ecosistema ideale per Luxottica, Benetton, Bulgari, Moncler e per altri come Macron, Karposs o Golden Goose, partiti dall’Italia e diventati brand internazionali.

Oggi il Diamante di Porter ritrova grande attualità con l’imprevedibile Cigno Nero del Covid19, il “Caso” che rende importantissimo quanto faranno i Governi, come reagiranno i Consumatori locali, come le infrastrutture – intendendo anche Sindacati, Confederazioni Industriali, Organizzazioni di Settore – cambieranno, aiutando o meno la ripresa. Forse dovremo ripartire pressappoco da zero, per citare Tacito: Desertum fecerunt et pacem appellaverunt. Hanno fatto il deserto e lo chiamano Pace. Ci ritroveremo presto “in salute”, guariti dal Covid ma con un mondo da ricostruire. Infatti, la minaccia del virus sembra calare, forse stiamo uscendo dalle pagine di 1984, ed arriva il momento dei piani, il Governo dovrà fare la sua parte e Imprenditori e Capi Azienda pensare a piani di azione.

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L’Italia in quarantena secondo Riccardo Manzotti

Giornali e web già pullulano di idee, programmi, proposte. Pensando alle Teorie di Porter ed al nuovo mantra Si vis Business, Para Bellum ne ho scelti alcuni che immaginano un ritorno alla normalità, attraverso nuovi paradigmi di Vita e Business. Dev Ittycheria, software executive e venture capitalist oggi CEO of MongoDB, ha pensato che “tutti noi affrontiamo il lavoro in un ambiente mai sperimentato prima, occorre quindi che i leader di tutto il mondo rivedano le loro pratiche, ri-focalizzino i team bilanciando le esigenze dei dipendenti e quelle del business” ed ha posto 5 domande ai suoi i manager pubblicando la sintesi delle loro risposte su LinkedIn. Le riassumo: 1. Are my people ok? Curati dei tuoi colleghi e collaboratori, conosci le loro esigenze e diversità e diventa un manager “case by case”. 2. Am I clear on how my team needs to adapt? La vita è cambiata, quanto azienda ed organizzazione sono pronte a farlo? Dai al tuo Team informazioni chiare ed utili. 3. Do I have control over my part of the business? Vanno rivisti tutti gli elementi, i piani di assunzione e di spesa per ridurre al minimo le brutte sorprese di fine anno fiscale. 4. Is my team super clear on what their priorities are? La mancanza di chiarezza è peggio del Covid, una squadra deve sapere su cosa concentrarsi. Un buon test è chiedere se il loro calendario riflette le loro priorità. 5. Am I doing enough to recognize the good work of my team? Le persone che lavorano da casa continuano a meritare lode e riconoscimento. Distribuisci elogi e riconosci il loro buon lavoro.

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Dev Ittycheria

Molto interessante anche il piano di Andrea Ruscica, presidente di Altea Federation, società di Consulenza Italiana che da oltre 25 anni promuove innovazione e tecnologia applicandole ai modelli di business; anche lui ha scelto Linkedin per parlare del passaggio epocale dallo smart-working alla trasformazione future-ready verso il nuovo concetto di Interactive Organization. Andrea cita Joi Ito, imprenditore Giapponese e direttore dei MIT LAB: Bussola batte Mappa, ovvero serve a poco una mappa dettagliata in uno scenario volatile e dinamico, meglio una buona bussola e dei punti di riferimento precisi e poi Forbes, che descrive “la rivoluzione del retail” con un singolo numero: “il 75% di chi ha comprato on line nell’ultimo mese non lo aveva mai fatto prima”. Secondo Ruscica, i momenti di crisi danno slancio e accelerazione allo sviluppo di nuove idee, alla disruption, all’accorpamento delle filiere produttive e distributive, al ridisegno di supply chain e value chain.

Ma come può un’azienda, un’organizzazione, trasformare il proprio business ora e cogliere lo slancio di questa disruption? Occorre agire in equilibrio tra INCERTEZZA e VELOCITÀ. Più abbiamo l’illusione di conoscere le dinamiche del sistema maggiore è l’instabilità dello stesso, più sono importanti e strategiche le decisioni, meno tempo abbiamo. Andrea Ruscica spiega poi che il prodotto di queste due variabili, INCERTEZZA x VELOCITÀ, genera CAOS. E che se lo superiamo, riusciamo a vedere lo spazio delle opportunità che nascono in questo stadio e possiamo provare la gioia, la bellezza e la libertà di sperimentare. Secondo Andrea e Altea Federation, la soluzione è rendere le aziende interactive organization, dove i processi aziendali cambiano scenario di riferimento, vivono all’interno di uno schermo, in un lockdown anche di relazioni personali, ma dove si possono superare questi limiti, grazie a un sapiente uso delle tecnologie di collaborazione e modelli organizzativi interattivi, distribuiti e future-ready.

schermata-2020-04-26-alle-17-14-27Andrea Ruscica – Joi Ito

Infine, va menzionata la lettera di Armani al mondo della Moda dove Re Giorgio, a metà tra il messianico e le brioches di Maria Antonietta, dichiara semplicemente “Io non voglio più lavorare così, è immorale. È tempo di togliere il superfluo e ridefinire i tempi”. Una dichiarazione impegnativa alla fine di un mese di marzo nel quale tutte le industrie, e in particolare quella della Moda, hanno visto azzerare i fatturati, bloccare la merce nei negozi chiusi fino a maggio e stimare il fatturato a -50% nel 2020. Ma tutto si concede ad un Re, che è stato il primo a far sfilare a porte chiuse a Milano e propone di abolire “le sfilate in giro per il mondo… spettacoli grandiosi che oggi si rivelano per quel che sono: inappropriati, e voglio dire anche volgari.”

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Giorgio Armani 

Si potrebbe dirla una provocazione, ma questo è invece un piano anzi la Vision Para Bellum di chi ha pure il merito di aver avuto 11 milioni di accessi ad una video-sfilata che avrebbe visto appena 1.000 partecipanti fisici, di aver donato 2 milioni di euro agli ospedali e aver chiesto a tutti i suoi stabilimenti di produrre camici per medici e infermieri. Quindi #madeinitalymustgoon, presto potremmo smettere di fare camici e mascherine e bisognerà ripartire. Meglio essere pronti: Si Vis Business Para Bellum.

Twitter @sjoly_ita