Così il coronavirus fa impennare la povertà globale

scritto da il 06 Maggio 2020

Ormai avviata la fase 2, è tempo per l’Italia e il mondo intero di fare i conti con i contraccolpi economici della pandemia di coronavirus. Lo shock non ha precedenti: lo afferma nel World Economic Outlook trimestrale il Fondo monetario internazionale, prevedendo la caduta peggiore dalla Grande Depressione del 1929. Uno tsunami in grado di ribaltare le previsioni di gennaio, quando la crescita globale era stimata al 3,3% nel 2020, e di rilanciare l’ipotesi che il coronavirus apra spiragli su un drastico aumento della povertà su scala mondiale.

Al momento la torsione è più che evidente, con un calo del Pil globale attestato al 3%. Un totale di 9mila miliardi di dollari che potrebbero andare in fumo tra il 2020 e il 2021, una quantità “più grande delle economie di Giappone e Germania”, fa notare Gita Gopinath, capo economista del Fondo Monetario internazionale.

Il rischio che la crisi da covid-19 impatti sulla povertà a livello globale è suffragato dalle previsioni di Oxfam. Il rapporto “Dignità, non miseria” – redatto a partire dalle analisi del World Institute for Development Economics Research (WUDER) dell’Università delle Nazioni Unite e dei ricercatori del King’s College di Londra e della Australian National University – calcola che mezzo miliardo di persone potrebbero cadere sotto la soglia di indigenza dei 5,50 dollari al giorno, considerando lo scenario plumbeo di una contrazione del 20%. Drammatiche anche le previsioni della Banca mondiale, che nel proprio rapporto utilizza l’indice di povertà di 1,90 dollari al giorno e stima che saranno 49 milioni le persone che rimpolperanno i numeri della povertà estrema a fronte di una contrazione della produzione mondiale del 3%.

A invertirsi, dunque, anche il trend sull’indigenza globale (grafico 1), costantemente in diminuzione dal 1990 al 2015, fatta eccezione per il lieve incremento (in valore assoluto) registratosi in corrispondenza della crisi asiatica del 1998. Il rischio – avverte l’Oxfam – è di riportare le lancette della lotta alla povertà indietro di 10 e anche 30 anni in alcune regioni, con buona pace dei tentativi di ridimensionare la forbice tra gli Stati. Una panoramica sull’impatto del covid-19 nelle principali aree del globo può essere utile a ricostruire i probabili scenari post-pandemici.

Grafico 1

Italia e Zona Euro

I contraccolpi economici della pandemia non risparmiano la zona euro, che già prima della crisi aveva dato timidi segnali di una frenata del sistema produttivo. In Italia l’ultimo trimestre del 2019 aveva fatto registrare una contrazione dello 0,3% rispetto ai tre mesi precedenti e anche le economie di Germania e Francia non avevano brillato, l’una con crescita zero, l’altra in negativo dello 0,1%. Più fosche le ultime stime di Eurostat che registrano il calo più importante dal 1995: nel primo trimestre 2020 il Pil è calato del 3,8% nell’Eurozona e del 3,5% nella Ue rispetto al trimestre precedente.

Gravata da una perdita che il Fmi stima al 9,1% nel 2020, l’Italia farà i conti con una crescita della povertà. Uno studio dell’Unione generale del lavoro stima che entro la fine di giugno 13,8 milioni di persone – il 23% della popolazione – potrebbero finire sotto la soglia di povertà relativa, segnando un incremento di 4,8 milioni rispetto a inizio anno. Mentre in totale potrebbero essere 9,8 milioni i cittadini italiani a trovarsi sotto la soglia di povertà assoluta, a fronte dei 5 milioni calcolati nell’ultima rilevazione dell’Istat nel 2018.

A lanciare l’allarme anche Coldiretti, che dall’inizio del lockdown registra un incremento di un milione di persone bisognose di generi alimentari, calcolate sulla base delle richieste effettuate alle associazioni di volontariato impegnate nella distribuzione. Un aumento del 114% rispetto alle consuete richieste, precisa la Caritas.

Africa Sub-sahariana

Se rimane indiscussa la proliferazione degli effetti recessivi del covid-19 su scala mondiale, d’altra parte resta salva anche l’ipotesi che a farne le spese maggiori saranno le zone già gravate da difficoltà economiche. È il caso dell’Africa Sub-sahariana, per la quale le stime della Banca mondiale prevedono i contraccolpi maggiori in termini di aumento della povertà estrema: sono 23 milioni, infatti, le persone che rischiano di scendere sotto la soglia di indigenza, trascinando nel baratro una regione che negli ultimi anni aveva fatto registrare notevoli – seppur contraddittori – progressi.

Il rapporto “Accelerating Poverty Reduction in Africa” stima che negli ultimi decenni la povertà nel continente sia diminuita di 13 punti percentuali, passando dal 54% del 1990 al 41% del 2015, pur contando un incremento degli abitanti costretti sotto la soglia di povertà, passati dai 278 milioni del 1990 ai 413 milioni del 2015 a causa dell’aumento della popolazione (grafico 2). Secondo le previsioni della Banca mondiale, una recessione potrebbe quindi intervenire nell’Africa Sub-sahariana dopo 25 anni di progressi, e ad acuire le difficoltà del territorio subentra anche il drastico calo delle rimesse  verso i Paesi di origine, previsto al 23,1%.

Grafico 2

America Latina

Il rischio che la pandemia aumenti le sperequazioni sociali ed economiche attende al varco l’America Latina, regione che registra i livelli di disuguaglianza più accentuati al mondo. L’1% della popolazione latinoamericana possiede più del 40% della ricchezza dell’intera regione, e circa 190 milioni di persone sono sotto la soglia dei 5,50 dollari al giorno. Il coronavirus non fa che aggiungersi alle scorie delle recenti crisi economiche che hanno colpito gli Stati del Sud America causando l’inversione del trend positivo fatto registrare nella lotta alla povertà sino al 2015.

La Commissione economica delle Nazioni Unite per l’America Latina e i Caraibi (Cepal) stima una crescita della povertà di 4,4 punti percentuali rispetto all’anno scorso, toccando quota 34,7%. Secondo le valutazioni della Cepal, circa 23 milioni di persone rinfoltiranno le già fitte schiere di indigenti, e la disoccupazione potrebbe segnare un aumento del 10%.

Con la crisi anche le monete nazionali sono state svalutate, a fronte del rafforzamento del dollaro considerato moneta sicura in questo periodo emergenziale. L’Organizzazione mondiale del commercio prevede inoltre un crollo delle esportazioni nel 2020 dall’America centrale e del Sud fino al 31,3%. Secondo quanto riporta il The Guardian, a Bogotà, capitale della Colombia, i residenti dei quartieri poveri hanno legato stracci rossi alle finestre per segnalare che gli inquilini stanno soffrendo la fame.

Cina e Usa

Il covid-19 non ha risparmiato le superpotenze, Cina e Usa, rispettivamente la prima nazione a fronteggiare il virus e lo Stato attualmente più colpito a livello sanitario. Nel peggiore scenario ipotizzato le stime dell’Omc prevedono nel 2020 una riduzione dell’export nordamericano del  40,9% e asiatico del 36,2%, con un rotolio di conseguenze negative prevedibili.

Stando alle previsioni del Fondo monetario, quest’anno il Dragone si salverà comunque dal segno meno, pur registrando una contrazione dell’economia significativa rispetto alle previsioni di inizio crisi secondo cui vi sarebbe stata una crescita del 5,9%, già inferiore alle performance ottenute dal 1990 a oggi.

Dal 1978 in Cina oltre 850 milioni di persone sono state sottratte alla povertà, ma con la pandemia si prevede un impatto rilevante anche sul numero di indigenti. Le stime della Banca mondiale calcolano che in assenza del virus 24 milioni di persone in più sarebbero sfuggite alla prospettiva – ormai ineluttabile – di cadere sotto la soglia di povertà di 5,50 dollari al giorno. Numeri che potrebbero aumentare qualora le misure anti-covid non dovessero dare i loro frutti, con altre 11 milioni di persone a finire sotto la soglia di indigenza nel peggiore scenario ipotizzato.

Per gli Usa il Fondo monetario prevede una contrazione del 5,9%, ma è soprattutto uno studio della Columbia University a dare una prospettiva sulla povertà nazionale. Secondo i ricercatori lo shock pandemico potrebbe far registrare tassi di povertà comparabili alla Grande Depressione.

Con il raggiungimento della soglia del 30% di disoccupazione trimestrale – stando ai calcoli della Federal Reserve – il 18,9% degli americani potrà trovarsi in povertà nel corso dell’anno, con 21 milioni di nuovi indigenti. Ma è da evidenziare che le valutazioni dello studio non tengono conto del Cares Act approntato dal governo e utilizzano l’indice di povertà supplementare, diverso dalle misure internazionalmente riconosciute della Banca mondiale. Ciò nonostante, dalla dichiarazione dello stato d’emergenza risalente allo scorso 13 marzo oltre 22 milioni di persone hanno presentato richieste di disoccupazione. Un segnale non incoraggiante, ma emblematico di un bimestre che ha polverizzato un decennio di lotte e progressivi miglioramenti.

Testo a cura di Pierfrancesco Albanese

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