Il fintech dalla disruption alla realtà: o adesso o mai più

scritto da il 26 Maggio 2020

Post di Helga Carlotta Zanotti, avvocata of counsel presso A&A Studio Legale e corsista dell’ Executive MBA Ticinensis-EMBAT presso l’Università di Pavia –

Gli attori della finanza tecnologica, o Fintech,, sembrano passati dalla disruption ad una nuova realtà che, proprio con il loro contributo, è in costruzione giorno per giorno, lasciando le banche che non raccolgono la sfida, all’angolo. Sono diventati player individuali con milioni di clienti al loro attivo, che puntano dritti verso la redditività: è il caso di annoverarli a pieno titolo fra i competitor delle banche tradizionali. Per difendersi, queste ultime puntano spesso sulla disruption, a cui l’innovazione digitale ci ha ormai abituati. Si tratta di un concetto spesso abusato e quindi svuotato di contenuto. In che contesto ci cala questa nuova realtà e cosa possono fare le banche per non soccombere sono le domande a cui, oggi, occorre rispondere con urgenza.

Dal 2017, in Europa, il mondo dei servizi finanziari inizia a parlare di open banking, cioè di innovazione nei servizi finanziari mediante la condivisione di dati fra diversi attori dell’ecosistema bancario, dietro espressa autorizzazione del cliente. L’Europa era riconosciuta come la culla della finanza tecnologica, un ecosistema virtuoso in cui l’open banking poteva proliferare. Con il recepimento in Italia della direttiva UE PSD2 [1] a partire dal gennaio 2018 e non ancora implementato uniformemente, il nuovo equilibrio inizia a vacillare. Le banche lamentano una carenza di reciprocità rispetto a terze parti, a partire dalle Big Tech. Mentre le prime sono tenute a condividere i dati dei propri clienti con le Big Tech, queste ultime si limitano unicamente ad esaminarli e a farne uso [2].

Nel frattempo, il resto del mondo non è stato in panchina. In questo senso, è interessante notare come, nel luglio 2018, la Hong Kong Regulatory Authority abbia strutturato un approccio in quattro fasi per le banche, a partire dalla condivisione delle informazioni che riguardano servizi e prodotti della banca, per concludere con quelle relative a pagamenti e transazioni. In poche parole una miriade di dati, raccolti e trattati dalle banche tradizionali con costi e tempo importanti, sfruttati da soggetti terzi senza bisogno di investimenti specifici. La situazione è esplosiva: persino le c.d. challenger banks, potenziale risposta delle banche tradizionali alle sfide dell’open innovation, arrancano fra adempimenti e burocrazia che le Fintech non devono affrontare.

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L’elemento tendenzialmente costante – sia in Europa che fuori Europa- è la consapevolezza che l’unico modo per sfruttare al meglio la digital transformation sia creare un cambiamento culturale. A mancare è il tempo per costruirlo e, per mordere il freno, alle banche pare non resti che superare la figura della challenger bank.

Un punto di partenza può essere puntare l’attenzione sui clienti e, in particolare, sui consumatori. Le Big Tech hanno creato una realtà commerciale in cui i vantaggi e le opportunità sono costanti e sistematici. Le banche più performanti avevano imboccato la strada del data management, allo scopo di personalizzare sempre più la customer experience dei propri clienti, trasformandosi in challenger banks.

Le Big Tech, però, sembrano avere una marcia in più. Si tratta di colossi tecnologici, come Amazon, Google e Facebook per esempio, in grado di dominare i rispettivi settori. Possiamo dire che la dominazione del mercato di riferimento sia la loro caratteristica preminente, perché hanno una conoscenza talmente approfondita e un’operatività efficacemente agile, da prevedere e gestire i bisogni dei loro clienti in tempo zero.

Questo non sfugge ad alcune banche a vocazione challenger, come la spagnola Caixa Bank, che è tra i finanziatori di Zone2Boost [3], una Fintech con sede nella tech city di Barcellona. Si tratta di un programma open innovation, nato dalla sinergia con due leader nei rispettivi settori: Global Payment per i pagamenti abbinati a soluzioni software e Ingenico per la sicurezza nelle transazioni in tutto il mondo.

In Italia Poste Italiane, che ha sempre fatto della presenza capillare sul territorio e del rapporto umano con i clienti un punto di forza, sta lavorando attivamente con IBM, per entrare nella cosiddetta fase due della trasformazione digitale, quella in cui le sperimentazioni lasciano spazio all’adozione scalabile per i processi di business delle tecnologie esponenziali [4] con focus sulla blockchain platform [5]. Una scelta disruptive, che tradisce l’esigenza di fare dell’innovazione parte integrante e fondamentale della propria anima tradizionale. Chiedersi se questo sforzo sarà sufficiente per restare sul mercato è inevitabile, se si considera la customer experience, che è fondamentale per il tema che tratto, e il cambiamento in tempo reale delle aspettative dei clienti. Con esse si manifesta l’urgenza di cambiare sia l’offerta della banca che la sua elefantiaca operatività. Per esempio, le operazioni di middle e back-end continuano a basarsi su processi aziendali per lo più manuali e troppo articolati con la conseguenza di una customer experience frazionata e inefficace.

La strada giusta può essere proprio quella imboccata da banche e Fintech che uniscono le forze, quando prendono atto che la tecnologia crea un rapporto continuo e costante fra il loro business e il cliente, agendo proprio sulla customer experience. Quali sono le prospettive di collaborazione fra banche e Fintech? Facciamo un esempio, partendo da un dato: dal 2017 il numero delle start-up Fintech è aumentato del 66%, con un incremento del 70% dei finanziamenti avuti [6].

Finleap struttura società tecnologiche per l’attività bancaria bancaria legata a pagamenti e servizi finanziari. Insieme a Banca Sella, ha creato Beesy, un portale che rivoluziona l’erogazione del credito. Finleap, fra Italia e Germania, impiega fino a seimila persone di circa cinquanta nazionalità diverse. Ancora più disruptive è la scelta di Uber che, pur essendo un non-financial player, ha già implementato una piattaforma per i pagamenti dei servizi [7]. Nonostante le prospettive di collaborazione siano di alto spessore, nella realtà sembrano ancora troppo limitate, probabilmente a causa della differente operatività materiale fra Fintech e banca. A parere di chi scrive, la chiave per il funzionamento dell’industrializzazione dell’innovazione, sia lato banca che Fintech, pare potersi condensare in tre “P”, in omaggio al Professor Kotler: Persone, Progetti, Prospettive. Ciò che le Challenger Banks possono fare, per operare nell’ecosistema aperto descritto e fare proprie le tre “P”, è diventare Inventive Banks, rendendo l’innovazione istituzionalizzata: ora o mai più.

 

NOTE

1 “Payment Service Directive 2 – 2018/64”; https://ec.europa.eu/info/law/payment-services-psd-2-directive-eu-2015-2366_en. 

2 Deloitte Touche Tohmatsu DTTL, “Open banking around the world: towards a cross industry data sharing ecosystem”, 29.11.2018,https://www2.deloitte.com/global/en/pages/financial-services/articles/open-banking-around-the-world.html. 

3 www.zone2boost.com. 

4 https://www.google.com/url?q=https://www.ibm.com/easytools/runtime. 

5 Segue il progetto Giampaolo Franchi, Head of Innovation Technology di Poste Italiane, n.d.r.. 

6 Dati World Fintech Report 2020, https://www.capgemini.com. 

7 “Engineering Uber’s Next-Gen Payment Platform”, 15.12.2018, http://eng.uber.com/payment-platform/.