Alla ricerca di una via d’uscita dalla crisi: monetizzare i deficit pubblici

scritto da il 27 Maggio 2020

Post di Lorenzo Padella, laureato con lode in Economia e Finanza all’Università di Pisa, master in Inghilterra (in corso) per specializzarsi in Behavioural Economics 

Il mondo sta affrontando una delle più grandi sfide della nostra epoca: rialzarsi economicamente dalla crisi portata dalla pandemia del coronavirus. Il colpo è stato talmente duro che ha colpito indistintamente domanda ed offerta, per cui le Banche Centrali e le istituzioni sovranazionali dei paesi sono corse ai ripari. In Europa le istituzioni europee si sono adoperate sin da subito per fornire aiuti e rilanciare le economie degli stati. Tuttavia, nonostante lo shock sia simmetrico e quindi ferisca ogni paese in maniera imparziale, è alquanto improbabile che anche la ripresa economica avvenga di pari passo per tutti.

In effetti, le nazioni europee si contraddistinguono per le loro diverse storie di gestione delle finanze statali e perciò vantano differenti livelli di indebitamento pubblico. Considerato che l’Europa ha messo in campo sin qui aiuti caratterizzati principalmente da prestiti, è automatico che alcuni paesi vedranno minata maggiormente la sostenibilità dei propri debiti pubblici rispetto ad altri.

Il fatto che gli aiuti europei incorporino per la maggior parte finanziamenti, e quindi soldi che dovranno poi essere restituiti (anche se a tassi di interesse più vantaggiosi rispetto a quelli di mercato), suscita perplessità tra molti economisti. Nello specifico, il 14 aprile una schiera di più di 100 addetti ai lavori ha inviato una lettera al governo chiedendo di non firmare l’accordo che l’Eurogruppo aveva trovato il 9 Aprile poiché “inadatto ad affrontare la pandemia e le sue conseguenze”. L’accordo è stato poi più o meno confermato e descrive le misure di sostegno che dovrebbero aiutare l’Europa a superare con successo la crisi.

Uscire dalla crisi velocemente ed indolore: il problema del debito e del limite superiore delle politiche monetarie standard
L’economia è da sempre marcata da alti e bassi, e la storia ci insegna che dopo ogni crisi ci si è sempre (più o meno) rialzati. La missione dei policy-makers non è quindi tanto quella di assicurare un’uscita dalle difficoltà, situazione che avverrebbe anche in maniera naturale, ma far sì che tale transizione avvenga il più rapidamente possibile ed indolore.
Quando uno shock così potente si verifica, le teorie macroeconomiche keynesiane ci insegnano che, per portare le economie verso una ripresa tempestiva e con poca sofferenza, si deve puntare a stimolare la Domanda Aggregata con spesa pubblica e politiche monetarie espansive.
 In effetti, le Banche Centrali nel mondo hanno adottato tale prospetto già durante la crisi del 2008, e la BCE ha rafforzato questa linea di pensiero con il famoso QE contro la crisi dell’Area Euro pochi anni dopo.
 Anche le recenti mosse monetarie della Banca Centrale con sede a Francoforte (dall’ingente piano PEPP di 750 miliardi, alla conferma di acquisto di titoli di stato italiani anche se dovessero raggiungere il junk-bond rating) confermano che l’obiettivo sulla strada è ben tracciato: stimolare la Domanda Aggregata Nominale aumentando la moneta in circolazione.

Se è però vero che la BCE sta acquistando miliardi di bond pubblici ogni giorno dalle banche commerciali concedendo in cambio moneta al circuito creditizio, essa si riserva la possibilità di rivenderli sul mercato e, in ogni caso, i singoli stati emittenti rimangono impegnati fino a scadenza.

Questo meccanismo fa sì che il debito dei paesi lieviti pesantemente, con tutti gli effetti perversi sui mercati che ne conseguono.
In parole povere, i paesi potrebbero non essere particolarmente incentivati nel fare spesa pubblica oggi visto che dovranno restituire i soldi in futuro, un concetto analogo a quello dell’Equivalenza Ricardiana per i consumatori. Lo stimolo monetario ricevuto da una parte potrebbe essere quindi spiazzato tramite un crowding-out effect sul lato fiscale, non permettendo alle economie di crescere.

Inoltre, politiche monetarie espansive simili presentano “limiti superiori” poiché la loro potenza di fuoco nell’emissione di moneta è limitata dalla capacità di assorbire il debito da parte degli stati: verosimilmente, se il piano PEPP comprendesse ad esempio 4 o 5 trilioni, i debiti pubblici schizzerebbero alle stelle, e con loro i tassi di interesse interni.

Ecco che molti economisti sostenitori della teoria dell’helicopter money di Milton Friedman, tra cui Adair Turner, presentano come potenziale alternativa e soluzione il cosiddetto finanziamento monetario dei deficit pubblici (o monetizzazione dei deficit pubblici) da parte della BCE. Andiamo a vedere più nello specifico di che cosa si tratta.

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Monetizzazione dei deficit pubblici: come funziona?
Il finanziamento monetario dei deficit pubblici è una misura di Policy Mix espansiva (sia monetaria che fiscale) altamente straordinaria che ha come scopo l’emissione di moneta per stimolare l’economia, similmente a quanto si prefiggono il QE ed il PEPP.
 Ciò nonostante, mentre queste 2 misure producono di fatto un incremento del debito pubblico nei paesi ed hanno perciò delle munizioni limitate come abbiamo visto in precedenza, la monetizzazione dei deficit potrebbe scavalcare tali potenziali debolezze e dare una spinta alla spesa pubblica dei governi.

Il funzionamento tecnico sarebbe tanto semplice quanto potente: una volta che la BCE ha acquistato i titoli statali, essa dovrebbe cancellarli contestualmente dal proprio bilancio, in modo da eliminare il fardello del debito sulle nazioni emittenti.

L’idea che la BCE possa cancellare una credito verso gli stati dall’attivo del proprio bilancio potrebbe suonare come un’eresia, ma in realtà il suo bilancio è tale soltanto formalmente. Difatti, la BCE è un’istituzione europea super-partes senza alcun problema di far quadrare i conti (avendo una potenza di fuoco illimitata) ed ha come scopo il sostegno delle economie dell’Eurozona, per cui non ha alcun vero interesse economico-finanziario nel mantenere un credito nel proprio stato patrimoniale.

Dobbiamo temere la possibile l’inflazione?
Il finanziamento monetario dei deficit pubblici riesce a calmierare il rischio di default negli stati privandoli di un incremento del loro debito pubblico ma, allo stesso tempo, li espone al rischio di inflazione.

Sebbene monetizzare i deficit non sia sinonimo di “inondare le economie con moneta fino a che qualcosa non accade” (in effetti, la quantità ottimale in emissione dovrebbe essere stimata con cura), con questa manovra la moneta in circolazione potrebbe aumentare notevolmente ed innalzare il livello dei prezzi.

La storia ci regala per l’appunto il caso della Germania della Repubblica di Weimar del 1921-23, quando la monetizzazione fu usata per finanziare spesa pubblica improduttiva incentrata sulla guerra e portò al famoso fenomeno dell’iper-inflazione. Allo stesso modo, la oggi ricca megalopoli cinese di Chongqing nata nel 1997 rappresenta un esempio vivente di monetizzazione incentrata su spesa pubblica produttiva (costruzione della Diga delle Tre Gole, infrastrutture pubbliche, pagamento dei cittadini costretti a spostarsi per far spazio alla diga) che non produce inflazione. In parole povere, l’insorgere di un’inflazione galoppante dopo un finanziamento monetario del deficit è condizionato dall’utilizzo produttivo della moneta emessa nel sistema economico.