Tra riorganizzazione e restartability 2.0, la capacità di ripartire sul lavoro

scritto da il 01 Giugno 2020

Post di Diego Bolchini, docente di analisi delle informazioni presso l’Università di Firenze –

In letteratura manageriale sempre più si parla dell’abilità di saper ripartire dopo una cesura lavorativa, ovvero di quella capacità nota come “restartability”. La “capacità di ricominciare” appare ancora più essenziale oggi, nel contesto pandemico e post-pandemico da COVID-19. Un tempo in cui non sarà sempre agevole, in fase discensionale, integrare priorità strategiche nazionali e policy nazionali all’interno del sistema di programmazione delle singole aziende e amministrazioni diffuse sul territorio.

Da un lato è prevedibile che diverse aziende attraverseranno nuove fasi “manutentive” di organizational design in termini di struttura, rivedendo anche processi, outputs (prodotti) e outcomes (impatti) sui territori. Dall’altro, le professionalità e le competenze espresse dagli individui ad esse associate nei diversi livelli verticali dell’organizzazione (dal top al middle management e a seguire) saranno sempre più oggetti a geometria variabile nel tempo, fortemente “situazionali”.

È altresì noto come il processo naturale dell’evoluzione del lavoro farà sparire o trasformerà in modo sostanziale molte professionalità in futuro. Già ad un convegno promosso da Sole 24 Ore e Ernst&Young nel marzo 2019 sul tema “lavoro del futuro e nuove competenze” una centralità prevalente veniva attribuita alla tecnologia, un megatrend che non è possibile deflettere e al quale occorre necessariamente adeguarsi. Ma lo stesso COVID-19 potrebbe essere fattore di accelerazione sotto diverse prospettive e non ci deve trovare impreparati.

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In condizioni di progressivo ed auspicato allentamento di lockdown, ed in condizioni di perdurante incertezza sistemica, appare utile ragionare secondo almeno 3 diversi livelli di adattamento:

Adattamento tecnologico. Guardando alle competenze emergenti di tipo “tecnologico”, quella dell’abitudine al lavoro dinamico o da remoto (smart working) manterrà una centralità rilevante nei contesti organizzativi ove sarà possibile applicarlo, con le sottese specificità già considerate ad esempio dalla rivista Harvard Business Review-Italia nel mese di marzo scorso;

Adattamento organizzativo. A livello di analisi organizzativa aziendale, gli assetti organizzativi che manterranno significative quote “in presenza” di dipendenti dovranno essere adeguati alla gestione del rischio COVID-19, e dunque capace di diminuire la probabilità che determinati eventi si verifichino e diminuire gli impatti degli stessi sugli obiettivi, sull’equilibrio e sulla continuità aziendale. Di fatto, di fianco all’incertezza classica, l’assetto organizzativo andrà rimodulato ai nuovi rischi sanitari, condividendo il processo di gestione del rischio con intelligenza diffusa al di là delle specifiche responsabilità dirigenziali;

Adattamento psicologico. A livello di competenze necessarie di tipo “psicologico”, in altri contesti organizzativi e aziendali, sarà necessario allenare le capacità di ricominciare altrove ove le attività precedenti non siano più sostenibili né con l’ausilio di tecnologia né con modifiche organizzative. L’adattamento in questo dovrà far leva sulle cosiddette competenze di transizione, veri e propri abilitanti strategici per muoversi da una tipologia di impiego ad un’altra in finestre temporali estremamente ridotte, sviluppando “nuovi possibili sé”, come suggerisce Herminia Ibarra, docente presso la London Business School.

Come procedere in queste tre direzioni (la prima “de-materializzante il lavoro” la seconda “ri-materializzante” secondo nuovi criteri spazio-relazionali e la terza “re-inventante” ex novo il lavoro stesso?) Anzitutto con una vision che sia adeguata e che consenta di darci una quanto più possibile corretta “alfabetizzazione al futuro”. Il nostro ambiente futuro, le sue circostanze e i suoi attori richiederanno nuova attitudine, impostazione e “frame of mind”. Essenziale sarà non auto-limitarsi nell’osservazione “di punto” su di esso. Giacché secondo la legge di Jim Dator “ogni affermazione significativa sul futuro all’inizio appare sempre ridicola”. Da una prospettiva di futuro, il senso comune ha spesso torto.

In ultima analisi, le organizzazioni complesse e ed il loro comportamento organizzativo possono essere osservate in senso multifattoriale, dal punto di vista funzionale, sociologico e sociale, con verticali specifiche su materie vive e oggi fondamentali come le aspettative sul futuro e la visualizzazione dello stesso. Citando il grande e compianto sociologo organizzativo francese Michel Crozier, le stesse aziende devono rimanere in ascolto delle più profonde e nuove dinamiche intra-psichiche individuali se si vorrà meglio concorrere a plasmare una governance adeguata ed efficace in un mondo post-Covid. Perché l’uomo non è soltanto un braccio e non è soltanto un cuore. L’uomo rimane e sarà sempre di più anche mente, progetto e libertà.