Quale sarà il cibo del futuro? In Italia il modello alimentare è arretrato

scritto da il 11 Giugno 2020

Post di Marco Ceriani, scrittore e giornalista, laurea a Milano in Scienze delle preparazioni alimentari, esperienze in nuovi alimenti, cibi nutraceutici e sport food –

Quale sarà il cibo del futuro? Molto dipende da dove si trova la cucina e chi lo cucinerà.

Partiamo subito da una considerazione fondamentale: il cibo della tradizione non è quello del nostro passato ma del presente, cucinato dalle aziende e servito a tavola dalla signorina réclame.

Nel nostro recente passato però a cucinare non erano le multinazionali ma le nostre nonne.
E le nonne, per la loro torta del pomeriggio, utilizzano da sempre ingredienti naturali come uova, burro, farina e latte. Peccato che, oggi, questi siano ingredienti diversi, scritti in neretto nelle etiche alimentari perché possibili fonti di allergie e intolleranze. Dunque potenzialmente dannosi alla salute umana. Ma che dire dei tanti (quasi infiniti) additivi alimentari che popolano le etichette alimentari, quasi sempre resi più innocui e meno visibili dalla sigla E seguita da numeri a tre cifre?

Se la ricetta della crostata di mele di nonna Papera ha solo pochi ingredienti mentre quella industriale ne ha più di trenta è perché la cucina domestica ha il solo compito di nutrire e non quello di conservare il cibo mantenendolo bello e appetibile.

Ma c’è un’altra certezza. Mentre la nonna ci voleva bene e alla domenica ci dava persino la mancia, le industrie non si occupano del nostro benessere e vogliono i nostri soldi. Dunque meno costano loro gli ingredienti, più ci guadagnano vendendoci cibo di bassa qualità. L’impatto sulla nostra salute e sul nostro pianeta ha un valore di pochissimo conto.

Nelle mie missioni di Food Hero mi sono spesso imbattuto in invenzioni a costo zero che avrebbero potuto garantire maggior sicurezza alimentare (come ad esempio la pallina di ghiaccio che grazie alla forma irreversibile sarebbe una garanzia della corretta preservazione della catena del freddo nei surgelati), come pure innovazioni di prodotto a danno del consumatore ma consentite dal legislatore (il famoso latte Fresco Blu, microfiltrato e pastorizzato, in seguito multato per frode) o altre poco comprensibili come l’esclusione dal mercato italiano di un famoso energy drink per il contenuto di una molecola energizzante già presente in latte per l’infanzia o il divieto assoluto, fino alla denuncia penale, di commercializzare ento-food (cibi con ingredienti da insetti edibili, in commercio da oltre 10 anni in paesi europei come Francia, Olanda e Belgio). L’innovazione alimentare è dunque regolamentata, promossa o compromessa, dal legislatore che non sempre decide secondo scelte informate e a ragion di stato.

Ma procediamo con ordine.

Il cibo è un atto agricolo e la nutrizione è un fattore di sostenibilità
Come afferma Wendell Berry il cibo è un atto agricolo, dunque esiste una strettissima connessione tra il dove e come viene coltivato o allevato il nostro cibo e la nostra salute.

Il problema di oggi è che la nostra selezione di (pochi) vegetali e animali operata nel tempo recente si è rivelata poco o per nulla idonea a sfamare un mondo sempre più popolato di individui.

Siamo passati da un pianeta Terra popolato da pochi milioni di individui (4.4 milioni 10 mila anni fa) ad una escalation assai poco promettente (1 miliardo di persone nel 1825, 1,6 miliardi nel 1900, 2 miliardi nel 1930, 3 miliardi negli anni ’60, 6 nell’anno 2000 e oltre i 10 miliardi entro il 2050).

Mais, grano e soia da una parte e soprattutto i voluminosi animali dall’altra (bovini e suini) si stanno rivelando non solo cattivi trasformatori ma famelici consumatori di risorse ambientali finite e non rinnovabili come terra e acqua.

Per soddisfare il mutare delle tendenze alimentari globali (popoli che reclamano una maggior disponibilità di proteine animali e meno riso, cereali e legumi) e l’aumento della popolazione mondiale il cibo non deve essere più solo a Km zero o Bio (tra l’altro ha ancora un senso il regolamento CE che regola tutte le fasi della filiera di produzione agricola, dal campo alla tavola, che esclude espressamente le colture idroponiche e quelle senza terra?) ma Hi Tech. Se da un lato le fattorie verticali (Vertical Farming) e persino quelle sotto il livello del mare (l’italianissima Nemo’s Garden) prive di pesticidi e concimi chimici si stanno rivelando ottimi strumenti per diminuire il consumo di suolo e acqua, dall’altro nuove realtà di allevamento (funghi, alghe e insetti) sono una grande risorsa di proteine nobili a basso costo ambientale.

“Il progresso è sempre molto importante ed eccitante tranne che per il cibo2.
Andy Warhol

schermata-2020-06-05-alle-12-58-40

L’Italia modello alimentare arretrato
Nel nostro Paese, causa l’età media molto elevata, ci si dimentica spesso che il mondo in cui viviamo oggi è in realtà preso in prestito dai nostri figli e dalle nuove generazioni. Stiamo prendendo delle decisioni indelebili e dagli effetti irreversibili su ciò che non sarà più nostro in brevissimo tempo. L’Italia e l’Europa rappresentano, oggi, modelli alimentari, culturali (e produttivi) arretrati e poco lungimiranti.

Il modello culturale europeo è ben lontano da ogni forma, anche elementare, di rinascimento. Siamo vittime di uno schema arcaico che ci ha guidato nel passato con grande successo ma che ora ci imprigiona, imprigionando i nostri modelli di visione, innovazione ed economici.

L’Italia e i suoi vicini condividono i valori della cucina mediterranea, patrimonio immateriale dell’UNESCO. Come evidenziato dalla sua scomposizione in valori nutrizionali (55% carboidrati, 30% grassi e 15% in proteine), quella mediterranea è in realtà una dieta altamente energetica per popolazioni dedite al lavoro manuale: braccianti e contadini. Poco o nulla a che vedere con l’élite di persone con visione globale in grado di scoprire e lanciare nuove mode e gusti alimentari.

Il bello, buono e ben fatto del cibo italiano in realtà è, come noto, sempre meno nazionale e tradizionale e sempre più importato, basti pensare alla provenienza di materie prime e semilavorati.

Il forte legame dell’Italia con la sua tradizione storico-culturale finisce così per essere una catena che àncora il Paese all’invecchiamento non solo sul fronte alimentare.
Quale è il problema è dimostrato, ad esempio, dai supereroi dei fumetti.

Supereroi tridimensionali
In Occidente (il panorama nazionale è sempre stato assai scarso in proposito: rappresentato unicamente da eroi privi di superpoteri come Paperinik, Tex e Diabolik) esistono solo ‘supereroi’ semplici.

Da Super Pippo (Walt Disney) a Superman e Wonder Woman (Marvel), fino a Braccio di Ferro e Asterix, si tratta sempre di trasformazioni e poteri ingenui, ingrandimento corporeo e forza muscolare, frutto di modelli culturali datati. Nulla a che vedere con i supereroi (super anche in termini di successo e fatturato) propri dei modelli culturali orientali rappresentati da manga e anime. Cartoons evoluti (caratterizzati da nomi e trasformazioni fisiche dello stesso personaggio, date dallo stato d’animo del momento) poco o nulla immediati per la mentalità occidentale, e nazionale nello specifico.

Dunque l’Asia come modello culturale avanzato, dove le nuove generazioni (cosplayers) indossano i costumi dei loro personaggi preferiti mentre le nuove generazioni della vecchia Europa riscoprono i modelli degli anni ‘60 e ‘70 con le culture Rock, Punk e Mods.
Modelli e processi creativi, semplici e datati, incapaci di passare dalla mono e bi dimensione al 3D e 4G (sarebbe forse il caso di riscoprire il vecchio e caro Abbott e il suo fantastico mondo di Flatlandia).

Generazione Z: dai cartoons in 3D al cibo green
Mentre in tutto il mondo si succedono rapidamente nuovi modelli alimentari (dal sushi al poke) con consenso e popolarità tali da aver sostituito le tendenze tradizionali di cibo giovane (fast e street food), nel nostro Paese per merito e al contempo colpa della grande tradizione alimentare permane l’arroccamento su un modello alimentare di stampo rinascimentale basato su più portate e per giunta con quantitativi spesso pantagruelici che crea distanze sempre più ampie e accentuate tra le generazioni. Da una parte le generazioni degli ex (terza età) da sempre ancorate al rito della tavola con i suoi tempi dilatati e conviviali, dall’altra le nuove generazioni (Generazione Z, nati tra il 1997 e il 2012) aperte al global e al green food che prediligono monoporzioni fruibili in movimento o davanti a un tablet.

schermata-2020-06-05-alle-12-59-00

Il cibo del futuro: somma di valori culturali individuali
I cibi esotici hanno da sempre avuto un fascino particolare per i ceti più alti e colti della popolazione.NCosì è stato per la Francia del XIX secolo innamorata delle delicatezze russe. Insalate vellutate, caviale, pesce affumicato e vodka erano infatti divenuti cibo esclusivo, sofisticato e cosmopolita dell’aristocrazia e borghesia parigina.

Medesima sorte è toccata al sushi, stuzzichino giapponese variopinto e scenografico dal sapiente e geometrico mix di pesce crudo, alghe, verdura e olio di soia, quando negli anni ‘60 a Los Angeles ha sostituito il caviale all’esclusiva cena natalizia dell’Orchestra filarmonica della città e ha ottenuto un successo tale da spingere il Los Angeles Times a consigliarlo per “stupire i vostri ospiti buongustai”.

Ed è sempre negli anni ‘60 che Mr Chow, chef e designer cinese, ha aperto a Londra il suo primo ristorante, seguito poi da quelli di Beverly Hills e New York. La ricetta del successo era semplice e cosmopolita: arredamento francese, camerieri italiani e cucina cinese.
Il cibo, come del resto tutti gli altri settori del consumo, ha dunque sempre bisogno di evolversi grazie a contaminazioni e innovazioni.

Pericolo pandemia: dimenticare la sostenibilità
Se il mondo pre Covid-19 si interrogava su come produrre e commercializzare cibo sicuro e a basso impatto ambientale, oggi che tutti intravediamo l’uscita dal fermo produttivo e affettivo, rischiamo di dimenticare che le risorse mondiali agricole sono scarsamente riproducibili e che le risorse ambientali sono finite e per nulla rinnovabili.

L’utilizzo e lo smaltimento a livello globale di mascherine, guanti e contenitori monouso costituiscono una minaccia altrettanto seria della pandemia.

Non si deve scordare che se il sistema agricolo mondiale da un lato vive una profonda crisi, dovuta anche al repentino cambiamento climatico di questi ultimi anni, dall’altro è la stessa agricoltura a determinare il principale fattore di inquinamento e mutazione ambientale del pianeta.

In tutto questo il gusto e la tradizione alimentare contano sempre meno ma potrebbero avere un enorme peso sulla sorte della nostra vita e quella del nostro pianeta.

Uscire dalla crisi del cibo per pochi
In un mondo in cui esiste una notevole disparità di accesso al cibo (da un lato 2,2 miliardi di persone soffrono di patologie legate all’eccesso di nutrienti, mentre quasi un miliardo ha disponibilità solo a una nutrizione di sussistenza) sono molti i progetti di grande interesse per la produzione di cibo del futuro: dalla carne senza animali (Menphis meats), agli hamburger green (Beyond Meat) alle biotecnologie per cibi ottenuti da aria e substrati fermentativi (Air Protein), DNA controllato e GMO d’ultimissima generazione.

Alla fine si tratta di pensare in modo diverso e pensare bene, come suggerito da Michele Ferrero, che intervistato da Mario Calabresi nel febbraio 2015 per le colonne de La Stampa, disse: Il segreto del successo? Pensare diverso dagli altri e non tradire il cliente.