Cassa integrazione: cosa può insegnarci il modello tedesco

scritto da il 22 Giugno 2020

La cassa integrazione è un ammortizzatore sociale ampiamente utilizzato dai governi durante i periodi di crisi. È naturale dunque che questo strumento sia stato al centro del dibattito politico-sindacale italiano – e non solo – durante questa emergenza Covid. Esistono modelli più efficaci di altri, come quello tedesco, e modelli più problematici, come il nostro.

Il modello italiano

In Italia si danno diverse modalità di Cassa integrazione guadagni (Cig). La Cassa integrazione guadagni ordinaria (Cigo) interviene in ambito industriale quando la crisi si registri in concomitanza al ciclo economico avverso. La Cassa integrazione guadagni straordinaria (Cigs) può essere richiesta qualora vi sia invece una crisi strutturale dell’azienda. La Cassa integrazione guadagni in deroga (Cigd), infine, tutela in maniera generale il lavoro dipendente, non solo quindi la produzione industriale.

L’Ente che si occupa delle domande di cassa integrazione è l’Istituto nazionale della previdenza sociale (Inps). Sulla base delle ore non prestate dal lavoratore, l’azienda eroga un assegno sociale pari all’80% della diminuzione salariale subita, per poi rivalersi di questo credito verso l’Ente previdenziale in un secondo momento.

Un metodo di erogazione poco efficace

Questo particolare metodo di pagamento limita la funzionalità del nostro strumento di cassa integrazione. In una crisi globale, come quella attuale, le richieste di erogazione diretta da parte dell’Inps aumentano, mentre l’Ente fatica ad evadere efficacemente tutte le richieste.

É questo motivo ad aver spinto il governo italiano a stipulare una convenzione con l’Associazione bancaria italiana per far fronte all’emergenza Covid. Da un lato, questo ha sì permesso alle banche di emettere dei prestiti garantiti dallo Stato, che andassero a coprire le spese di cassa integrazione sostenute dalle aziende, ma ciò è stato possibile solo in parte. Questa particolare forma di credito non può comunque eccedere i limiti stabiliti dagli Accordi di Basilea: le banche sono infatti vincolate a un rapporto minimo tra la liquidità detenuta ed i prestiti concessi.

L’utilizzo in tempi di crisi

Il 17 Marzo, con il d.l. “Cura Italia”, il Governo ha esteso lo strumento della Cassa integrazione in deroga ai dipendenti della quasi totalità dei settori produttivi del nostro Paese. Questa misura si è resa necessaria per provare a fronteggiare la più grande crisi dal secondo dopoguerra. In questo senso, i dati diffusi dall’Inps sono allarmanti: nel solo periodo tra gennaio e aprile 2020, si è quasi raggiunto il monte ore di cassa integrazione autorizzate nel 2009 in piena crisi dei mutui subprime. Ma con l’estensione alla Cassa integrazione in deroga è probabile che verrà superato anche lo storico più alto registrato, quello tra la crisi del 2008 e la crisi del debito sovrano europeo.

A differenza della cassa integrazione utilizzata in quegli anni, però, l’assegno sociale con causale Covid-19 consiste in un importo fisso di 600 euro. Allora, invece, le somme liquidate furono calcolate sempre nel rispetto del criterio ordinario: l’80% della diminuzione salariale connessa. Oltre alla somma effettivamente percepita, anche le modalità di cassa integrazione utilizzate sono distinte nei due casi, con notevoli differenze nella distribuzione settoriale dell’ammortizzatore sociale.  Se durante la crisi del 2008 prima e del 2011 poi il governo fece infatti ricorso a Cassa integrazione ordinaria e straordinaria e non varò una specifica cassa integrazione in deroga, come nel caso attuale, a beneficiarne allora fu solamente il settore dell’industria. Con l’effetto poi che questo elemento finì per delineare differenze distributive anche a livello geografico, data la concentrazione dei poli industriali nel Nord della nostra penisola.

Il modello tedesco

In una nazione dove la classe politica sta vivendo un tempo di indecisioni, la cassa integrazione è una carta tutt’altro che semplice da giocare. Eppure, il modello tedesco resta efficiente. L’Agenzia Federale del Lavoro (BA) gestisce due tipologie di registro: quello delle iscrizioni anticipate come lavoratori in cerca di lavoro e quello dei disoccupati.

Nel primo caso, i lavoratori in procinto di perdere il lavoro sono per legge tenuti a iscriversi presso la BA almeno 3 mesi prima della fine del rapporto di lavoro, o comunque entro 3 giorni dalla data di notifica di fine rapporto. Registrarsi anticipatamente implica un’accelerazione nel processo di reinserimento nel mercato del lavoro: con il prolungarsi del periodo di disoccupazione, meno diventano le possibilità di reinserirsi nel mercato del lavoro. Nel caso di registrazione come disoccupato, invece, si ha diritto ad ottenere un’indennità, che può essere richiesta dal primo giorno successivo la fine del rapporto di lavoro e che viene erogata in fede alla data di iscrizione nel registro.

Il KUG

Oltre a tale indennità, la Germania possiede strumenti differenti per aziende in difficoltà congiunturale (similmente alla nostra Cigo) e aziende in difficoltà per il carattere stagionale del loro settore (dicembre-marzo). In questi due casi si fa riferimento al KUG (Kurzarbeitergeld), l’ammortizzatore sociale finalizzato al mantenimento dell’occupazione mediante la riduzione temporanea dell’orario di lavoro. Il KUG stagionale è concesso soltanto a quelle imprese le cui attività risentono in maniera non indifferente del maltempo invernale. Per quanto riguarda invece il KUG congiunturale, se nemmeno l’estensione massima dello strumento ai 24 mesi fosse sufficiente a scongiurare una profonda ristrutturazione organica o un licenziamento collettivo, scatta una procedura regolamentata che coinvolge come attori l’azienda stessa, i sindacati aziendali e l’Agenzia Federale del Lavoro. Nel caso di crisi irreversibile e fallimento la BA può utilizzare un ulteriore strumento: l’indennizzo per fallimento (Insolvenzgeld). Erogato in tre mensilità soprattutto ai lavoratori dipendenti, la platea di questi beneficiari è però più ampia di quella per l’indennità di disoccupazione generale, perché gli aventi diritto includono gli studenti che lavorano occasionalmente, i lavoratori con attività accessorie e i lavoratori a domicilio.

Ai tempi del Covid

In questo particolare momento storico, la Germania interviene potenziando la sua cassa integrazione. Con prerequisito fondamentale la forte limitazione o la chiusura forzata dell’attività dell’azienda sulla base di un decreto governativo, lo Stato coprirà il  60% della retribuzione netta persa (67% se si ha un figlio a carico).

I dati di questo lockdown vedono 751.000 aziende tedesche coinvolte nelle richieste di cassa integrazione di 10,1 milioni di dipendenti tra marzo e aprile. Il livello è di tre volte superiore rispetto all’intero 2009.

Due mondi a confronto

Da diversi anni ormai la Germania viene etichettata come uno dei paesi più efficienti al mondo. Non a caso è stata in grado, meglio di altri, di rispondere alla pandemia con un esemplare prontezza d’intervento.  L’Osservatorio conti pubblici italiani (Ocpi) ha pubblicato uno studio proprio sulle misure economiche messe in atto dalla Germania. Si tratta della “più grande manovra espansiva nella storia del Paese che, tra misure fiscali discrezionali e stabilizzatori automatici, movimenta l’8% del Pil”. L’altra considerazione dell’Ocpi è che “rispetto all’Italia, gli interventi discrezionali sono un po’ più elevati. Ma le principali differenze riguardano la maggiore durata delle misure tedesche e la maggiore rapidità nell’attuazione”.

Due sono, dunque, i gap che il nostro Paese dovrebbe essere in grado di colmare. Il primo è strettamente legato alla debolezza dei nostri conti pubblici. La sospensione del Patto di stabilità europeo ha concesso a tutti i governi degli Stati membri un considerevole margine per attuare manovre fiscali espansive. In particolare, si deroga sulla possibilità di fare debito oltre la soglia di sostenibilità del 60% rispetto al Pil nazionale. Ecco che alla Germania la sua manovra di 218,5 miliardi  costerà un rapporto debito/Pil nel 2020 del 77%, mentre all’Italia finanziare 155 miliardi porterà quest’anno il debito pubblico al 155% del Pil. Urge innanzitutto una profonda riflessione sulla nostra finanza pubblica e la sostenibilità – sia economica che politica – del nostro debito.

La seconda criticità che si riscontra nel nostro intervento economico apre il tema della rapidità dell’attuazione. Nel modello tedesco non si rintracciano ritardi come i nostri o falle informatiche dei sistemi come accaduto all’Inps. In Germania, la cassa integrazione è stata erogata ai lavoratori richiedenti entro 15 giorni dalla ricezione della domanda, mentre per i trasferimenti ci sono voluti, al più, 5 giorni. A non funzionare sono procedure lunghe o inadeguate. Su questo l’Ocpi esemplifica ricordando la vicenda dei trasferimenti a lavoratori autonomi e partite IVA, stanziati con il decreto Rilancio peraltro solo relativamente ad aprile e maggio. Il secondo insegnamento, più facile da mettere in pratica, potrebbe partire da questa constatazione: serve una burocrazia più snella ed efficiente.

Testo a cura di Alessandro Carrata e Mattia Moretta

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