Fondo perduto, un’occasione persa: com’è e come poteva essere

scritto da il 06 Luglio 2020

L’autore di questo post è Costantino Ferrara, vice presidente di sezione della Commissione tributaria di Frosinone, già giudice onorario del Tribunale di Latina, presidente Associazione magistrati tributari della Provincia di Frosinone –

Il Decreto Rilancio ha introdotto nel sistema economico una fattispecie decisamente inusuale nel panorama nazionale, ancorché graditissima alle imprese: l’assegnazione di risorse a fondo perduto provenienti direttamente dallo Stato, a compensazione del calo di fatturato patito a causa del Covid-19.

A differenza delle altre misure, dunque, non si tratta di prestiti, che generano liquidità ma al contempo creano nuovo indebitamento, bensì di somme che entrano nelle casse delle imprese e che non dovranno essere restituite a nessuno. Di più, onestamente, non si può pretendere.

Una misura rapida ed efficace
C’è un altro aspetto della vicenda che va rimarcato con forza: l’efficacia e la rapidità della misura, con erogazione delle somme a tempi decisamente record nel contesto italiano, dove il ritardo nei pagamenti che provengono dal Pubblico ha ormai conquistato un posto tra gli spaghetti e il mandolino per connotare il Paese.

La gestione attraverso l’Agenzia delle Entrate, invece, ha fatto registrate dei risultati straordinari, con somme arrivate sui conti correnti ad appena 7-10 giorni dalla presentazione della domanda. Si è individuato, dunque, un canale che funziona e a cui va rivolto un plauso: è curioso come l’ente demandato istituzionalmente a curare le “Entrate” dello Stato, si sia rivelato eccezionale nel gestire le “uscite”. Il paragone con le casse integrazioni (che qualcuno sta ancora aspettando) rende ancora più netta la misura del successo e traccia una strada per l’agire futuro, nell’auspicio che arrivino altri interventi e che siano veicolati in questa maniera.

Le note dolenti
Purtroppo, gli aspetti positivi della vicenda, a parere di chi scrive, finiscono qua. La norma sul fondo perduto è pensata male e scritta ancora peggio. Ed è triste che un intervento così determinante per l’economia, peraltro veicolato egregiamente sotto l’aspetto delle modalità d’erogazione, sia stato concepito in questo modo.

Per rendersi conto dello squilibrio della misura basta fare qualche esempio.

La norma dispone che il contributo spetta, a prescindere dal calo del fatturato, alle partite iva avviate dopo il 1 gennaio 2019, con un minimo di 2.000,00 Euro per le società e 1.000,00 per le ditte individuali.

Ciò significa, ad esempio, che una società nata a novembre 2019, che non ha mai fatturato un centesimo, né ha mai assunto un dipendente, prende duemila Euro. La società sarà contenta, per carità, un bell’incentivo iniziale per avviare (forse) un’attività. Ma non si comprende in questo caso quale buco o necessità impellente si sia andato a coprire, utilizzando risorse pubbliche che potevano essere direzionate meglio. E i casi così sono tantissimi.

Altro esempio, una partita Iva praticamente ferma, in attesa di chiusura, che si trova per caso ad aver fatturato 50 euro nel mese di aprile 2019. Ad aprile 2020 non avrà fatturato nulla, quindi, il requisito del calo di fatturato è soddisfatto: prende mille euro.

Una società che invece ha fatturato 6 milioni di euro nel 2019 ed ha 30 dipendenti, nel 2020 è rimasta praticamente ferma per via del Covid: non prende un euro, perché sfora i 5 milioni di limite del fatturato. Con quali risorse pagherà i propri dipendenti, i contributi, i fornitori e le tasse? Fatturare relativamente tanto non significa guadagnare altrettanto, non è un equazione.

O ancora, esaminiamo un altro caso, un’azienda che rispetta la soglia dei 5 milioni di fatturato, che impiega dieci dipendenti, e che ha avuto un calo di fatturato consistente nel 2020, ma che non rispetta il parametro del confronto secco aprile 2019 – aprile 2020, in cui non si riscontra il decremento del 33% (magari avrà casualmente fatturato poco anche ad aprile 2019, e tanto nei restanti mesi). Anche qui, nessun bonus.

Le pezze senza i buchi
In buona sostanza, molte “pezze” (i fondi) vengono posizionate dove non ci sono buchi da coprire. E molti buchi, invece, rimangono tali, destinati probabilmente ad ingrandirsi, alla luce del contesto.

Se estendessimo il ragionamento all’aspetto quantitativo del bonus, cioè a quanto effettivamente viene riconosciuto all’imprenditore, le storture sarebbero le stesse. L’assegnazione e la quantificazione delle risorse diventa, in moltissimi casi, frutto della mera casualità (aver fatturato di più o di meno ad aprile 2019).

Tutto deriva, a parere di chi scrive, da una cosa molto semplice: aver preso come parametro di riferimento il mese di aprile 2019 per calcolare il decremento del fatturato e decidere, sulla base di ciò, sia la spettanza sia la misura dell’erogazione.

Senza lanciarsi in criteri troppo difficili, sarebbe bastato assumere come parametro il fatturato medio mensile dell’anno 2019, anziché il fatturato secco registrato in aprile 2019.

Perciò, se un’azienda aveva fatturato centoventimila euro nel 2019 (diecimila euro al mese), il calo di fatturato registrato nell’aprile 2020 poteva essere paragonato a questo dato medio, anziché al solo mese di aprile 2019.

Già con questo piccolo accorgimento, di facile realizzo, la misura sarebbe stata più equa, abbattendo l’aspetto della casualità dell’aver fatturato di più o di meno nell’aprile dell’anno 2019.

Il parametro del fatturato medio
Venendo, invece, alle neocostituite, si poteva risolvere la questione con il parametro del fatturato medio, in relazione ai mesi o giorni in cui le stesse hanno effettivamente prodotto ricavi. In termini pratici, se un’azienda ha emesso la sua prima fattura nel novembre 2019, facendo registrare ricavi tra novembre e dicembre pari a 20.000 euro, il calcolo del decremento si poteva fare in riferimento alla media mensile (sempre 10.000 euro). In questo modo, almeno, si tenevano fuori dalla misura quelle imprese che non hanno prodotto nulla, non danno lavoro a nessuno e non hanno, dunque, un fatturato da “reintegrare”; destinando, invece, le risorse a situazioni di effettiva necessità, dove ci sono dipendenti, contributi, fornitori e imposte da pagare.

Volendo calmierare ulteriormente gli effetti della casualità, si poteva pensare di intervenire allo stesso modo sull’altro parametro, cioè il fatturato di aprile 2020, sostituendolo anche in questo caso con il fatturato medio mensile dei mesi “rovinati” dal Covid, marzo, aprile e maggio.

Dal confronto dei soli due mesi di aprile (2019 e 2020), viene fuori un’assegnazione iniqua e, talvolta, affidata alla casualità. Ed è un peccato, perché la misura era buona, il veicolo anche. È mancata solo un po’ di scrittura, ma non è una novità (ahinoi) nei difficilissimi provvedimenti anti-covid di recente emanazione.