L’eredità del Covid19 tra commercio internazionale e autarchia

scritto da il 07 Luglio 2020

Pubblichiamo un post di Stefano Riela, Research Fellow e Lecturer of European Integration presso la University of Auckland. Council Member presso la Italian Chamber of Commerce in New Zealand, insegna European Economic Policy presso Università Bocconi. Membro dell’Advisory Board di The Smart Institute think tank –

In che modo il Covid19 modificherà le catene del valore? Questa domanda sta alimentando il dibattito circa le conseguenze di una forte discontinuità sul fronte dell’economia internazionale, ma sta anche spingendo la politica a reagire in difesa della sicurezza nazionale.

Facciamo un passo indietro. Il Covid19 è stata, per l’economia mondiale, una combinazione fatale di shock negativi sul fronte della domanda, dell’offerta e del trasporto. Ma nel caso dei dispositivi di protezione individuale (DPI) come mascherine, guanti e occhiali, lo shock della domanda è stato positivo. La crescente richiesta di DPI per uso (inizialmente anche errato) e accaparramento ha reso insufficienti le scorte e, ove esistenti, le produzioni nazionali in una fase critica sul fronte delle importazioni.

La produzione mondiale di DPI si è andata concentrando nel corso degli anni e i principali paesi esportatori, quali Cina e Malesia, da un lato hanno subito uno shock negativo di offerta a seguito dei rispettivi lockdown nazionali, dall’altro lato hanno ridotto l’export per garantirsi internamente la disponibilità di DPI. Anche altri paesi con scorte e/o con produzioni domestiche di DPI come Stati Uniti, Francia, Germania e Polonia hanno imposto restrizioni all’export di questi prodotti essenziali.

Ogni paese è libero di declinare il concetto di sicurezza nazionale e, in virtù di questa, può imporre restrizioni al commercio e agli investimenti esteri. In generale, il settore militare è quello più protetto, seguito dai servizi di interesse generale come la sanità, i trasporti, le comunicazioni dove spesso la componente essenziale è l’infrastruttura in monopolio naturale come le reti. A parte armi, munizioni e alcuni prodotti chimici, pochi sono i prodotti protetti in quanto la loro commerciabilità ne ha garantito la disponibilità grazie all’efficace funzionamento di catene del valore distribuite in cui la nazionalità dei prodotti ha perso ogni rilevanza se non per l’applicazione delle regole di origine.

Lo shock provocato dal Covid19 ha ricordato innanzitutto che, per la sicurezza nazionale, oltre al 5G e alla cybersecurity sono essenziali anche prodotti a basso valore aggiunto come i DPI e che il commercio internazionale non è rubinetto sempre aperto.

Per questo motivo nelle ultime settimane si parla di on-shoring per avere la garanzia che prodotti essenziali siano sempre disponibili entro i confini nazionali. L’off-shoring ha disperso le catene del valore alla ricerca dell’efficienza e ha aumentato la concentrazione della produzione; ma, come nel caso dei beni essenziali, ha indebolito la sicurezza nazionale.

Tuttavia, anche accettando la perdita di efficienza di produzioni portate sul suolo nazionale, non è detto che questo sia possibile; le materie prime non sono disponibili all’interno di tutti i paesi. Certo, è possibile riempire magazzini di scorte, soprattutto di prodotti poco deperibili come i DPI, ma le crisi possono avere dimensioni imprevedibili.

In conclusione, riprendendo la domanda che ha aperto questo articolo, tra l’incertezza del commercio internazionale (off-shoring) e l’impossibilità di una completa autarchia (on-shoring) una soluzione per le catene del valore post-Covid19 può essere il near-shoring. Si tratterebbe di individuare una rete di paesi vicini che possono fornire ciò che è impossibile, o più semplicemente inefficiente, produrre internamente. Per prodotti considerati essenziali si tratterebbe di ridimensionare il perimetro geografico delle catene del valore da globali a regionali.

La vicinanza geografica è necessaria per motivi logistici ed è per questo che per l’Italia l’Europa è il contesto naturale. Ma alla vicina geografica deve accompagnarsi la vicinanza politica che non deve necessariamente limitarsi all’ambito dell’UE. Infatti, nonostante un processo di integrazione che dura da quasi settanta anni, altri paesi fondatori hanno bloccato l’export di DPI e di altri dispositivi come i respiratori proprio nel momento in cui l’Italia attraversava il picco epidemico. La vicinanza politica è dimostrata, nei fatti, dalla disponibilità a prestare soccorso dove la crisi è più drammatica; una sorta di articolo 5 del Trattato NATO applicato ad un’emergenza sanitaria. Ovviamente questa vicinanza è facile da misurare ex-post, ma politica estera e politica industriale possono convergere per massimizzarne l’affidabilità ex-ante.