Michele Callegari (Barberino’s): Non è più un mondo per piccoli

scritto da il 06 Agosto 2020

Prosegue il ciclo di interviste della rubrica “Call Me Startup – Storie di giovani imprenditori ai tempi del Covid-19” con la quale raccontiamo, attraverso la voce dei diretti interessati, come i giovani imprenditori italiani fondatori di startup hanno affrontato la crisi del Covid-19 e quali strategie hanno implementato per ripartire una volta concluso il periodo di lockdown.

Oggi il nostro ospite è Michele Callegari, che nel 2015 ha fondato Barberino’s insieme al suo socio Niccolò Bencini.

Barberino’s mira a far rivivere la raffinata atmosfera della storica barberia italiana. Lussuosi mosaici dal caratteristico verdone, maniglie e grandi specchi. Dall’anno della sua nascita, il suo fatturato è cresciuto del 582%, sono stati assunti oltre 30 giovani e aperti 6 Barber Shops. Inoltre, Barberino’s ha creato una Barber School per formare il proprio personale e ha sviluppato una linea di cosmetica con il proprio marchio. Prenotazione tramite applicazione ed e-commerce integrano l’esperienza offline andando a formulare una proposta completamente omnicanale.

L’obiettivo di questa intervista è andare a trattare un settore, quello della cosmesi, che è stato duramente colpito dalla crisi del Covid-19. La chiusura dei negozi per due mesi ha messo in grave difficoltà un settore economico che, in Italia, è grande ma frammentato, costituito da imprese piccole e non di rado già caratterizzate da criticità finanziarie. E con l’interruzione dei canali distributivi retail, l’impatto si è fatto sentire a salire anche sul settore produttivo.

Come riportato dal presidente di Cosmetica Italia, Renato Ancorotti, acconciatori ed estetisti rappresentano la seconda categoria artigianale in Italia, che genera un volume di affari di oltre 6 miliardi di euro e impiega oltre 260.000 addetti in 130.000 negozi. Il calcolo del numero medio di addetti è presto fatto, e in effetti il 90% delle imprese è composto da due persone: ciò indica una limitata capacità di gestione della crisi. A consuntivo, il Covid-19 potrebbe avere una ricaduta occupazionale per oltre 100.000 addetti con la cessazione definitiva delle attività per oltre 50.000 negozi.

 

Partiamo dalle origini: cosa ti ha spinto a fondare Barberino’s?

Io e Niccolò lavoravamo spesso a Londra ed eravamo clienti affezionati di negozi di grooming. Quando tornavamo in Italia questo ci mancava, dal momento che non c’era la possibilità di vivere un’esperienza maschile al contempo classica ma declinata al 2015. Quando è partito Bullfrog ci siamo resi conto che questo era un settore in crescita, ma loro avevano un’impronta hipster, alternativa, mentre noi cercavamo un’esperienza più di lusso, più da “colletto bianco”. Qualcosa del genere non c’era e allora ci siamo buttati.

In Italia infatti il mercato era ancora fermo agli anni ’60, nell’approccio e nello stile, senza avere alle spalle un’organizzazione manageriale e imprenditoriale: piccoli negozianti con la graniglia per terra, sedie malmesse. Questo però non è più un mondo per piccoli: devi poter investire in marketing, in risorse umane, in tecnologie.

Come prima cosa siamo andati in Sicilia, dove c’è la tradizione più importante di barberia. Abbiamo recuperato le peculiarità, il format, i materiali tipici della tradizione, e a partire da questo abbiamo definito un concept che fosse classico e contemporaneo allo stesso tempo: rivivere il barbiere di una volta ma con una managerialità e una scalabilità da azienda, e al contempo con un focus sul cliente in modo tale che diventasse una vera esperienza. Il tutto specializzati sul grooming maschile, perché comunque oggi il consumatore vuole specializzazione, non vuole un brand generalista. Inoltre andare dal barbiere non deve essere una necessità ma un’esperienza. Questo va incontro all’esigenza delle nuove generazioni che non vogliono spendere per oggetti da possedere ma per esperienze da godere.

Voi non siete un classico barbiere: avete il negozio fisico, l’accademica e l’e-commerce. Come dialogano queste tre anime nell’azienda? Com’è, insomma, il vostro business model?

Il nostro business model è basato sullo storydoing più che sullo storytelling: facciamo, non raccontiamo. Facciamo capire che stiamo vendendo un prodotto vero: un barbiere che si occupa di te, dei tuoi capelli e della tua barba.

Come fare questo? Non adottando un modello basato sul franchising, ma mettendo la faccia su tutto: ogni prodotto è sviluppato e prototipato dai nostri barbieri che hanno l’esperienza sul campo e sanno cosa serve, i barbieri stessi sono formati da noi e inoltre collaboriamo con un laboratorio che ci aiuta a sviluppare i nostri prodotti e trovare nuove tendenze. Poi abbiamo i due canali offline e online che sono sinergici: uno alimenta l’altro in termini di clientela e di marketing. Un business model insomma completamente integrato fin dall’inizio, in cui cerchiamo di sviluppare internamente anche la tecnologia in termini di software.

Quando abbiamo disegnato questo progetto siamo partiti dalla fine, ossia considerando Barberino’s come brand internazionale italiano in tutto il mondo. Questa è una scelta che penalizza nel breve periodo ma è fondamentale se si vuole diventare una grande azienda. Ad esempio, noi abbiamo voluto assumere un HR manager quando ancora avevamo solo tre dipendenti. Può sembrare un’esagerazione, ma nell’ottica dello storydoing non potevamo non farlo: basta un dipendente che non condivide la nostra cultura e, essendo a diretto contatto con il cliente, ci roviniamo la reputazione. Tutti i nostri dipendenti hanno spirito imprenditoriale, credono nel progetto, oltre ovviamente ad assicurare qualità di servizio. Anche questo ci ha permesso di scalare da tre a trenta dipendenti.

Come scalare in modo organico?

Di nuovo: partire dalla fine. Il consiglio che do è fare quello che ha fatto Camillo Benso di Cavour: è partito dal Regno di Sardegna e ha creato l’Italia. Indipendentemente da quanto è lontano l’obiettivo, sai che devi fare un po’ come se il tuo obiettivo fosse il cuore del carciofo: foglia dopo foglia, ti avvicini all’obiettivo che ti eri prefissato.

Il punto di partenza è naturalmente fissare l’obiettivo. Per noi, essere dei barbieri e creare un marchio che simboleggiasse non il Made in Italy – che trovo un concetto un po’ anni ’80 – ma lo stile di vita italiano: il piacione, l’eleganza, la dolce vita, la consapevolezza e il desiderio di dedicare tempo a se stessi. Chiamiamolo quasi uno “slow living” in schiuma da barba.

A quel punto ci siamo detti: “OK, vogliamo arrivare lì: cosa dobbiamo fare?” Sicuramente la base di partenza è la formazione, che abbiamo avviato immediatamente, già quando avevamo solo tre dipendenti.

La prima foglia di carciofo è stata creare la parte offline, quindi aprire i negozi, dimostrare che il business funzionava e che generavamo fatturato, per poi fare un round di finanziamento. Avremmo potuto crescere più velocemente se avessimo chiesto più soldi, ma bisogna stare attenti a che ritmi di crescita ti imponi, che devono essere sostenibili per integrare efficacemente i nuovi dipendenti coi vecchi e non inceppare il meccanismo.

Con il secondo round stiamo impostando la seconda gamba, ossia punteremo molto sull’online. Al momento infatti c’è un rapporto di 90 e 10. Abbiamo già sviluppato un’infrastruttura proprietaria di partenza (ERP, CRM e booking tool) e abbiamo intenzione di potenziarla aggiungendoci sempre nuove features. Infine sarà importante anche investire sul marketing, sul quale per inciso dalla nostra nascita non abbiamo speso un euro: il nostro vero marketing è stata la formazione che poi ha portato valore a valle fino al consumatore finale, e questo si è riverberato attraverso il passaparola.

Fatta questa panoramica, che impatto ha avuto il Covid-19 sul vostro business?

Nei due mesi e mezzo di chiusura la componente offline è stata completamente azzerata, quindi -100%. L’impatto sulla top-line è stato devastante, perché chiaramente se quello che fa il 90% del tuo business viene azzerato l’impatto è enorme.

In queste situazioni la strategia wait and see non funziona, perciò ci siamo mossi subito. Anzitutto, abbiamo preso tutti i provvedimenti necessari per assorbire il colpo sulla bottom line, quindi ammortizzatori sociali, credito di imposta, ecc. Poi però era fondamentale mantenere il rapporto con il cliente. In tal senso, noi stiamo stati i primi ad esempio ad attivare online i voucher spesa: i clienti potevano acquistare un trattamento al 30% di sconto di cui usufruire alla riapertura. Quelli che poi sono stati chiamati dining bond, noi li abbiamo chiamati semplicemente e-voucher (adesso diremmo shaving bond). Inoltre abbiamo organizzato dei tutorial da parte dei nostri barbieri per comunicare come trattare i capelli e la barba.

Per quanto riguarda però la nostra big picture, la vision, non è cambiato nulla. Infatti l’aumento di crowdfunding, inizialmente previsto per marzo, è stato semplicemente posticipato all’apertura a maggio. E l’appetito che c’è stato dimostra che il progetto è valido.

In definitiva il Covid-19 nel nostro settore non cambierà più di tanto: accelererà semplicemente la transazione che era già in atto, ossia quel processo per cui non è più un mondo per piccoli. Questo non vuol dire che non esisteranno più, ma si dovranno organizzare diversamente. Del resto, lato nostro l’impatto è stato duro, ma abbiamo possibilità di gestire liquidità e fare retention dei nostri clienti, anche attraverso un’adeguata comunicazione: tutte cose che i piccoli barbieri purtroppo difficilmente riescono a fare.

Proprio in relazione a quest’ultimo punto, come gestire la comunicazione nei confronti della clientela e degli investitori in periodo di crisi?

Il cardine della nostra comunicazione è la verità, la trasparenza al 100%: se parti da questo presupposto è tutto più facile.

Per questo abbiamo subito preparato un report per i nostri investitori. Già lì peraltro avevamo previsto che il lockdown sarebbe durato fino al 4 maggio. In realtà poi siamo andati avanti di altre due settimane, però quando tutti parlavano di giorni noi avevamo già previsto mesi di chiusura. E su questo abbiamo fatto le proiezioni finanziarie. Inoltre abbiamo sottolineato come questa pandemia avrebbe accelerato la nostra vision. Un’accelerazione della transizione da offline ad online, verso modelli di abbonamento per coinvolgere anche chi non può andare sempre in negozio.

Con i clienti vale lo stesso discorso. Peraltro, noi abbiamo chiuso due giorni prima del lockdown ufficiale anche per tutelare i nostri clienti, perché in quel momento non avevamo abbastanza indicazioni e informazioni.

Qual è stata la scelta più difficile da prendere durante il periodo del Covid-19?

Avevamo dei dipendenti in alternanza scuola-lavoro che non erano coperti dalla cassa integrazione e dovevamo quindi decidere se tenerli o lasciarli a casa. Pur nelle condizioni di incertezza che c’erano, alla fine abbiamo deciso di farcene carico noi, mentre lo Stato ci è venuto incontro andando a finanziare la cassa integrazione degli altri dipendenti.

A tal proposito, penso ancora al piccolo negozio o barbiere che magari ha dei dipendenti molto capaci e che stanno sviluppando delle competenze, ma che deve lasciare a casa per motivi di cassa. Come dicevo prima, è un mondo difficile per i piccoli.

Pensi che le startup abbiamo un vantaggio competitivo rispetto a realtà più grandi?

Premesso che faccio una considerazione generale e che ovviamente non mancano le eccezioni virtuose, il tema è che le corporate vivono bloccate in delle eredità molto pesanti in termini culturali e di infrastruttura tecnologica. Perciò, quando si manifesta la necessità di un cambiamento, reagiscono con lentezza, o proprio non riescono a reagire.

Faccio un esempio emblematico. Federico, il nostro responsabile del marketing, in precedenza lavorava in una grossa corporate. Nello specifico stava cercando di portare avanti un progetto per il quale però non riusciva a ottenere sostegno, sentendosi dire il più classico degli “Eh, ma abbiamo sempre fatto così!” Ecco, pur di sganciarsi da questa mentalità, ha accettato una posizione in cui sapeva che avrebbe lavorato di più e guadagnato meno.

Poi per noi il lavoro è un concetto relativo: non c’è la dicotomia casa-ufficio, siamo connessi h24. Può essere usurante ma viviamo di passione, ogni singola cosa la facciamo perché la vogliamo fare e non perché dobbiamo.

Quali misure dovrebbe adottare lo Stato italiano a favore del settore delle startup?

Va detto che sul mondo delle startup è stato fatto molto. Ad esempio, già le detrazioni fiscali al 50% sono un ottimo segnale, anche se è solo per quest’anno. Nel caso specifico del retail si dovrebbe intervenire con strumenti legali per rinegoziare i contratti d’affitto perché al momento è lasciato al buon senso delle parti e non sempre questo funziona.

Per quanto riguarda il lavoro più in generale, invece, mi sembra che ci sia sempre la tendenza di dare aiuti a pioggia senza dare un vero push all’economia e alle imprese. Di fatto c’è sempre quel leit motiv di stampo assistenzialista che ci penalizza. Cito un altro esempio emblematico. Noi riceviamo tantissime candidature di barbieri dal Sud e abbiamo moltissimi dipendenti provenienti da quelle regioni che si confermano ricche di artigianalità e maestranze: quando è uscito il Reddito di Cittadinanza, per alcuni mesi non abbiamo ricevuto alcun curriculum e siamo stati comunque in difficoltà perché non avevamo letteralmente il bacino di candidati su cui fare selezione e formazione.

Un approccio analogo è stato adottato durante l’emergenza del Covid-19, ma il mio punto è: se vuoi sfruttare l’effetto moltiplicatore, azzera i contribuiti che devono versare le imprese e poi le assunzioni le fanno direttamente le imprese stesse. Poi chiaramente il meccanismo è molto più complesso, ma se tassi chi lavora e dai incentivi a chi non lavora, è difficile uscire da questa dinamica.

Infine, che consigli ti senti di dare a un giovane che vuole lanciare una startup?

Il punto di partenza è che ognuno porta e beneficia delle competenze e delle esperienze che ha accumulato, perciò è fondamentale connettere queste cose.

Chiaramente poi non potrai avere tutte le competenze, ma una è indispensabile: saper costruire il team e circondarsi delle persone giuste. La competenza più importante è quella di attirare le persone, di fare da calamita per tutte le competenze che servono nella startup.

È fondamentale stabilire la propria vision, che è il sogno, e la propria mission, che è il sogno concretizzato in realtà. È una sorta di manifesto. Dove voglio arrivare, come lo voglio fare e come voglio lavorare. Una volta che hai chiaro questo, sarà molto più semplice fungere da calamita e attrarre talenti.

Se invece devo dare un consiglio più concreto, dico di buttarsi fuori dalla propria comfort zone. Io ogni due/tre anni cambiavo lavoro o comunque funzione in azienda per conoscere nuove persone e nuove situazioni. Tra l’altro, ricollegandomi al tema principale dell’intervista, questa dinamicità ti consente di gestire meglio le situazioni di crisi quando esse si manifestano.

 

Andrea Eugenio Ramella

Studi economici all’Università Cattolica di Milano, alla Maastricht University ed esperienze lavorative in startup. In Yezers è Public Affairs Associate e nel founding team di AdVelo.

Samuel Carrara

È scientific project officer presso la Commissione Europea dove si occupa prevalentemente di industrial value chains per le tecnologie low-carbon. In Yezers è membro del board e responsabile editoriale.