Il futuro del Sud, tra i nuovi incentivi del decreto agosto e i vecchi problemi

scritto da il 12 Agosto 2020

Sembrano abbastanza sterili le polemiche territoriali generate dagli annunci relativi alle misure del cosiddetto decreto agosto. In particolare, molti hanno tirato per la giacchetta la proposta di taglio del 30% sui contributi pensionistici pagati dalle imprese nelle aree del Mezzogiorno. Dal Nord si sono levate alcune reazioni di sorpresa, considerato che la caduta del Pil nel 2020 sarà più marcata nel settentrione che nel Sud (-9,6% contro -8,2%, secondo i dati SVIMEZ). Dall’altro lato della penisola, si sono udite e lette le solite lamentele del “è troppo poco”. Con riferimento a quest’ultime, come evidenziato da Angelo Panebianconessuno sembra più preoccuparsi del destino delle finanze pubbliche, inebriati da un’illusione di sostegno europeo che si crede sine die.

Ma anche le reazioni dei primi non convincono. Le politiche di convergenza e di riequilibrio territoriale mantengono la loro importanza. Sebbene l’economia del Nord stia particolarmente soffrendo in questi mesi, già dal 2021 dovrebbe mostrare un rimbalzo maggiore (+5,4% contro +2,3%, sempre dati SVIMEZ). Senza mai dimenticare che il Mezzogiorno, anche nel periodo pre-covid, non aveva ancora recuperato i livelli economici del 2007.

Nonostante ciò, resta fondamentale analizzare il possibile impatto delle misure proposte.

In primo luogo, appare positivo il fatto che si vogliano favorire direttamente le imprese piuttosto che continuare con bonus sempre più creativi. Il secondo elemento positivo riguarda l’orizzonte temporale, che potrebbe arrivare al 2029, seppur con una riduzione graduale della percentuale. Infatti, solo una misura di lungo periodo potrebbe orientare strutturalmente le scelte degli imprenditori. Ma su tale aspetto sarà necessario il placet della Commissione europea.

Il punto sostanziale però, riguarda gli obiettivi prefissati. Il ministro Provenzano si augura che la misura possa favorire il lavoro, rilanciare gli investimenti e diminuire il lavoro irregolare.

In merito al primo obiettivo, appare più che altro una misura di contenimento. Mentre in passato gli incentivi erano condizionati ai nuovi contratti di lavoro, nel caso attuale il beneficio andrà a tutte le imprese e potrebbe interessare 3,5 milioni di lavoratori. Ecco perché la misura è particolarmente onerosa. Secondo le stime di Carmine Fotina (si veda il Sole 24 Ore dell’8 agosto), il costo per i soli ultimi tre mesi del 2020 sarà pari a 1,1 miliardi di euro.

Il Governo teme gli effetti sociali della fine del blocco dei licenziamenti e, pertanto, punta a ridurre il costo del lavoro nell’area che potrebbe maggiormente soffrire gli effetti lunghi della recessione. Tuttavia, la sensazione è che si trasformerà in un sussidio per quelle imprese che avrebbero mantenuto ugualmente la forza lavoro. Ciò aiuterà la loro marginalità, ma gli effetti sull’occupazione saranno da monitorare. Secondo SVIMEZ, il calo dell’occupazione nel 2020 sarà pari al 6,1% nel Mezzogiorno ed il rimbalzo nel 2021 sarà solo dell’1,3% (molto peggio rispetto al settentrione). In definitiva, quindi, la misura può avere un suo senso politico per tentare di attenuare un’emorragia pericolosa, ma l’efficacia sarà tutta da verificare.

Più complesso il discorso legato agli investimenti. Si confida che il minor costo del lavoro possa incentivare nuovi investimenti dal resto della penisola o dall’estero. Difficile possa essere sufficiente, come riconosce anche lo stesso ministro. Sussistono delle difficoltà strutturali ataviche, già espresse più volte su questi pixel, in merito alle quali uno sgravio fiscale può fare ben poco.

Resta poi l’obiettivo di combattere la piaga del lavoro irregolare. Un obiettivo che raramente potrà essere raggiunto con la misura in oggetto. Pagare il 30% in meno, infatti, non potrà mai competere con il pagare il 100% in meno. Quello che non si riesce a comprendere, non solo al Sud, è che molto spesso la volontà di lavorare in nero proviene direttamente dal lavoratore piuttosto che dalle imprese. E ciò accade perché l’irregolarità è l’unico modo per evitare la perdita di un eventuale sussidio. Che sia il reddito di cittadinanza o un’indennità di disoccupazione poco importa.

La politica sembra aver dimenticato il perimetro delle politiche attive e delle condizionalità per il mantenimento del beneficio economico. Su circa due milioni di beneficiari del reddito di cittadinanza, solo il 44% è stato preso in carico dai centri per l’impiego ed appena settantamila hanno trovare un lavoro. E, come spiegano Giubileo e Pastore su lavoce.info, lo hanno fatto «(…) “auto-collocandosi” nel mercato del lavoro, quindi senza un concreto supporto o assistenza dei servizi per l’impiego.» Gli autori ben spiegano le difficoltà e le carenze del sistema, impreparato a trattare con persone generalmente poco qualificate e scarsamente interessate ad entrare in percorsi di formazione e di riqualificazione.

E le ripercussioni territoriali sono ancora più evidenti. Come si legge nello studio dell’ Osservatorio CPI relativo al primo anno di reddito di cittadinanza, il Mezzogiorno rappresenta nettamente l’area più favorita, a prescindere dagli effettivi dati sulla povertà. Infatti, «Le quote maggiori di beneficiari del RdC/PdC risiedono al Sud e nelle Isole (rispettivamente il 43,2 e il 23,2 per cento). Queste quote sono notevolmente superiori alle quote di individui poveri residenti in queste aree stimate dall’Istat: il 31,6 per cento al Sud e il 13,5 per cento nelle Isole.» Inoltre, «Un ulteriore fattore di squilibrio deriva dal fatto che l’importo medio mensile nel Mezzogiorno è di circa il 24,7 per cento maggiore rispetto al Nord (rispettivamente 555,4 e 445,5 euro), sebbene il costo della vita al Sud sia significativamente più basso.»

Questi dati non devono esser letti come un atto di accusa verso i cittadini meridionali. Semplicemente gli effetti della policy erano facilmente prevedibili, a causa di un’errata allocazione degli incentivi. Il problema è che si fa fatica ad intervenire ex post, come sarebbe auspicabile, per ragioni di consenso elettorale.

L’efficacia delle misure dipende anche dalla volontà politica di affrontare di petto tali difficoltà strutturali. Altrimenti si rischia di utilizzare tanti miliardi di euro per dare un po’ di ossigeno alle imprese, ma allontanandosi dal raggiungimento degli obiettivi dichiarati.

Twitter @frabruno88